1

Sport in oratorio, momenti per fare comunità. I valori del Csi “ospiti” a Chiesa di Casa

Questa settimana Chiesa di Casa, il talk di approfondimento pastorale della diocesi di Cremona, affronta il tema dello sport. Ospiti in studio sono stati Claudio Ardigò, presidente del Csi di Cremona, e Francesco Monterosso, dirigente della Polisportiva Sant’Ilario di Cremona. In collegamento, invece, don Fabrizio Ghisoni, parroco di Paderno Ponchielli, nonché giocatore della selezione Sacerdoti Italia Calcio.

La promozione della Cremonese in Serie A e gli atleti di casa nostra alle Olimpiadi di Tokyo: in questo ultimo anno non sono pochi i successi che sul territorio «hanno dato grande impulso all’attività sportiva», come dice Claudio Ardigò. Davvero questi successi hanno sollecitato iniziative e riflessioni. Ne è un esempio l’atletica leggera: «Il Csi nazionale ha organizzato un corso per allenatori di atletica leggera e solo in Lombardia eravamo più di quaranta, questo per dire quanta richiesta di poter fare attività».

Una carica nuova che arriva anche alle porte degli oratori, dove da sempre lo sport – grazie in particolare proprio alla presenza capillare del Csi – è momento e occasione privilegiata di incontro educativo. Ne parla Francesco Monterosso. È lui a sottolineare le caratteristiche fondamentali, in ambiente oratoriano, dell’attività sportiva: «Deve essere orientata da tre principi: sicuramente c’è un aspetto fisico-atletico, perché c’è in ballo la salute dei nostri ragazzi; c’è poi una dimensione tecnica, perché lo sport in oratorio non è mai da considerare “di secondo livello”, cioè noi cerchiamo di fare le cose bene, con allenatori preparati; infine, c’è la dimensione relazionale: lo sport, soprattutto di squadra, mette le persone in relazione». E l’equilibrio di questi tre aspetti viene sostenuto da una quarta dimensione, quella pastorale che, secondo Monterosso «non va dimenticata – aggiunge –: gli allenatori stanno sul campo con i ragazzi 5 o 6 ore alla settimana, una quantità di tempo importante». Perciò, «dovremmo riflettere sulla qualità di queste figure e quanto possa essere trasmesso ai ragazzi, in queste ore».

Dunque, il ruolo dell’allenatore, così come quello dei dirigenti e degli accompagnatori che rendono possibile l’organizzazione dell’attività, se sostenuto da una comunità parrocchiale, può diventare un ruolo di educatore nella fede. Su questo aspetto insiste don Fabrizio Ghisoni, il quale sottolinea come «la dimensione pastorale, di cui Francesco parla, diventa reale se c’è la comunità. E la comunità è fatta dalle famiglie». Don Ghisoni descrive la propria esperienza di sacerdote e anche di sportivo in parrocchia come arricchente, perché porta a riscoprire un valore fondamentale per l’uomo, che è l’aspetto comunitario; infatti, anzitutto, il primo punto in comune, anche nella rappresentativa dei Sacerdoti italiani di cui don Fabrizio è protagonista «è la nostra umanità». Aggiunge: «Io testimonio, con la maglia dei Sacerdoti Italia Calcio, quel desiderio evangelico: “Se non ritornerete come bambini, non entrerete nel Regno dei cieli”. Questo diventa un’occasione e uno stile di stare in mezzo alla gente».

Se, da un lato, l’adulto che si occupa dell’attività sportiva in oratorio è chiamato a una crescita e conversione, i valori cristiani possono essere comunicati, tramite lo sport, anche ai più giovani: «Lo sport, dal punto di vista culturale, ha un’importanza fondamentale: è un veicolo per trasmettere valori fin dai piccoli», dice Monterosso. I giovani «imparano a conoscersi, rispettarsi, far diventare le differenze una ricchezza: dal basso, possiamo costruire una comunità più solidale».

In questo momento storico, per esempio, emerge chiaramente il bisogno di educarsi al valore dell’inclusione e lo sport può essere utile in questo senso, come spiega Ardigò: «Stiamo cercando di trovare una possibilità di far gareggiare i bambini ucraini sul nostro territorio». Inoltre, per quanto riguarda il Csi, il presidente del comitato cremonese afferma: «Lo sport che noi proponiamo non è un’attività agonistica esasperata». L’entusiasmo nello sport non scaturisce, infatti, solo dalla vittoria. Ed è proprio questo l’augurio con cui Monterosso conclude: «anche dalla fantasia, dal vedere i compagni crescere, addirittura dal fermarsi insieme dopo gli allenamenti a pulire lo spogliatoio. L’esperienza sportiva è fatta di tante soddisfazioni. Non solo sul campo».




“Oltre la didattica”: puntata di “Chiesa di Casa” su scuola ed educazione

Nella settimana che ha visto la fine dell’anno scolastico, Chiesa di Casa, il talk di approfondimento pastorale della Diocesi di Cremona, si sofferma proprio sulla tematica della scuola. Ospiti in studio sono stati don Giovanni Tonani, incaricato diocesano per la pastorale scolastica e l’insegnamento della religione cattolica, il professore Alessio Gatta, presidente della cooperativa InChiostro di Soncino, e il professor Stefano Seghezzi, insegnante alla scuola Sacra Famiglia di Cremona.

Il dialogo, guidato da Riccardo Mancabelli, si avvia con uno sguardo all’anno passato: secondo don Tonani «si inizia un minimo di rivitalizzazione della scuola, nonostante tutte le fatiche che quest’anno abbiamo avuto». Dunque, un anno di ripresa, in cui «volenti o nolenti questo covid è stato acceleratore di alcuni processi – dice Seghezzi – per cui siamo riusciti a fare una scuola che, per esempio, integrasse molto l’aspetto tecnologico in aiuto all’attività didattica, una scuola che riuscisse a tenere più dentro il lavoro a casa, intervenendo con idee a cui prima non avremmo pensato». Questa pandemia, secondo l’insegnante della Sacra Famiglia «ci ha costretto a tornare all’essenziale, andare all’osso e fare un salto in avanti». Un salto in avanti che riguarda non solo i più grandi, ma anche i piccolissimi; è così a Soncino dove, come spiega Alessio Gatta, «chi ha cominciato quest’anno doveva ancora fare i conti con i meccanismi delle “bolle”. Per i piccoli c’era qualche limitazione in meno. Però quello che abbiamo capito noi è che anche i piccolini, in qualche modo, hanno già un concetto di fratellanza che li lega». Fratellanza e legame che si instaurano anche fra i ragazzi di medie e superiori: «Più volte, quando invitavamo i ragazzi all’uso corretto della mascherina e al distanziamento, la sintesi dei loro sguardi era “va be, ma è un mio amico” cioè “impossibile che un mio amico diventi improvvisamente un problema”», come ha spiegato Gatta, assecondato con un energico cenno affermativo anche da Seghezzi e Tonani. «Senza contare – aggiunge il presidente di InChiostro – che nella formazione professionale è elevatissimo il livello della richiesta che i ragazzi fanno a noi, come dire: “Aspetto che tu mi chieda un compito alto. Mettimi concretamente di fronte a quello che devo fare”. Li abbiamo trovati ancora più onesti di prima, più veri di prima».

«Questa “crisi” – continua il presidente della cooperativa soncinese – come ogni crisi, ci ha dapprima messi al palo, ci ha interrogato, ci ha dato qualche strumento, poi ha liberato molto la creatività. Questo chiama noi a una scuola nuova». Esigenza di novità che ha interpellato persino l’ambito della scuola professionale: «Fare un corso di formazione tecnico professionale di cucina online diventava molto complicato. Però, fin dai primi momenti di emergenza è stato bellissimo scoprire le famiglie che si mettevano vicino ai figli e alle figlie a imbastire qualche tentativo in cucina». E, se la creatività è emersa quasi naturalmente dalla circostanza che la richiedeva, gli insegnanti hanno dovuto prepararsi, essere aggiornati: «Noi abbiamo investito molto nella formazione degli insegnanti – dice don Tonani – anche a livello pastorale. Si tratta di un accompagnamento non tanto tematico, quanto piuttosto spirituale e pedagogico-culturale, che cerca spingere insegnanti a recuperare alcune motivazioni di fondo. Lo stesso vale per gli insegnanti di religione: cerchiamo di mostrargli che un metodo, un lavoro collegiale sono ciò che va recuperato. Bisogna imparare a lavorare insieme e con i ragazzi».

Un lavoro collegiale è attuabile, secondo quanto racconta Seghezzi, anche e soprattutto all’interno di una scuola paritaria di ispirazione cattolica come la Sacra Famiglia: «Più che l’etichetta, si tratta di una scuola che nasce dall’entusiasmo della fede di insegnanti e genitori. Da un lato, è una scuola che, anche per le dimensioni, facilita il lavoro insieme ai colleghi, nel senso che siamo in due o in tre in classe, creiamo insieme le attività; e questo star bene insieme cambia le cose. Dall’altro lato, lavorare qui, anche per una esperienza di fede vissuta, significa avere uno sguardo che non è di lamento, ma positivo, cioè uno sguardo sul ragazzo che parte dalla certezza di un destino buono, destino che non hai in mano tu e però c’è».

Gli stessi presupposti riguardano anche una realtà apparentemente diversa, come quella di Soncino: «da noi si fa formazione professionale dal 2007. Si fa per scelta dell’Istituto religioso delle suore della Sacra Famiglia, di cui noi eravamo dipendenti. Siamo figli della storia di queste suore, cioè di una vita nel quotidiano e nella dignità del lavoro. Partendo da questo concetto del lavoro come strumento imprescindibile per la formazione della persona umana, abbiamo scelto una formazione di assetto lavorativo. Ciò significa che i nostri ragazzi, quando fanno laboratorio di cucina, gestiscono attività commerciali di ristorazione aperte al pubblico. Quindi, i nostri studenti, si confrontano con clienti veri e scambiano storie vere. Abbiamo pensato, allo stesso modo, che questo sia un grande strumento di inclusione, per esempio c’è un percorso personalizzato per i ragazzi disabili».

In conclusione, ciò che è emerso da questo incontro a Chiesa di Casa, è che, come ha spiegato Seghezzi «Il ragazzo ha bisogno di essere guardato a 360 gradi, oltre la didattica. La certezza di un destino buono ti permette di accogliere questo bisogno non come un fastidio, ma come una proposta anche per te».




“Un’estate per gli altri”: a Chiesa di Casa si parla di giovani e missione

Nell’approfondimento pastorale di questa settimana Chiesa di Casa torna a parlare di missioni. Tre gli ospiti in studio, intervistati da Riccardo Mancabelli: don Maurizio Ghilardi, incaricato diocesano per la pastorale missionaria; Tommaso Grasselli, volontario del progetto Bahia; e infine Nicola Graziani, vicepresidente dell’associazione Drum Bun, associazione che da oltre vent’anni spende le proprie estati all’estero, per momenti di servizio.

L’occasione per affrontare questo argomento è la consegna del mandato missionario ai sei giovani in partenza per un’esperienza missionaria a Salvador de Bahia durante la prossima estate. Mandato che sarà consegnato dal Vescovo nella chiesa di Sant’Ambrogio a Cremona questa domenica, 5 giugno, alle 19 a Marta Ferrari, Tommaso Grasselli, Sara Di Lauro, Anna Capitano, Alessandra Misani e Davide Chiari.

Il tema del viaggio è proprio il fulcro dell’associazione Drum Bun: «Drum Bun significa “buon viaggio” in lingua rumena – spiega Nicola Graziani – viaggio inteso come riscoperta di noi stessi, del gruppo, di realtà, persone e luoghi differenti». Drum Bun ha operato ed opera, oltre che tramite alcune realtà in Romania ed Albania, anche attraverso nuovi progetti in Italia: «Quest’estate siamo in una fase di “ristrutturazione” sia per la pandemia, sia per uno scambio generazionale che stiamo vivendo all’interno. Stiamo cercando di acquisire nuove idee, energie e risorse. Il primo progetto a cui abbiamo pensato è denominato “Zaino in spalla”: andremo a visitare realtà associative del centro e nord Italia, per un confronto con altre realtà che possono essere al nostro fianco nella ripartenza». I progetti sono tra i più vari: dai progetti con i minori stranieri non accompagnati insieme alla cooperativa Nazareth, a quelli di agricoltura solidale, fino a una partnership con l’Università Cattolica: «Siamo una associazione viva! E siamo in attesa di progetti più ambiziosi» afferma Graziani. La vitalità di questa associazione risiede, secondo lui, in «Un gruppo saldo che intendeva portare e allo stesso tempo far proprie delle esperienze, non con l’ottica del “supereroe” ma sempre con l’ottica dello scambio e servizio reciproci». Tra i principi fondativi, infatti, a partire dalla fede cristiana, c’è l’obiettivo di una «condivisione». Condivisione, cioè non solo disponibilità a svolgere determinate attività, ma anche e soprattutto curiosità nel mettere in comune la vita e la quotidianità.

È questo il filo che unisce le esperienze dei tre ospiti in studio. In particolare, la curiosità emerge dalle parole di Tommaso Grasselli, giovane in partenza per l’estate missionaria in Brasile: «Voglio cambiare approccio verso la vita e verso il mio futuro». Si tratta, quindi, dell’approfondimento di un cammino personale che si inserisce nella vita della comunità di Salvador de Bahia. Un percorso composto di tasselli concreti: «Mi sono preparato facendo degli incontri con i volontari che sono in Brasile e ci hanno introdotto a questa esperienza e ora sto seguendo un corso di portoghese» dice Tommaso. Ad aspettare lui e i suoi compagni di viaggio, a Salvador de Bahia, è presente don Davide Ferretti, sacerdote cremonese fidei domum, affiancato da due laici cremonesi, Gloria Manfredini e Marco Allegri. «I contatti con loro sono frequenti» spiega don Ghilardi, mettendo in luce, anche sulla base di quanto riferito dai missionari, come la pandemia abbia acuito povertà e violenza. Tuttavia, questa non è una obiezione ad una presenza attiva nella favela: «Sia Gloria che Marco sono ormai inseriti nelle realtà educative, ma il loro principale servizio avviene in parrocchia. Il servizio prosegue dal punto di vista della vita comune: condividere il mangiare, la Messa, ma anche il percorso di fede di quella comunità».

Il gruppo che partirà con Tommaso, come spiega don Maurizio, «è costituito da giovani della nostra diocesi provenienti anche da parrocchie molto diverse. Marco, Davide e Gloria li aspettano, mentre il legame consolidato tra Salvador de Bahia e Cremona continua a consolidarsi».

 

 




La voce del Vangelo nella vita di don Primo. Parole ed episodi inediti del «parroco d’Italia» a “Chiesa di Casa”

Questa settimana “Chiesa di Casa” è luogo di dialogo sulla figura di don Primo Mazzolari, in prossimità dell’anniversario della sua morte, avvenuta a Bozzolo il 12 aprile del 1959. Al confronto con Riccardo Mancabelli, è stato presente in studio don Umberto Zanaboni, vicepostulatore della causa di beatificazione di don Mazzolari. In collegamento, invece, Paola Bignardi, presidentessa della Fondazione Mazzolari di Bozzolo.

Definito da Papa Francesco «il parroco d’Italia», nella visita del pontefice alla tomba nel 2017, don Mazzolari è stato per 27 anni a Bozzolo, dopo 10 anni a Cicognara. Come spiega don Umberto: «Nel processo di beatificazione non servono libri famosi o grandi omelie, ma bisogna portare come prove i fatti concreti. Io ho avuto la fortuna di andare a conoscere chi l’ha conosciuto. È stato un parroco in mezzo alla sua gente. Tutti insistevano su questo: “Don Primo c’era” “Su don Primo io e la mia famiglia potevamo contare”».

È la Fondazione don Primo Mazzolari ad occuparsi della catalogazione delle carte e alla trasmissione dell’esperienza di don Primo, come spiega la presidentessa Paola Bignardi: «La sfida è fare in modo che conservare le carte di don Primo non significhi fare un monumento al passato, ma custodire una memoria alla quale attingere per affrontare le domande che l’oggi ci pone. Ancora più grande è la sfida di farlo conoscere e apprezzare ai giovani».

Dunque, carte contenenti un’eredità da cogliere e da far riscoprire soprattutto ai ragazzi: «Se non intercetta il mondo giovanile – chiarisce Bignardi – è destinata perdersi. Poco fa abbiamo coinvolto una classe del liceo Vida dando loro il compito di leggere e presentare a un pubblico uno scritto di don Primo Mazzolari, Diario di una Primavera… ne sono stati affascinati. Dobbiamo darlo in mano ai giovani – ha poi sottolineato con convinzione – che possono renderlo attuale, ri-esprimerlo».

Il rapporto con i giovani, per altro, a don Mazzolari era particolarmente chiaro, come racconta don Umberto raccontando alcuni episodi inediti del ministero di don Mazzolari: «Dopo aver pregato con le persone le preghiere della sera, lo raggiungevano dei giovani, dieci o venti giovani, che andavano con lui a passeggiare nei campi e lì parlavano di tematiche sociali, di fede, attualità. Oppure li portava con sé a comizi, conferenze… c’era sempre qualcuno in macchina con lui».

Oltre al pellegrinaggio del Santo Padre sulla tomba di don Primo, anche la conferenza del 2018 all’UNESCO è stata dedicata alla sua figura, particolarmente pertinente all’attualità, tutto immerso nelle questioni del suo tempo e con le persone di quel tempo. Così, infatti, ha concluso Paola, nel suo intervento: «Faceva parlare il Vangelo, non una dottrina, testimoniava una Chiesa vicina alla gente».




Grest, emozioni e inclusione: don Francesco Fontana ed Emanuele Bergami ne parlano a Chiesa di Casa

Chiesa di Casa, il talk di approfondimento pastorale della Diocesi di Cremona, ritorna dopo la pausa pasquale parlando di Grest. Ospite in studio don Francesco Fontana, incaricato diocesano per la Pastorale giovanile e presidente della Federazione oratori cremonesi; in collegamento, invece, Emanuele Bergami, educatore e collaboratore della FOCr.

Il dialogo in studio, con la conduzione di Riccardo Mancabelli, ha riguardato l’organizzazione e formazione degli animatori, che il sacerdote dichiara «già partita» a tutti gli effetti. Partenza, o meglio, ripartenza, perché non si vuole dare avvio a questa iniziativa prescindendo dagli eventi storici degli ultimi anni, come la pandemia: «L’esperienza che abbiamo fatto, sicuramente drammatica – spiega il presidente della FOCr riferendosi alla pandemia – è stata utile per le comunità cristiane: non si tratta di ripartire come se questi due anni non fossero capitati nella nostra storia, si tratta piuttosto di farne tesoro». Per quanto riguarda, poi, il dramma della guerra, il desiderio è quello di non vivere il Grest come una parentesi di spensieratezza, ma piuttosto come occasione per imparare, pur sempre attraverso il gioco e l’animazione, un’accoglienza e una disponibilità verso chi ha bisogno.

Bergami ha poi messo in luce l’aspetto di sfida di questa «scommessa sui più giovani», ma anche la necessità di «riprogettazione» che proprio questi anni così particolari hanno fatto emergere.

Con lo slogan di quest’anno, “Batticuore”, si intuisce che il tema sarà quello delle emozioni. «Non ci nascondiamo il fatto che per tanto tempo sia nella formazione che anche nell’educazione alla fede il tema delle emozioni sia rimasto decisamente ai margini: si tratta ora di riabilitarlo, di riscoprire come non si possa essere autenticamente uomini se non facendo i conti, chiamando per nome ciò che si “muove nel nostro cuore”», spiega don Fontana, sottolineando anche come le emozioni siano presenti in tutte le relazioni, anche «nell’esperienza della relazione con Dio» che il Grest intende scoprire.

Questa pausa di due anni ha generato voglia di fare e «una mancanza che poi diventerà sicuramente un desiderio; infatti, quando i ragazzi hanno a fianco delle figure che li vogliono accompagnare sono capaci di stupire ed essere loro stessi delle figure educative. Diventano capaci di prossimità». La prossimità che si può sperimentare solo in una comunità, come aggiunge Fontana: «Non c’è un Grest senza la comunità cristiana che si mette in gioco per trasmettere e annunciare la vita buona del Vangelo ai più giovani, ai più piccoli. Il Grest vuole essere un’azione della comunità».

I destinatari del Grest sono quindi bambini e ragazzi, anche se «i veri destinatari sono gli adolescenti», ai quali viene offerta «un’occasione unica di essere protagonisti», a partire dalle responsabilità più o meno grandi che vengono affidate loro. Secondo il sacerdote, poi, l’esperienza del Grest è la «più inclusiva che ci sia, perché non discrimina per censo, per quota, nemmeno per appartenenza religiosa; infatti, a tutti, anche ai non cristiani, l’esempio di Gesù fa bene».

Oltre alla dimensione comunitaria, il Grest, secondo Emanuele Bergami, è significativo per le emozioni che vengono messe a tema e vissute nella relazione con gli altri e nella responsabilità. È questo, nell’esperienza dell’educatore cremonese, anche lo spazio nel quale è lecito «interrogarsi sulle questioni di senso» e in cui «tentare di ricercare delle risposte».

Il dialogo si è quindi concluso con l’augurio che la preparazione di questi mesi sia una riconferma e un approfondimento di questi spunti.




Giornata dell’8xmille, perché firmare? Puntata dedicata a “Chiesa di Casa”

Questa settimana Chiesa di Casa, in vista della Giornata nazionale dell’8xmille per la Chiesa Cattolica che si celebra il 15 maggio, affronta proprio questa tematica. Ospite in studio è stato don Andrea Spreafico, incaricato diocesano per il sostegno economico alla Chiesa, il Sovvenire. In collegamento dal centro d’ascolto della Caritas diocesana, invece, Alessio Antonioli. Il dialogo, guidato da Riccardo Mancabelli, ha anzitutto chiarito la natura dell’8xmille. «È un fondo pubblico che viene dallo Stato, uno dei tre pilastri che sostengono economicamente la Chiesa italiana. La prima fonte di sostegno consiste nelle offerte dei fedeli, ordinarie o straordinarie. Poi ci sono le attività commerciali fornite dalla Chiesa, per esempio un bar parrocchiale o una casa di vacanze. Il terzo è quello derivante dall’8xmille», ha spiegato don Spreafico.

Il fondo coincide con l’0,8% delle tasse raccolte dallo Stato, che chiede un “consiglio” ai cittadini riguardo a come indirizzare questa piccola percentuale. «Non è obbligatorio andare a firmare» precisa l’incaricato diocesano del Sovvenire, spiegando che «la firma indirizza i fondi destinati dallo Stato alle “opere di religione”, senza aggravio per i contribuenti. La preferenza – aggiunge – non indica come destinare una parte delle proprie tasse, ma indica allo Stato come dividere la complessiva somma delle tasse raccolte nel Paese».

A livello diocesano, una certa quantità del fondo è destinata a culto e pastorale, parte di cui beneficiano «tantissime istituzioni diocesane come la Curia diocesana, la Federazione oratori, la Casa della comunicazione, comunità parrocchiali e altro». La restante parte, invece, è destinata a interventi caritativi, area di cui è testimone diretto Alessio Antonioli che, in collegamento, ha precisato che i fondi che arrivano al settore Caritas sono utilizzati in diversi ambiti. Riferendosi quindi al proprio lavoro presso il Centro d’ascolto, ha sottolineato come gli aiuti derivanti dall’8xmille permettono di garantire un «sostegno per le bollette, ma anche per l’inserimento lavorativo, secondo molteplici forme». Oltre agli aiuti forniti dalla Casa dell’accoglienza di Cremona e quella di Casalmaggiore, che ospitano persone a titolo gratuito, esiste una importante rete sul territorio: «La rete delle Caritas parrocchiali – ha ricordato Antonioli – è fondamentale per aiutare le persone là dove esse vivono. I fondi permettono di implementare questa rete». Ultimamente, poi, l’aiuto si sta sempre di più concretizzando anche attraverso la formazione degli operatori.

Nonostante firmare per sostenere tutte queste iniziative non costi nulla, risulta ancora importante che questo sia conosciuto. Da qui il senso della Giornata dell’8xmille: «Il numero di coloro che firmano è basso – afferma ancora il sacerdote – e la giornata annuale serve, prima ancora che per invitare alla firma nel “rettangolino” della Chiesa Cattolica, per sensibilizzare alla firma. Per noi, Chiesa, questo è strumento di partecipazione democratica. Il fatto che, come cittadini italiani, lo Stato ci interpelli per chiederci come destinare una parte dei fondi, al di là della preferenza poi espressa, è forte segno di partecipazione della cittadinanza. Ma molti non sanno che possono firmare».

Anzitutto, quindi, è auspicabile che la proposta arrivi a tutti, che tutti siano quantomeno interpellati, anche coloro che non ricevono direttamente il foglio per la firma da un commercialista o dal Caf. Per questo, come ricorda l’incaricato diocesano, «c’è tempo fino al 30 di novembre» e, a tal proposito, sono sorte diverse proposte, come “Una firma per unire” «che coinvolge 29 unità pastorali della nostra diocesi e nelle quali, da maggio a luglio, alcuni volontari si impegneranno nel sensibilizzare e assistere le persone nella raccolta di delle firme dell’8xmille».

 

“Non è mai solo una firma. È di più, molto di più”: al via la nuova campagna 8xmille della CEI

Il borsello di sant’Omobono diventa digitale: anche in Cattedrale il bussolotto elettronico per le offerte




Chiesa di casa, la cura dei lavoratori a partire dalla prevenzione

Nel contesto della Festa del Primo Maggio, la puntata di Chiesa di Casa di questa settimana, ha come tema il lavoro e i lavoratori. Gli ospiti, intervistati da Riccardo Mancabelli, sono Eugenio Bignardi, incaricato diocesano per la Pastorale sociale e del lavoro, presente in studio e, in collegamento, la responsabile della sede Inail di Cremona, Monica Livella. Da un lato le statistiche, dall’altro il messaggio dei Vescovi per la Festa dei Lavoratori: il dialogo è fra i numeri e il tentativo di interpretarli con sguardo cristiano.

Il titolo del messaggio è, infatti, “Dal dramma delle morti sul lavoro alla cultura della cura”, accompagnato dal sottotitolo “La vera ricchezza sono le persone”. Così spiega Bignardi: «L’uomo è al centro di tutto, anche del lavoro; lavoro che è fatto di relazioni e incontri. Quindi, l’uomo è la vera ricchezza. Anche quest’anno siamo chiamati a metterci in ascolto dei lavoratori, soprattutto più deboli». Alla luce di questa visione, dunque, non pare sufficiente una rinnovata attenzione alla tutela dei diritti, ma serve un cammino anche per quanto riguarda la «protezione sociale», come aggiunge Bignardi.

La responsabile dell’Inail di Cremona, che ha anche ricordato che il 28 aprile è stata la Giornata mondiale della salute e sicurezza sui luoghi di lavoro, ha evidenziato che «I dati sono sempre drammatici: dal 2020 al 2021 c’è stato un leggero calo, ma il confronto è complesso». Infatti, le statistiche sono state segnate dal riconoscimento dei casi Covid come infortuni sul lavoro. Tra le particolarità anche «una diminuzione degli infortuni in itinere, per il forte utilizzo dello smart working». Perciò, secondo la dottoressa Livella, sarà utile indagare a fondo l’andamento di questi ultimi anni, intesi non solo come momento di crisi, ma occasione per una riflessione costruttiva, specialmente riguardo le tecnologie.

Secondo l’incaricato diocesano, però, oltre ad una riflessione sui dati, bisogna lavorare con la coscienza che «sono le persone il vero capitale umano, delle aziende, dell’economia». Questo è, secondo Bignardi, il messaggio che sul territorio sta passando anche fra intenditori e in ambito sociale. Tuttavia, è «molto più difficile ragionare in questa ottica, anche perché, come ha detto il Papa in un suo intervento, “sicurezza dei luoghi di lavoro significa custodia delle risorse umane”». La via più ardua, forse, ma anche quella che permette all’uomo la vera «Partecipazione alla costruzione del creato».

In particolare, secondo quanto riferisce la responsabile dell’Inail, l’andamento della provincia di Cremona «si sviluppa allo stesso modo più o meno dell’andamento nazionale» e anche per questo territorio la grande sfida si gioca sui due fronti di «prevenzione e rispetto della legalità». Inoltre, siccome l’origine del problema coincide spesso con un errore umano «incidere sulla formazione è fondamentale, forse unico è l’unico modo per cambiare i nostri comportamenti. Lo stesso decreto 81 non parla solo di “sicurezza” ma anche di “benessere” e “cura” della persona».

L’auspicio con il quale si è conclusa la trasmissione è quello di poter valorizzare alcune buone pratiche, anche sfruttando mezzi tecnologici, per arrivare a un «lavoro che sia luogo di cura dell’uomo».




A “Chiesa di casa” l’anno della famiglia, uno stile che rinnova la comunità


In occasione della festa liturgica della Sacra Famiglia, che la Chiesa celebra il 26 dicembre, nella puntata di questa settimana della rubrica di approfondimento pastorale “Chiesa di Casa” si parla di famiglia. E una famiglia è quella degli ospiti in studio: i coniugi Dainesi,  Maria Grazia e Roberto, incaricati diocesani per la pastorale famigliare.

Il dialogo, condotto da Riccardo Mancabelli, ha rimarcato l’importanza che il Papa, così come la diocesi cremonese, attribuiscono al tema della famiglia. Infatti, dopo un anno dedicato a San Giuseppe, ci troviamo ancora immersi in quello dedicato alla famiglia Amoris Laetitia.

I due ospiti in studio hanno sottolineato come questa attenzione del Papa risulti preziosa, specialmente dopo una fase come quella del lockdown, nella quale è emerso, come ha osservato Roberto, che «La famiglia è un’opportunità, non un problema». Maria Grazia ha poi specificato che il tema la famiglia, a volte, è talmente basilare che passa inosservato, tuttavia – ha aggiunto –  «il covid ha già riacceso riflettori sull’argomento: quante cose non avremmo potuto fare se non ci fossero state le famiglie!».

I due incaricati diocesani per la pastorale famigliare hanno poi raccontato come si è declinato l’anno a livello territoriale, tra le comunità della Chiesa cremonese: «Con la commissione per la pastorale famigliare abbiamo fissato una serie di appuntamenti, fra cui la Giornata delle famiglie a gennaio», senza dimenticare quanto richiesto da papa Franceso, cioè che anche la Giornata Mondiale delle Famiglie, in programma a giungo 2022, sia vissuta nel territorio.

All’interno della nostra diocesi, inoltre, è lo stesso vescovo Napolioni a ricordare cche lo «stile famigliare» offra un modello nuovo di relazione per tutti i settori e le attività della pastorale diocesana. Ciò significa, come spiega Roberto:  «Pazienza, cura, esserci in modo costante» ma vuol dire anche, come continua Maria Grazia «dialogo, che nella famiglia siamo quasi più “forzati” a vivere». L’auspicio è quello che la diocesi guardi a questo stile, affinché esso possa plasmare il futuro della Chiesa.

A tal proposito, anche l’ultima lettera pastorale del Vescovo, “Ospitali e pellegrini. Sulle orme di San Facio”, invita sacerdoti e sposi ad una nuova alleanza e, come commenta Maria Grazia «questo si può giocare a vari livelli: può voler dire che le varie ministerialità devono collaborare, ma anche che devono riconoscere l’una il valore dell’altra».

Quindi, la famiglia come dimensione sempre più attiva e protagonista nella vita delle comunità cristiane, ma che richiede anche di essere rispettata, nei suoi tempi. Roberto e Maria Grazia mettono in evidenza la necessità di proposte che tengano conto dei bisogni della famiglia d’oggi «il lavoro e le varie attività le portano a stare poco insieme». In relazione a ciò, anche l’importanza di iniziative che siano leggere, comunitarie, così che più famiglie possano essere insieme: «I legami e la sana amicizia sono fondamentali» specifica Maria Grazia.

E questo aspetto è già stato osservato, tramite la proposta delle due esperienze a Tonfano e Folgaria: tre fine settimana dedicati alla famiglia e, in particolare, alle coppie. Il primo fine settimana, già svoltosi, con le coppie che accompagnano i corsi in preparazione al matrimonio; il secondo (dal 21 al 23 gennaio) proporrà un’esperienza spiritualità rivolto a tutte le coppie; il terzo riguarderà nello specifico coppie con bambini da zero a sei anni.

Tutte le iniziative le attenzioni dedicate a questo tema, mostrano la crescente consapevolezza che la famiglia è una risorsa. Questo è già un tassello imprescindibile di un cammino, che però deve continuare: «Poi ci “aggiustiamo” cammin facendo» ha sorriso con ottimismo Roberto.

Infine, anche il periodo di Avvento che ci conduce al Natale si rivela imprescindibile per le nostre famiglie, come chiarisce Roberto: «La Sacra Famiglia è una famiglia concreta che si collega alle bellezze e alle difficoltà delle nostre famiglie. Amoris Laetitia e quest’anno, in particolare, ci stimolano a tenere presenti questi temi». Una famiglia come le altre, ma speciale, che ricorda, come conclude Maria Grazia: «Ogni famiglia può essere luce per il mondo anche la più disastrata, per la sua capacità di amare».




A Chiesa di Casa protagonista il nuovo Museo diocesano

Questa settimana in “Chiesa di Casa” al centro della riflessione non poteva che esserci il nuovo museo diocesano, che dopo la presentazione ufficiale alla viglia della solennità patronale di sant’Omobono, il 13 e 14 novembre aprirà per la prima volta – e gratuitamente – le proprie porte ai visitatori.  Per raccontare l’opera e svelarne la ricchezza, sono stati ospiti in studio don Gianluca Gaiardi, incaricato diocesano per i Beni culturali ecclesiastici, e Stefano Macconi, conservatore del Museo diocesano.

Nel dialogo è emersa, anzitutto, l’originalità del criterio seguito per la realizzazione del percorso espositivo. Come spiega Macconi, «non criteri cronologici, ma tematici». Il pensiero che sta dietro a questo lavoro di valorizzazione si focalizza, prima di tutto, sul rapporto tra museo e fede nel territorio: «Dal tema delle origini del cristianesimo e della diocesi di Cremona, attraverso la tematica cristologica e mariana, passando poi ai santi e ad alcune aggiunte tematiche, fra cui la collezione Arvedi».

Il percorso proposto offre spunti anche per il cammino catechistico. Quindi, più che un museo sulla diocesi, si tratta del museo della diocesi: «Vogliamo raccontare, attraverso l’arte, la fede del territorio», afferma don Gaiardi. Le parrocchie hanno, qui, la rilevanza di protagoniste. Protagoniste nella fruizione, ma anche nel prestito di alcune opere. A proposito del prestito, don Gaiardi ha sottolineato il desiderio da parte di alcune comunità di entrare a far parte di un percorso museologico, specificando: «Sottolineiamo che i proprietari rimangono tali, ma tutti così possiamo diventare fruitori del bello».

Questo museo è l’esito di impegno e professionalità da parte di molti. «Aprire oggi un museo non è facile – afferma don Gaiardi – sia per l’esposizione stessa, sia per la sua valorizzazione e tutela». Sono entrate in gioco energie e competenze: dall’architetto Giorgio Palù che ha curato la progettazione, alle agenzie che hanno cooperato. Senza dimenticare il decisivo contributo della Fondazione Arvedi Buschini che ne ha permesso la realizzazione.

Un punto forte, è il recupero di spazi interni al palazzo vescovile. Il museo diocesano è, infatti, ospitato in quelli che furono, un tempo, i locali di servizio del palazzo. Lo spazio espositivo consta di 1400 metri quadrati e conta circa 120 opere esposte.

Il nuovo museo è, però, solo l’ultimo tassello di una valorizzazione del patrimonio storico, culturale, religioso della città, a partire dalla Cattedrale, insieme al Battistero e al Torrazzo, che sicuramente contraddistingue la città e al cui interno, dal 2018, è stato realizzato un “Museo verticale”, tutto legato al tema del tempo». Si tratta, perciò, di un vero e proprio polo culturale, che tassello per tassello, diventa un tesoro sempre più valorizzato e accessibile.




“Beato chi ascolta la Parola di Dio”, con don Compiani a “Chiesa di Casa” i temi e il senso della Domenica della Parola

In occasione della Domenica della Parola, che la Chiesa celebra il 23 gennaio questa settimana, Chiesa di Casa ha incontrato don Maurizio Compiani, biblista cremonese e incaricato diocesano per l’apostolato biblico. Nel dialogo con Riccardo Mancabelli, don Maurizio ha introdotto il significato della «iniziativa voluta da papa Francesco nel 2019, perché tutta la comunità cristiana si concentri sul valore della Parola di Dio. Non solo catechisti, sacerdoti e coloro che direttamente hanno a che fare con il ministero della Parola – ha spiegato – ma tutti i fedeli si devono nutrire del continuo rapporto con la Parola di Dio».

“Beato chi ascolta la Parola di Dio”: questo il tema scelto per la giornata nel 2022: «Richiamando questo passaggio evangelico, il Papa ci indica che il mettere in opera la Parola di Dio è fondamentale, però

occorre stare attenti a cosa si mette in opera: ciò presuppone ascolto attento e fedele della parola, altrimenti metto in pratica le mie strategie e non mi lascio realmente nutrire dalla Parola» spiega don Compiani.

Tuttavia, si potrebbe pensare che le nostre comunità non siano sempre educate ad un ascolto sincero della Parola. Don Compiani, invece, fa notare come «il fatto che la Domenica della Parola cada in questo periodo non è casuale: stiamo vivendo la Settimana dell’unità dei cristiani ma siamo anche molto vicini alla Giornata di preghiera per il dialogo fra cattolici ed ebrei, che è stata il 17 gennaio: è come dire che stiamo facendo un cammino proprio della comunità cattolica, che pone attenzione alla Parola di Dio».

Se dal Concilio di Trento si è verificata una sorta di «disaffezione alla Parola di Dio» – ripercorre il biblista cremonese – il Concilio Vaticano II va a sottolineare il fatto che «la Parola di Dio, per la comunità cristiana, è anche nutrimento diretto». Questa familiarità con la Parola, secondo l’incaricato diocesano, è ultimamente accresciuta: «Sicuramente ci sono state una serie di iniziative per aiutare a conoscere la Parola, come gruppi biblici, gruppi di ascolto della Parola, incontri di preghiera, scuole della Parola». È anche vero, però, come specifica don Compiani, che «la familiarità non nasce in poco tempo. Fa fatica a prendere piede quando nasce da iniziative sporadiche. Ha bisogno di forme più stabili.

Lo scoglio maggiore è forse questo: riuscire a sanare la frattura fra la vita pastorale della Chiesa e la Parola di Dio».

Capita, infatti, che «la Parola sia un riferimento, ma fintanto che non siamo tenuti a fare delle scelte; quando dobbiamo scegliere, spesso ci muoviamo a partire da logiche che poco hanno a che fare con la Parola di Dio». Come l’ospite in studio specifica, «la Parola di Dio deve essere il principio vitale che va ad animare ogni aspetto della vita del credente, sia personale che comunitario. Bisogna tornarci continuamente». 

Familiarità non significa, però, cercare nella Parola le soluzioni che preferiamo, oppure, di fronte ad un brano “scomodo”, scegliere di ignorarlo. Il rischio è quello di adottare «un approccio a volte utilitaristico: vado a cercare ciò che ho già in mente. In tal caso, però, sono io che costringo la parola di Dio entro i miei pregiudizi. Oppure cerco solo la pagina che conferma le mie idee, eliminando le altre». Don Compiani ha dunque rimarcato che tale problematica è sintomo della «necessità di un rapporto continuativo».

Alla Parola bisogna accostarsi «con domande, ma in modo libero: non solo devo scrutare la Parola di Dio, ma devo permettere alla parola di scrutare me, così che mi parli in modo più ampio rispetto alle mie certezze».

Dunque, una Parola che va oltre i nostri pensieri e le nostre immagini. «La riforma liturgica va proprio in questo senso. Secondo quanto ci insegnano i Padri della Chiesa, la Parola di Dio è come una sposa per il suo sposo: cerca il suo coniuge!». Per questo è sempre più auspicabile un ascolto leale e disponibile, nella certezza che la persuasività della Parola non sia frutto di una nostra abilità o delle nostre idee, ma nel contenuto della Parola stessa.