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Mons. Napolioni: «La giornata della pace sia frutto della grazia di cui Maria è ricolma e di cui la Chiesa è serva»

«La giornata della pace sia frutto della grazia di cui Maria è ricolma e di cui la Chiesa è serva». Con queste parole si è aperta domenica 1° gennaio la celebrazione delle 18 in Cattedrale, presieduta dal vescovo Antonio Napolioni. Il primo giorno del nuovo anno è ormai da anni dedicato proprio al tema della pace, ripreso più volte dal vescovo durante la Messa.

In occasione della solennità di Maria madre di Dio, mons. Napolioni ha dunque invitato i fedeli a rivolgere lo sguardo verso la Vergine. «Iniziamo il nostro anno contemplando una ragazza che è madre di Dio», un vero paradosso, secondo il vescovo, che però non ha mancato di sottolineare come questo sproni a vedere nella vita un «pellegrinaggio verso la pienezza del mistero santo di Dio, che ha abitato e sta salvando il tempo».

Un tempo che si rinnova, che cambia, che ogni anno sembra avere un nuovo avvio. «Il Signore ci chiede di consegnarci a Lui e alla comunità – ha esortato Napolioni – esercitandoci nelle virtù di cui la famiglia di Nazaret è stata testimone. Solo allora saremo cristiani giovani, capaci di cogliere in ogni opportunità un nuovo inizio».

Un riferimento al Natale, dunque, da parte del vescovo, e ai doni che esso porta con sé: la consapevolezza del desiderio di Dio di salvare l’uomo. Nonostante questo, però, il male è presente nella vita di ciascuno, tanto che «spesso non riusciamo a darci pace. Non solo tra nazioni, ma nelle famiglie, nelle comunità e anche nelle nostre anime. La grazia del Signore ci aiuti ad essere umili lavoratori nella vigna del Signore, come disse Benedetto XVI».

Più volte, durante la celebrazione, il vescovo Napolioni ha citato le parole del Papa emerito, da poco scomparso. In particolare, riprendendo la Dominus Iesus dell’allora cardinal Ratzinger, ha evidenziato «la centralità della figura di Gesù, unico salvatore del mondo. Questo non ci autorizza a percepire la nostra fede come migliore delle altre, ma ci ricorda che la Rivelazione ha una portata universale, e nessuno se ne può appropriare. Benedetto XVI ce lo ha ribadito più volte: la forza della Chiesa è la sua universalità».

E proprio alla memoria del Papa emerito sarà dedicata la Messa di martedì 3 gennaio, alle 18, che il vescovo presiederà in Cattedrale, una celebrazione in suffragio di Benedetto XVI, per ricordarlo e affidarlo al Padre, insieme a tutta la Chiesa cremonese. La celebrazione sarà trasmessa in diretta tv su Cremona1 (canale 19) e in streaming sul portale internet diocesano e i canali social ufficiali della Diocesi di Cremona.

Un nuovo anno si apre per la città e per la diocesi di Cremona nel segno di Maria, madre di Dio, con la speranza che sia un anno colmo della vera pace che viene dal Signore.

Ulteriore occasione di preghiera e riflessione sul tema della pace sarà la veglia che la sera di giovedì 5 gennaio si terrà in Cattedrale: la celebrazione, presieduta dal Vescovo, vedrà la presenza di padre Gigi Maccalli, missionario cremasco rapito per due anni in Niger, che porterà la propria testimonianza. Anche la veglia per la pace potrà essere seguita in diretta sui canali web e social della Diocesi [leggi per saperne di più].




Parole Raccolte. I nostri anni sotto la punta delle dita




L’età… dell’innocenza




C’è un tempo per sentirsi grandi




Il presepe, tra arte e devozione

Natale e presepe. Due termini che, storicamente, sono legati da una lunga tradizione. Per questo motivo la nuova puntata di “Chiesa di Casa” è stata interamente dedicata al presepe. Ospiti del settimanale diocesano sono stati fra Andrea Cassinelli, frate cappuccino del convento di S. Giuseppe a Cremona, ed Elena Poli, storica dell’arte e guida per il Crart.

La riflessione è partita proprio dal termine tradizione. «Il presepe è realmente parte di essa — ha commentato fra Andrea — nel momento in cui ci spinge a fermarci a pensare al Natale, a quel che sta accadendo, in modo semplice». D’altra parte è proprio nelle case e nelle piccole comunità che, spesso, ci si ritrova per prepararsi a celebrare il Natale vivendo momenti di festa e condivisione.

Presepe, però, «non è solo riproposizione di quanto fatto da san Francesco – ha ricordato Elena Poli – infatti nel mondo dell’arte la tradizione del presepe è strettamente legata alla rappresentazione della natività, già presente nei primi secoli».

Il legame con la storia, dunque, è estremamente rilevante. Tuttavia non manca uno stretto rapporto con l’attualità. «Ciascuno di noi è figlio della propria storia, del proprio passato: siamo ciò che siamo stati», secondo Fra Andrea, che ha aggiunto anche una lettura teologica: «la presenza di Dio è qui e oggi, non solo duemila anni fa. Questa è l’incarnazione».

Il tentativo di attualizzare il presepe, poi, è stato fatto anche dagli artisti di ogni epoca. E spesso ci si ritrova a chiedersi se abbia senso, ancora oggi, spendersi per una rappresentazione di questo tipo. «Forse la domanda che dovremmo porci è la seguente: “Perché, in passato, hanno sentito l’esigenza di proporre il presepe in una certa forma?”», ha raccontato Elena Poli. «Interrogarci in questo senso, forse ci aiuterebbe a renderci conto di come sia impossibile ragionare sull’espressione artistica e tradizionale a priori».

Ed è probabilmente questo il cuore del Vangelo. «Il presepe racconta di una compromissione, da parte di Dio, con la storia degli uomini – ha chiosato fra Andrea – e con il suo legame con la tradizione ci mette in contatto con il nostro passato, aiutandoci a prenderne coscienza per vivere ancor di più nel presente».

Il panorama artistico non si distacca molto da questa visione, secondo Elena Poli: «Ci sono da sempre grandi cambiamenti nel presepe, da Francesco ad oggi, ma è sempre rimasto un unico punto fermo: Gesù».

Con questa consapevolezza si arriva alle celebrazione del Natale 2022, consci della tradizione che, ancora oggi, si esprime, e desiderosi di vivere nell’attualità il Vangelo.




Santuario di Caravaggio, la cupola della basilica ritrova il suo splendore

Una nuova luce per la cupola della basilica di Caravaggio, il cui restauro è stato recentemente completato, lasciando ora la prosecuzione dei lavori alla parte inferiore. A svelare gli affreschi di Giovanni Moriggia (1851) in tutto il loro splendore, rendendo conto dei lavori fatti, è il video realizzato dal Santuario di S. Maria del Fonte e diffuso sui canali social.

Nelle parole del restauratore Alberto Fontanini il ricordo dei dipinti trovati in «condizioni conservative mediocri», a motivo di diverse infiltrazioni avvenute a più riprese nel tempo e che avevano provocato «l’uscita dei sali solubili, il distacco di parte dell’intonachino, il sollevamento del colore e la perdita di larghe porzioni dell’estensione pittorica». Così, dopo la necessaria messa in sicurezza della pellicola pittorica con adesivi specifici, si è potuto procedere con pulitura generale e il successivo consolidamento, anche grazie a una integrazione materica che ha permesso di colmare le lesioni della superficie ridando continuità al dipinto (con una funzione insieme di tipo estetico e conservativo), per poi effettuare un’integrazione pittorica, che è stata volutamente tenuta a un livello di sottotono.

Una situazione studiata in un primo tempo attraverso fotografie ad alta risoluzione, ma di cui i restauratori si sono potuti rendere conto nel dettaglio solo raggiunti i dipinti, grazie all’imponente ponteggio di più di 50 metri installato a partire dal Sacro Speco salendo in alto fino alla lanterna. Un’installazione necessaria per completare l’ultima fase dei restauri dell’intera basilica, iniziati 20 anni fa a partire dalla navata maggiore, quella minore e il transetto sud e proseguiti nel 2018 con il transetto nord.

Nel video anche il commento del rettore del Santuario, mons. Amedeo Ferrari, che ricorda la grandezza delle immagini dipinte, in quanto distanti decine di metri dall’osservatore. Ma la loro «grandezza» è data anche dal fatto che ritraggano «gente del luogo elevata agli onori degli altari: tutta questa scena è la realtà del Paradiso che celebra la gloria di Dio». «Anche il volto di Maria è di una persona comune – prosegue il rettore –, perché la santità è normale, è normalità di vita cristiana».

Nelle parole di mons. Ferrari anche alcuni spunti spirituali, a cominciare dal fatto che l’altezza della cupola «ricorda a chi cammina in terra di tenere alto lo sguardo, perché quello è il destino di ognuno di noi». Ma il rettore di Caravaggio sottolinea anche la devozione e il raccoglimento che non sono mancati in basilica neppure durante il cantiere, con i conseguenti momenti di disagio e di inevitabile disturbo. «Il santuario così restaurato – conclude il rettore – dà davvero l’impressione di essere una casa normale, con persone normali che però hanno il cuore molto largo e alto, e gli occhi puntati uno sulla terra e uno al cielo».

Il cantiere prosegue ora con la pulitura e il restauro dei quattro pennacchi delle colonne che circondano l’altare maggiore e dei sottarchi. L’apparato della cupola, infatti, alto 54,06 metri come risulta dai recenti rilievi effettuati con strumenti di precisione, è sorretto dai quattro piloni che circondano l’Altare Maggiore, sormontati da altrettanti pennacchi sui quali poggia la trabeazione di sostegno alle spesse pareti del maestoso tamburo sovrastato dalla cupola affrescata e chiusa, alla sommità, da una lanterna di 9 metri di altezza al cui centro vi è una stella dorata.

I pennacchi della cupola dipinti dal Moriggia cominciano a prender vita dal 1846, con la raffigurazione di quattro “storie” dell’Antico Testamento in cui sono protagoniste quattro “donne forti”, modelli esemplari delle quattro virtù cardinali: prudenza (Abigail), giustizia (Ester), fortezza (Giuditta), temperanza (Rut). Ospite del sacerdote patriota Giuseppe Mandelli, sagrista del Santuario, Giovanni Moriggia, al quale erano stati commissionati gli affreschi della cupola, lavora quasi in clandestinità dal 1851 al 1854, e quasi in clandestinità fa scalpellare le nervature della tazza della cupola per potervi dipingere senza discontinuità l’apoteosi e gloria di Maria.

A restauri ultimati sarà realizzato un volume per valorizzare i lavori e attraverso il quale si potrà anche sostenere il lavoro di restauro. Ciascuno, infatti, è invitato a contribuire all’imponente spesa, che si preannuncia di oltre 500mila euro. Una spesa in parte è sostenuta dal contributo di Regione Lombardia, ma che per la restante parte sarà a carico del Santuario, anche grazie alla generosità delle tante persone che hanno a cuore la casa di Maria.




Seminario, una comunità rivolta all’essenziale

Rivolti all’essenziale. Questo il titolo della Giornata del Seminario, celebrata in diocesi di Cremona domenica 12 dicembre. Per approfondire le dinamiche tipiche della vita dei giovani in cammino verso il presbiterato la nuova puntata di “Chiesa di casa” ha avuto come ospiti don Francesco Cortellini, vicerettore del seminario di Cremona, e Massimo Serina, di Rivolta d’Adda, seminarista di terza Teologia.

Punto focale della prima parte della trasmissione è stata la parola ”scelta”, apparentemente decisiva per chi decide di avvicinarsi al seminario. «Quella del seminario – ha precisato don Cortellini – è in realtà una scelta parziale di vita: risponde al desiderio di fare un cammino». Inizio della formazione e ordinazione, dunque, non coincidono tra loro. «Ogni giorno la persona sceglie di percorrere quel cammino alla luce del proprio rapporto con Dio, decidendo liberamente se proseguire verso il ministero o rivedere il proprio percorso dopo aver maturato una maggior consapevolezza della propria vocazione».

La dinamica appare quindi come quella di una risposta alla chiamata ricevuta dal Signore, «anche se c’è, a tutti gli affetti, la scelta della persona che decide di coglierne il valore», ha raccontato Serina. «Il seminario è a tutti gli effetti un’opportunità che si affaccia, un’intuizione su quello che potrebbe essere il miglior modo per servire il Signore».

Come ogni scelta, anche quella del Seminario prevede rinunce e privazioni, che, spesso, possono essere considerate molto limitanti. La vita del prete, però, non è fatta solo di fatiche, secondo don Cortellini, ma «il vero senso dell’essere rivolti all’essenziale è quello dell’innamoramento: chi sceglie di stare con il Signore riconosce che è Lui a poter essere il tutto della sua vita».

Il cammino di Seminario, oltre ad aiutare i giovani che vi si affacciano a compiere il proprio discernimento vocazionale, prevede un percorso formativo importante, basato su quattro dimensioni fondamentali: formazione umana, spirituale, culturale e pastorale. «L’ultima è certamente la più avvincente – ha scherzato Massimo Serina – perché ci vede impegnati sul campo, in parrocchia, ogni fine settimana. Gli altri tre aspetti della formazione sono più intimi e, di conseguenza, spesso ci mettono a dura prova a livello personale».

Un’impressione confermata anche dalle parole del vice rettore. «Il cammino di ogni seminarista prevede un accompagnamento personale utile alla costituzione di un equilibrio tra ruolo e umanità: non esiste una ricetta già pronta, ma va costruita insieme».

Condivisione, discernimento e cammino sembrano dunque le parole chiave della vita di seminario. Una vita che è rivolta all’essenziale nel senso più bello del termine, come le parole di don Francesco Cortellini e Massimo Serina hanno saputo testimoniare nel migliore dei modi.




Il direttore di Avvenire: «Per disinnescare le guerre occorre che ognuno si prenda la sua parte di responsabilità»

Un accorato appello a testimoniare contro i conflitti (e se ne contano 169) che feriscono il pianeta e segnano il nostro tempo in maniera drammatica è arrivato dalle parole del direttore di Avvenire, Marco Tarquinio, che ha aperto nel tardo pomeriggio di venerdì, al Centro pastorale diocesano di Cremona, il percorso “Insieme, sulla strada della Pace”. Si tratta del primo di una serie di appuntamenti pensati dall’Ufficio diocesano per la Pastorale sociale e il lavoro per richiamare l’attenzione su questo tema e valorizzare sul territorio la 56ª Giornata mondiale per la pace, che si celebrerà il prossimo primo gennaio. Una serie di eventi voluti da tante realtà tra cui associazioni e gruppi, come le Acli, l’Azione Cattolica, Comunione e Liberazione, Pax Christi, la Tavola della pace di Cremona e quella dell’Oglio Po.

«Per disinnescare le guerre occorre che ognuno si prenda la sua parte di responsabilità chiedendo conto a quelli che hanno il potere di incidere e scegliendo ogni giorno da che parte stare, dicendolo, facendolo palese». Affermazioni accompagnate da passione, quelle di Tarquinio, soprattutto perché dietro a quelle parole c’è una ricchezza di informazioni e dati che mettono a nudo una conflittualità le cui dinamiche spesso restano dietro le quinte del flusso di informazioni che travolge ciascuno.

E se ne è accorta la platea in sala, dove sedeva anche il vescovo Antonio Napolioni, fatta di laici e sacerdoti impegnati nei vari movimenti e associazioni per la pace, fatta dai rappresentanti delle autorità cittadine, ma anche, grazie alla trasmissione in diretta in altri tre punti della diocesi, dalle comunità del Milanese a Cassano d’Adda, della Bergamasca a Covo e del Casalasco-Mantovano a Casalmaggiore.

L’incontro si è aperto con l’introduzione di Eugenio Bignardi, incaricato diocesano per la Pastorale sociale e il lavoro, che ha esplicitato la scelta del nome del percorso. «Insieme, – ha detto – perché null’altra cosa come la pace ha bisogno di tutti. E strada, perché non possiamo restare chiusi nelle nostre chiese». Per il titolo della relazione di Tarquinio «Sorella Pace – Sovvertiamo la guerra: Adesso!» si è preso spunto da un editoriale del 26 febbraio scorso di Avvenire.

Parole che il direttore del quarto quotidiano più letto in Italia ha ribadito con forza: «Occorre una sovversione radicale della logica secondo cui ci sia qualcuno che vince le guerre». Perché la speranza del cambiamento non può che nascere da un completo rovesciamento della logica imperante. «Avete mai visto una guerra che finisce?», ha detto rivolgendosi in maniera provocatoria verso chi lo ascoltava. I conflitti crescono, si accendono, ma non finiscono mai, le loro conseguenze sono disastrose. I Paesi citati sono stati tanti, dal Congo, dove si fronteggiano cinque eserciti ed in gioco c’è il coltan (materiale indispensabile per la costruzione dei cellulari), alla Siria, dove si potrebbero aprire a breve spiragli di pace, o lo Yemen, dove il silenzio delle cronache non restituisce il disastro umanitario in corso da anni, dall’Iraq alla Corea. Per arrivare all’Europa, al conflitto in corso tra Russia e Ucraina, scoppiato di fatto già otto anni fa. Uno scontro «a cui ci stiamo pericolosamente abituando», che slitta dalle prime alle ultime pagine dei giornali, che però «ha turbato i 2/3 degli italiani» e per il quale sono scesi in piazza tanti connazionali e sta lavorando incessantemente la diplomazia (in primis quella vaticana). Una guerra alle nostre porte che «ci riprecipita come europei agli anni 1910/20». Gli ingredienti paiono gli stessi: la crisi economica, una pandemia, un conflitto sul territorio europeo già in corso. Condizioni che devono allarmare, far aprire gli occhi su un’economia che fa crescere gli investimenti più nelle spese militari che nell’istruzione, un’economia che dimentica il concetto cristiano di «giustizia sociale», che non si commuove nemmeno davanti a 169 conflitti e non versa lacrime, come invece il Papa davanti alla Vergine.

Ma una parola e una testimonianza di speranza si può e si deve dire con «veglie, manifestazioni, preghiere, digiuni e cortei», ribadisce Tarquinio. I cittadini responsabili chiedono la pace. E, «nonostante tante parole armate che circolano», molti si informano e danno testimonianza di pace, creando una rete di solidarietà e fratellanza tra i popoli.

 

Il video integrale dell’incontro

 

 

“Sorella Pace. Sovvertiamo la guerra: Adesso!”: il 9 dicembre a Cremona incontro con il direttore di Avvenire e adorazione per la pace in Cattedrale




Sinodo, per avviare uno nuovo stile di essere Chiesa

Una Chiesa rivolta verso l’uomo e a servizio del suo vero bene. È questo l’orizzonte di senso in cui si pone l’esperienza del sinodo della Chiesa universale secondo Diana Afman Alquati e Walter Cipolleschi, referenti del cammino sinodale per la Diocesi di Cremona. Ospiti della nuova puntata di Chiesa di casa, il talk di approfondimento pastorale da giovedì disponibile sui canali web diocesani, entrambi hanno sottolineato come quella del Sinodo sia una dinamica fondamentale per la vita della comunità: esprime il desiderio di «comprendere che cosa lo Spirito chieda a noi cristiani — ha spiegato Cipolleschi — senza esprimere la necessità di un risultato finale che sia quantificabile o valutabile».

Il cammino sinodale si pone, quindi, come occasione di confronto tra tutti i membri della comunità cristiana per crescere nella comunione. «Si percepisce una vera universalità – ha raccontato Diana Afman Alquati – perché recandoci a Roma abbiamo avuto modo di confrontarci con persone di altre parrocchie e diocesi».

La Chiesa italiana, infatti, sta affrontando un percorso comune fatto di diverse tappe. «Ci troviamo ora nella prima fase, quella narrativa – ha riportato Cipolleschi – che si svilupperà anche nel prossimo anno e sarà interamente dedicata all’ascolto. Ad essa farà seguito la fase sapienziale, in cui si rifletterà alla luce della Parola di Dio su ciò che è emerso in questi due anni. L’obiettivo è poi quello di arrivare alla fase profetica: l’ultima, con uno sguardo rivolto al futuro in vista di scelte condivise».

Il cammino, tuttavia, non è fatto di tappe forzate, ma prevede in questa prima fase, di raccogliere in sintesi i contributi di tutti. Il primo documento ha raccolto quanto emerso dalle parrocchie e realtà ecclesiali della diocesi che hanno avviato “spazi” di ascolto. Ed è proprio il legame con la diocesi a essere fondamentale, secondo Diana Afman Alquati: «L’indicazione era quella di parlare con i parrocchiani per comprendere che cosa vedessero e si aspettassero dalla Chiesa. Devo dire che molte comunità si sono buttate con entusiasmo per rispondere alle nostre richieste, talvolta andando oltre e portando contributi estremamente preziosi».

Nella diocesi di Cremona, tra il 2021 e il 2022, sono stati interpellati i Consigli pastorali parrocchiali con il desiderio di raccogliere spunti e sollecitazioni da parte di tutte le realtà che fanno parte delle comunità. La tappa successiva, che ha preso il via nelle scorse settimane con la consegna, da parte della Diocesi, di un sussidio preparato per i Consigli Pastorali Parrocchiali. Un vero e proprio invito, rivolto alla Chiesa locale, ad allargare lo sguardo oltre la parrocchia, per entrare in dialogo con quei mondi, ambienti di vita, nei quali i cristiani vivono accanto ai loro fratelli impegnati a testimoniare il Vangelo per il bene di tutti.

Il livello diocesano, dunque, è il punto di partenza di una riflessione molto più ampia, che si arricchisce sempre più con il contributo delle Chiese sorelle per raggiungere i diversi continenti. «È significativo il fatto che, insieme a Diana, abbiamo partecipato a un incontro in cui ci è stata data la possibilità di ascoltare le esperienze dei referenti di altre Chiese sorelle, non semplicemente italiane».

Un cammino così scandito e coinvolgente, come quello sinodale, si espone, però, al rischio di deludere quelle aspettative e attese che i fedeli hanno manifestato quando sono stati coinvolti. Un pericolo messo in evidenza dalla domanda di Davide Valesi, giovane della diocesi di Cremona che, nel 2017, aveva partecipato al Sinodo diocesano dei giovani: «Al termine di ogni esperienza sinodale vengono prodotti dei documenti. Ma poi, alla comunità, che cosa resta di tutto questo?». ​​​​​​​Alla domanda volutamente provocatoria del giovane, i referenti diocesani hanno risposto in modo chiaro: «Papa Francesco ci chiede di fare una riflessione su come la Chiesa debba camminare oggi sulle strade del mondo — ha commentato Cipolleschi — senza porre alcun termine o una data di scadenza». Alle sue parole hanno fatto eco quelle di Diana Afman Alquati, che ha ricordato come «all’interno del percorso del Sinodo si tiene conto di ogni riflessione, sfruttandola come occasione di stimolo per proseguire un cammino condiviso».

Il sinodo, come ha più volte ricordato il Papa, non dovrà esaurirsi in un evento tra i tanti, né mirare a produrre un nuovo documento, ma avviare uno stile nuovo di essere Chiesa, più impegnata a vivere la comunione a realizzare una vera partecipazione tra tutti i suoi membri e più gioiosamente protesa alla missione. Un cammino che chiederà tempi lunghi, ma anche, sotto la guida dello Spirito scelte concrete e coraggiose.




Il Vescovo per l’Immacolata: «Come Maria lasciamoci stupire dall’irruzione generosa e onnipotente di Dio nella nostra vita»

«Se non ci fossimo già messi in un momento di attesa, di vigilanza, di accoglienza docile, di Colui che viene, la piccola Maria, la bellissima Maria, la Madre della Chiesa, ci viene offerta nel dogma dell’Immacolata Concezione. E noi contempliamo la fantasia di Dio, che non può fare a meno di amarci, di porre un nuovo inizio decisivo per la salvezza del mondo, per il compimento del Suo disegno di santità su tutto ciò che Egli ha creato, in particolare sull’umanità con cui Egli dialoga nella storia. Mettiamoci alla scuola di Maria: non solo la ammiriamo, ma la accogliamo come sorgente di grazia e verità». Si è aperta con queste parole del vescovo Antonio Napolioni la Messa della solennità dell’Immacolata Concezione celebrata la mattina di giovedì 8 dicembre in Cattedrale.

«Abbiamo bisogno di turbarci un po’ anche noi perché non vorrei che l’abitudine non ci permetta di stupirci – ha detto Napolioni citando il Vangelo dell’Annunciazione –. L’insegnamento della Chiesa, il catechismo, prova a spiegare cosa sia la grazia, ma credo che sia molto di più di ciò che noi riusciamo a sintetizzare in poche battute. Non è semplicemente gentilezza: Maria è piena di grazia perché in lei si riversa la potenza dell’Altissimo».

Come Maria, anche ogni uomo è candidato per «fare il pieno di grazia». Da ciò arriva il monito del vescovo: «Cerchiamo il Signore per attingere a questa fonte». Perché nessuno nasce senza alcun difetto e per diventare concreti operatori di pace – come suggerisce mons. Napolioni – bisogna essere riempiti di questa grazia di Dio.

«Il Natale non viene per uno scherzo del calendario, ma viene per un bisogno dello spirito, perché abbiamo bisogno che Gesù rinasca in noi, facendo in noi il pieno di questa grazia». Un pieno che però non è infinito, che si esaurisce durante il percorso, come ha spiegato il vescovo attraverso il parallelismo con il serbatoio dell’automobile: «Ecco perché possiamo farlo ancora e ancora. Io non sarei qui se non avessi avuto la Messa tutti i giorni; è la Sua fedeltà nei miei confronti, non la mia, che è piccola e fragile. Riconoscere che Lui mi si dona tutti i giorni, mi dà pace, mi dà sicurezza, mi porta a ringraziare: la grazia ricevuta diventa atteggiamento, sguardo sulla realtà, gratitudine, fiducia, gioia e pace, quello che Maria canterà nel Magnificat dopo aver accettato il suo turbamento». «Come Maria, che pur essendo stata concepita senza peccato non è esonerata dal suo “sì” alla chiamata di Dio, allora anche noi saremo capaci di ricevere questo dono e di metterlo a frutto – ha concluso –, non se partiremo dai nostri piccoli bilanci, ma se ci lasceremo stupire dall’irruzione generosa e onnipotente di Dio nella nostra vita».

Il canto del Magnificat, simbolo del coraggio e della devozione di Maria, segno caratteristico della celebrazione dell’Immacolata Concezione, ha accompagnato i fedeli durante la distribuzione dell’Eucaristia.

La Messa, concelebrata dai canonici del Capitolo della Cattedrale, è stata servita all’altare dagli studenti di Teologia del Seminario diocesano.