Ottobre missionario/1 – La testimonianza di Diego Pedrini: da Castelleone al Mozambico per aiutare a “costruire” la comunità

In occasione dell’Ottobre Missionario 2025, l’Ufficio missionario diocesano propone la testimonianza di alcuni sacerdoti e laici della diocesi che manifestano l’anelito di una “Chiesa in uscita”, attenta alle periferie e ai più fragili. La prima intervista è a Diego Pedrini, 32enne di Castelleone che dal 2024 si trova in Mozambico come laico missionario associato alla missione dei Padri della Consolata di Torino.

 

 

Diego Pedrini vive e opera nelle missioni di Zumbo e Miruro, in diocesi di Tete, nel nord del Paese, al confine con lo Zambia. In queste realtà rurali, spesso prive dei servizi essenziali, Diego mette a disposizione le proprie competenze artigianali e tecniche svolgendo lavori di manutenzione idraulica, impiantistica e edilizia, fondamentali per il funzionamento delle strutture della missione: dalle case dei missionari alle scuole, dalla chiesa ai centri di salute. Una presenza di servizio e disponibilità vissuta con lo stile sobrio e fraterno del Vangelo, lontano da ogni retorica, attraverso il lavoro manuale, silenzioso, ma indispensabile.

 

Diego, raccontaci qualcosa di te: come nasce il desiderio di partire in missione?

«Se guardo al passato, mai avrei immaginato che un giorno sarei partito per una missione. Neppure lontanamente! Fin da ragazzo, ho sempre vissuto con impegno la vita parrocchiale, dedicandomi a diversi servizi, tra cui il catechismo. Nel 2017, insieme ad alcuni amici, abbiamo dato vita al gruppo scout della nostra comunità, che oggi cammina autonomamente: vederlo crescere è per me motivo di grande gioia. Mi considero una persona fortunata. Dopo la laurea in Tecnologie alimentari conseguita a Cremona, ho subito trovato lavoro e per diversi anni ho svolto la mia professione con serietà e dedizione. Tuttavia, circa tre anni fa, ho cominciato ad avvertire un senso di insoddisfazione: pur avendo raggiunto una certa stabilità e responsabilità, mi sono chiesto se quello che facevo mi realizzasse davvero. La risposta, con onestà, è stata negativa. Così, ho deciso di lasciare il lavoro. Ho trascorso una stagione in montagna, a Madonna di Campiglio, a 2.600 metri, dove ho potuto respirare aria nuova e rallentare il ritmo. Al mio rientro, ho lavorato per un anno e mezzo come idraulico con un amico, aprendo la partita iva. Ma quel vuoto interiore non era scomparso. Spinto dal desiderio di capire più in profondità che cosa cercassi davvero, ho scelto di trascorrere un tempo di discernimento nel Monastero di Bose: è stato un momento intenso, prezioso. Proprio lì, durante quei giorni, ho incontrato un padre missionario della Consolata di Torino. Parlando con lui, mi ha colpito una sua frase: “In Africa ci sarebbe proprio bisogno di un idraulico”. Quelle parole mi hanno provocato. Le ho sentite come una chiamata concreta. Così ho deciso di mettermi in gioco. Sono partito per il Mozambico, accompagnato e guidato dai Missionari della Consolata. Lì ho trascorso un mese, un tempo breve ma ricchissimo, che ha lasciato un segno profondo nel mio cammino».

Dove risiedi?

«Da circa cinque mesi vivo a Zumbu, un villaggio situato all’estremo nord-ovest del Mozambico, al confine con la Zambia. Qui scorre il maestoso fiume Zambesi. Il centro di riferimento della nostra diocesi è la città di Tete, capoluogo di una circoscrizione ecclesiastica vastissima: il suo territorio, infatti, è grande quanto Lombardia, Veneto e Piemonte messi insieme. Per raggiungere Tete devo impiegare due giorni interi di viaggio, poiché dista circa 500 chilometri da dove mi trovo. Le strade, come si può immaginare, sono in pessime condizioni e spesso pericolose. La parrocchia in cui opero è affidata ai padri della Consolata. Il parroco è padre Carlo Biella, originario di Cernusco Lombardone (LC): oltre a Zumbu, ha la responsabilità anche delle parrocchie di Miruru, Unkanha e Fingoe, così come di numerose comunità sparse su un territorio immenso. Di conseguenza, riesce a venire a Zumbu solo saltuariamente. Io vivo da solo».

Che cosa fai? Quali incarichi ti sono stati affidati?

«In questi mesi ho lavorato intensamente per ristrutturare la casa parrocchiale e la chiesa. La casa è ormai completamente sistemata: è molto ampia e dispone di tre camere da letto, due bagni, una cucina e un salone. È già pronta per accogliere gruppi di volontari che, in accordo con l’Ufficio missionario della Diocesi di Cremona, desiderino vivere un’esperienza di solidarietà e condivisione in un contesto completamente diverso dal nostro. La chiesa, invece, necessita ancora di interventi importanti e continuo a dedicarmi alla sua sistemazione. Il mio servizio pastorale si estende fino a Miruru, una missione fondata dai Gesuiti e disabitata dal 1965, raggiungibile solo addentrandosi nella foresta. Qui opera anche Serafino Piras, un missionario laico italiano che, dopo aver perso la moglie e la figlia, entrambe a causa di un tumore, ha lasciato la sua impresa idraulica in provincia di Milano per dedicarsi interamente alla missione. Vive in Mozambico da 15 anni come volontario. Grazie alla sua instancabile dedizione, ha costruito numerosi ambulatori, scuole e chiese, rendendosi punto di riferimento per tante comunità locali. I missionari della Consolata hanno come obiettivo quello di accompagnare le comunità cristiane verso una progressiva autonomia. Il mio servizio si inserisce proprio in questa prospettiva: un lavoro a servizio della diocesi locale. L’auspicio è che, una volta completati i lavori strutturali, possa essere inviato un sacerdote stabile, che viva accanto alla gente e possa garantire la celebrazione quotidiana dell’Eucaristia. È questo il desiderio più grande che le comunità locali custodiscono nel cuore».

Qual è la situazione della zona in cui vivi? Come vivono le persone del posto?

«Il Mozambico è un Paese che, da decenni, vive tensioni e conflitti armati, ma le zone maggiormente colpite da episodi di violenza si trovano a centinaia di chilometri da noi. La realtà che sto vivendo a Zumbu è, fortunatamente, serena e tranquilla. Certo, la povertà è diffusa, ma si tratta di una povertà dignitosa: alle persone non manca il necessario per vivere. La loro esistenza è estremamente semplice. Le abitazioni sono costruite con terra battuta (la tipica terra rossa della zona) e sono prive di servizi igienici e di acqua corrente. Alcune famiglie, che stanno lentamente migliorando la loro condizione economica, riescono a costruire la propria casa in mattoni, ma restano comunque in una situazione di estrema essenzialità».

Tu come ti trovi in questo contesto?

«Potrà sembrare una banalità, ma qui vivo da solo: cucino per conto mio, vado al mercato da solo. Il primo mese è stato davvero difficile e impegnativo, soprattutto a causa della lingua. Ho studiato il portoghese, ma qui viene parlato da pochi, perché la maggior parte delle persone comunica in dialetti locali. Cercavo di farmi capire con i gesti e con le poche parole che, piano piano, cominciavo a pronunciare. Personalmente, mi ritengo fortunato: ho uno stile di vita semplice e sono abituato ad adattarmi, anche grazie all’esperienza scout che ha formato il mio carattere».

Che cosa ti colpisce di più di questa realtà?

«L’altruismo di questa gente. Sono persone di grande generosità: se hanno qualcosa, lo condividono. Nessuno trattiene solo per sé. Da quando sono arrivato, ogni giorno ricevo qualche dono: chi mi porta pomodori, chi patate… quotidianamente qualcuno si presenta con qualcosa da offrire. Quello che mi ha profondamente colpito è un gesto semplice, ma carico di significato: quando le persone danno o ricevono del denaro, porgono i soldi con una mano e con l’altra accompagnano il braccio fino a te. È come se dicessero: “Tieni, ciò che ti do, te lo dono con tutto me stesso”. Lo stesso gesto lo compiono durante la Messa, nello scambio della pace, oppure per strada quando ti stringono la mano per salutarti. Può sembrare una piccolezza, ma l’ho fatto mio: è un gesto che per me ha una profondità inaudita, perché rivela il vero senso della vita: ciò che conta e realizza è donare se stessi».

Che cosa ti senti di dire alla tua diocesi di origine, soprattutto ai giovani?

«Non sono mai stato uno da grandi consigli (apprezzo molto lo scoutismo proprio perché insegna a decidere e ad agire insieme), però mi sento di dire ai giovani di prendersi una pausa di almeno un anno attorno ai vent’anni. Un anno per fermarsi, per staccarsi dallo studio e dal lavoro e dedicarsi agli altri. Che sia una missione, il servizio civile o un’esperienza in un’associazione o gruppo: l’importante è uscire dalla propria casa, dalla propria famiglia, dal proprio paese, per offrire il proprio tempo a chi ha bisogno. Nel tempo che ho trascorso qui, mi rendo conto di essere cresciuto molto. È una sfida continua che ti spinge a maturare. Non rinnego nulla degli ambienti in cui ho vissuto (se oggi sono qui, è grazie al cammino fatto in parrocchia), ma vivere un’esperienza del genere ti insegna tanto. Una volta tornato in Italia, spero di poter fare da ponte tra Cremona e il Mozambico, per permettere anche ad altri giovani di vivere ciò che sto avendo la fortuna di sperimentare».

 

 

Profilo biografico di Diego Pedrini

Diego Pedrini nasce a Crema (CR) il 23 febbraio 1993. Cresciuto in una famiglia legata alla comunità cristiana locale, fin da giovane partecipa attivamente alla vita dell’oratorio cittadino, dove vive con entusiasmo l’esperienza educativa come animatore, catechista e nel 2017 con altri giovani fonda il gruppo scout a Castelleone, di cui sarà il primo capogruppo. Questi anni segnano profondamente il suo cammino umano e spirituale, alimentando in lui un senso di responsabilità, servizio e attenzione verso gli altri.

Dopo aver intrapreso la professione di responsabile di laboratorio alimentare, che svolge per 7 anni, decide di cambiare ambito lavorativo, tornando a fare a tempo pieno l’idraulico, professione che gli permise di pagarsi gli studi universitari.

Diego intanto continua a coltivare una fede concreta e operosa, radicata nella quotidianità, nel lavoro e nel servizio. Nel corso del tempo, la riflessione sulla propria vocazione lo porta a incontrare l’opportunità di mettersi a disposizione in un contesto missionario e nel 2024 parte per il Mozambico come laico missionario associato alla missione dei Padri della Consolata di Torino.

Attualmente vive e opera presso le missioni di Zumbo e Miruro, nella diocesi di Tete, nel nord del Paese, al confine con lo Zambia. In queste realtà rurali e spesso prive di servizi essenziali, Diego mette a disposizione le sue competenze artigianali e tecniche, svolgendo lavori di manutenzione idraulica, impiantistica e edilizia, fondamentali per il funzionamento delle strutture della missione: dalle case dei missionari alle scuole, dalla chiesa ai centri di salute.