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Giornata mondiale dell’acqua, uno dono e una necessità che chiede rispetto e responsabilità

 

È dedicata all’acqua, di cui il 22 marzo ricorre la Giornata mondiale, la nuova puntata di Chiesa di Casa, il talk di approfondimento diocesano. Un tema su cui si è riflettuto con il rettore del Santuario di Caravaggio, mons. Amedeo Ferrari, Alessandro Lanfranchi, amministratore delegato di Padania Acque, il gestore idrico del territorio, e il canottiere Simone Raineri, campione olimpico a Sidney 2000 e medaglia d’argento a Pechino 2008.

«L’acqua è un bene importantissimo: senz’acqua non ci sarebbe vita sul pianeta – ha ricordato l’olimpionico –, per questo bisogna rispettarla e darle il giusto valore. Purtroppo ultimamente non la si rispetta più». Un elemento prezioso, paragonato, seppur con costi nettamente differenti, al valore dell’oro, guadagnandosi così l’appellativo di “oro blu”.

E l’acqua ha un significato ancor più particolare al Santuario di Caravaggio, «perché ci rimanda al valore materiale, ma anche al senso della vita, e a qualcosa di più alto ancora», ha sottolineato il rettore del Santuario regionale della Lombardia citando le parole di Gesù: «Io sono acqua che sgorga». E se l’acqua è preziosa perché necessaria, «che cosa c’è di necessario, se non Dio?!».

«Le nostre terre sono terre d’acqua. La quantità di acqua che abbiamo è rilevantissima e non ci rendiamo conto di che cosa significhi esserne privi», ha evidenziato Lanfranchi. Con il pensiero rivolto poi ai circa 2 miliardi di persone che non hanno diritto e accesso a questo bene, ma anche al lavoro di chi, sul territorio, garantisce che arrivi nelle case di tutti. «L’obiettivo che abbiamo come azienda – ha aggiunto l’ad di Padania Acque– è quello di restituire l’acqua ai fiumi meglio di come l’abbiamo prelevata», «preservando la biodiversità delle nostre terre e garantendo il servizio a tutti».

Il fiume Po caratterizza la provincia di Cremona e la sua vita. Il Grande Fiume «ha sempre rappresentato pace e tranquillità», ha raccontato Raineri: «Va amato e rispettato. E dobbiamo insegnarlo anche alle nuove generazioni».

«L’acqua è un esempio di rigenerazione: è un fondamentale diluente, ma ha una capacità propria di rigenerarsi – ha detto ancora Lanfranchi –. Questo concetto lo abbiamo voluto applicare in Fondazione Banca dell’Acqua, che da un lato garantisce a chi è in situazione di morosità incolpevole di avere un diritto fondamentale come l’acqua, e dall’altra educa le persone al fatto che l’acqua è un diritto, ma non è gratuita». Uno scambio equivalente, attraverso il quale ogni persona, che magari non può pagare con i soldi, può farlo attraverso il proprio impegno e attraverso i propri talenti, sentendosi gratificata, coinvolta nella comunità e si vede ricambiata con il diritto a usufruire di questo bene fondamentale.

L’acqua come necessità, ma anche come dono. E allora, come ha sottolineato il rettore del Santuario di Caravaggio, proprio perché ricevuto chiede rispetto e responsabilità.




La visita pastorale a Malagnino ha aperto una strada lungo cui incontrarsi durante il cammino

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«L’importante non è camminare in mille direzioni diverse e disperdersi, bensì camminare per incontrarsi: con i piccoli, con i grandi, con le famiglie» verso quella meta da dove tutto è cominciato, «ovvero la grande festa della Pasqua e il desiderio di vedere Gesù».

Il vescovo Antonio Napolioni riassume con queste parole, durante la messa conclusiva, la sua Visita Pastorale nelle comunità di Malagnino avvenuta nell’ultimo fine settimana. Una serie di giornate «belle, intense ed emozionanti», ha commentato il parroco moderatore delle due parrocchie di San Michele Sette Pozzi e San Giacomo Lovara don Paolo Fusar Imperatore, nelle quali «c’è stata una serie di ottimi incontri e relazioni, sebbene “alla maniera di Malagnino”, coinvolgendo a poco a poco diversi gruppi di persone, che si sono lasciate attirare e coinvolgere». 

Filo conduttore della visita alle comunità, dunque, è stata l’esigenza di camminare insieme cercando di capire come discernere le azioni intraprese nel tentativo di allargare il proprio raggio di azione e trovare una direzione più funzionale alle proprie esigenze. «Un tema comune per le associazioni, per l’amministrazione e anche per i catechisti e volontari della parrocchia – ha ricordato don Paolo – e nello stesso tempo è emersa la ricerca di un sempre maggiore coinvolgimento delle famiglie giovani, tenendo conto di tutte le fatiche necessarie in questo impegno». 

I momenti più significativi di questi tre giorni in compagnia di monsignor Antonio sono stati l’incontro con i genitori e i bambini al sabato e l’appuntamento con le realtà sociali e di volontariato del territorio del venerdì sera. «Ogni associazione ha presentato il suo operato e ciò che ne è uscito è stata una maggior conoscenza anche da parte del vescovo dei numerosi legami territoriali; alcune di esse sono nate altrove o trovano energia altrove proprio nella necessità di allargarsi di tener vivo un loro progetto» ha spiegato il parroco. 

Circa ottanta persone, invece, tra adulti e bambini hanno poi partecipato «in modo molto sentito ed emozionato» alla serata con il vescovo, nel quale ha svolto un momento di riflessione animato da qualche attività e confronto. «Anche con i membri del consiglio pastorale e della parrocchia c’è stato l’ascolto della Parola in chiesa con contributi interessanti» sottolinea don Paolo. La scelta poi di lasciare molto tempo libero al vescovo tra un appuntamento e l’altro del programma si è rivelata vincente perché, secondo il parroco, «questo ha permesso a monsignor Napolioni di dialogare con tante persone; durante gli spostamenti a piedi in paese infatti molti che avevano voglia di parlare o salutare senza la fretta dell’orologio si sono fermati per scambiare qualche parola con lui». 

 

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Questo sentimento di unità nella quotidianità di una realtà “fresca” è stato ribadito dal vescovo come “appello” durante la Santa Messa conclusiva di domenica, concelebrata nella chiesa di San Giacomo Lovara da don Paolo Fusar Imperatore e dal parroco in solido don Eugenio Pagliari, autore dei volumi sulla storia di San Giacomo del Campo, strumenti preziosi per conoscere e conservare la memoria della comunità.

«Vi auguro di proseguire il cammino delle comunità e di amicizia con quelle vicine –  ha detto nell’omelia monsignor Napolioni – ci sono delle belle idee semplici, umili ma concrete, da portare avanti coi vostri sacerdoti, con le famiglie appassionate e giovani che avete la fortuna di avere in questo territorio. Facciamo davvero esperienza della vicinanza di Gesù, della Sua presenza viva». L’invito, dunque, è quello di creare legami più proficui in vista dell’orizzonte della gioia comune. «Il vescovo non dà certo una pagella o un giudizio alle parrocchie. Ho visto tante persone che servono la comunità cristiana, sociale e di paese; c’è quasi una gara a chi ne fa di più». Perciò «attenti che questa competizione non crei problemi: mettetevi d’accordo e fate sì che ci sia un guadagno per tutti» perché «si risvegli in me e in voi lo stupore per i segni nascosti, umili ma realissimi, della presenza di Gesù come il chicco di grano del Vangelo di oggi».

 

Il video integrale della Messa conclusiva




A Chiesa di Casa una riflessione sulla paternità: in famiglia, nella società e nella chiesa

 

«Il mio papà è un supereroe» è una frase che molti bambini, nel corso della loro vita, hanno pronunciato almeno una volta. Nei giorni che precedono san Giuseppe – la festa del papà – anche Chiesa di casa, il talk di approfondimento della Diocesi di Cremona, ha dedicato una puntata alla figura del padre.

«Una volta il mio primo figlio mi ha chiesto se fossi l’incredibile Hulk – ha scherzato Luca Maffi, papà e coordinatore a S. Giovanni in Croce della comunità Tenda 2 – ma non penso di rappresentare un eroe. Più che altro cerco di essere un esempio per i miei figli. Il mio esserci, il sostegno che cerco di dare loro vuole essere la testimonianza di una presenza che c’è ed è pronta ad accompagnare il loro cammino di crescita. A volte facendo anche un passo indietro».

Come per tante altre figure educative, anche per quella paterna vale allora un discorso di equilibrio tra presenza e assenza. Quest’ultima, talvolta, può diventare buio. A raccontarlo è Maria Acqua Simi, giornalista cremonese che ha perso il padre quando era al liceo. «È stato uno strappo violento, che ci ha fatto male. Eppure, in quella situazione è emersa un’attenzione particolare che i miei genitori hanno avuto nei confronti di noi figli: papà e mamma, insieme, hanno saputo affidarci a una provvidenza ancor più grande, a un amore che sapevano di non poter eguagliare. Molti volti, tra cui diversi sacerdoti, ci sono stati vicini, dimostrandoci cura e affetto paterni».

L’idea di una paternità che superi quella biologica è dunque molto rilevante. Nel caso dell’esperienza cristiana, si parla a tutti gli effetti di padri spirituali, ossia «compagni di viaggio che condividono una parte di cammino con coloro che sentono il bisogno di essere affiancati», secondo monsignor Dante Lafranconi, vescovo emerito di Cremona. «Il rimando immediato è all’unico vero Padre, di cui noi uomini cerchiamo di essere strumenti per il bene dei fratelli. La sfida più grande, spesso, è quella di saper aspettare, perché i tempi di Dio non sono i nostri. In questo senso Giuseppe è un grande esempio: in una situazione molto particolare, come quella che si è trovato a vivere, da uomo di fede ha saputo fidarsi della sua sposa e affidarsi pienamente al Signore».

Parlare di padri, allora, non significa solo celebrare dei supereroi. Le riflessioni emerse dalla nuova puntata di Chiesa di casa suscitano una riflessione seria e profonda sulla paternità – in tutte le sue forme – e sul suo ruolo nella famiglia e nella società.




Magatti: «Si è ridotta la ragione a ragione calcolatoria e lo spirito a spirito individualistico»

 

«Le religioni rendono possibile l’esperienza umana nella sua integralità» in un clima culturale in cui «l’Intelligenza artificiale sta portando ad estreme conseguenze il processo di riduzione della ragione a ragione calcolatoria». È questa la conclusione (ma anche il punto di partenza per ulteriori approfondimenti) a cui ha condotto la riflessione di Mauro Magatti, professore di Sociologia (Facoltà di Scienze politiche e sociali dell’Università Cattolica del Sacro Cuore ed editorialista de Il Corriere della Sera e Avvenire) nel suo intervento presso l’aula magna del Campus dell’Università Cattolica di Cremona, lunedì 11 marzo.

L’incontro, dal titolo Religioni e Intelligenza Artificiale era inserito come quarto appuntamento nel ciclo Intelligenza artificiale, chi sei? organizzato dal Centro pastorale della Cattolica di Cremona, una serie di conferenze pensate per affrontare, da più punti di vista, un tema al momento piuttosto caldo e sul quale la formazione, non solo dei giovani ma anche degli adulti, richiede particolari competenze e profondità di pensiero.

A introdurre Magatti, alla presenza in sala del vescovo Antonio Napolioni, è stato don Maurizio Compiani, assistente dell’Università Cattolica di Cremona, e Pierpaolo Triani, docente alla Cattolica di Piacenza di Pedagogia generale e della cura educativa.

«È un tema sfidante quello dell’Intelligenza Artificiale – secondo Triani –. che crea grandi ansie ma anche gradi aspettative», che smuove le coscienze su tanti aspetti del vivere e che «interpella anche la dimensione religiosa».

Innanzitutto bisogna capire che cosa sia la tecnica che, sulla scorta di Socrate e Platone, Magatti definisce «un farmaco, un veleno curativo», davanti al quale non ha senso considerarsi «tecnoentusiasti» e nemmeno «tecnofobici». La tecnica fa passi da gigante, ci ha condotto all’IA e ora «dobbiamo starci dentro». Nessuna esaltazione e nessuna demonizzazione, dunque, da parte del sociologo che invita invece a capirne le logiche.

E per farlo ha intrapreso un excursus sul concetto di «pensiero, di νοῦς», come lo chiamavano i Greci, fino ai giorni nostri. Un viaggio nel tempo attraverso la cultura occidentale per spiegare ai numerosissimi presenti in aula magna che il νοῦς «si basava su due pilastri: l’intelletto e lo spirito». Per entrambi questi due elementi fondanti, però, si è arrivati a un processo di esternalizzazione per cui «l’intelletto prima è diventato ragione e poi nel tempo ragione calcolatoria» affidata alle macchine e non più alla mente umana. Un simile processo è avvenuto anche per la dimensione spirituale, nella quale un tempo si confondeva e fondeva il religioso e che ora «è un’idea quasi sparita».

Per cui «l’Intelligenza Artificiale si inserisce in una cultura che non solo ha separato fede e ragione, ma ha ridotto la ragione a ragione calcolatoria e lo spirito a spirito individualistico». Ecco dunque con che cosa deve fare i conti la religione, il cristianesimo (che Magatti definisce «religione di libertà»), ma anche tutte le altre confessioni. Non è un caso che «sotto i 35 anni l’esperienza religiosa in Europa sia quasi azzerata».

Senza rischiare di cadere nei fanatismi (cosa che Magatti vede come una strada percorsa da molte confessioni religiose di questi tempi) alla religione spetta l’arduo compito di «conservazione dell’umano».

Come farlo è una grande sfida, come lo è gestire una tecnica che corre e avanza ben più velocemente del pensiero riflessivo dell’uomo.

 

Il video integrale dell’incontro a cura dell’Università Cattolica

 

L’incontro del 10 maggio

Il ciclo d’incontri proseguirà venerdì 10 maggio con un ultimo appuntamento, promosso nell’ambito della Giornata mondiale delle comunicazioni sociali in collaborazione con l’Ufficio comunicazioni della Diocesi di Cremona e il mensile diocesano Riflessi Magazine. “Dov’è il sapiente?” (1Cor 1,20) Le Intelligenze Artificiali tra algoritmi e libertà è il titolo dell’incontro che si terrà alle ore 18 e che vedrò intervenire padre Paolo Benanti, professore di Teologia morale alla Pontificia Università Gregoriana di Roma, unico italiano chiamato a far parte del New Artificial Intelligence Advisory Board, organismo dell’ONU, composto da 39 esperti di varie parti del mondo, che ha il compito di valutare rischi e opportunità e definire una governance internazionale dell’IA. Il 5 gennaio 2024 è stato anche nominato presidente della Commissione sull’Intelligenza Artificiale per l’informazione del Dipartimento per l’informazione e l’editoria della Presidenza del Consiglio dei ministri (detta “Commissione algoritmi”).

 

IA: più le opportunità che i rischi secondo i giovani italiani, che però sul tema sono meno informati che i coetanei europei




Chiesa di casa, puntata in rosa per la festa della donna

 

Auguri e mimose sono tradizionalmente i segni caratteristici della giornata internazionale della donna. Gesti semplici, che vogliono celebrare una festa, ma che non devono diventare superficiali o scontati. Per questo motivo, nella nuova puntata di Chiesa di Casa, il talk di approfondimento della diocesi di Cremona,  l’accento è stato posto proprio sulla persona in quanto tale, più che sulle celebrazioni che, ogni anno, l’8 marzo porta con sé.

Per suor Paola Rizzi, delle Adoratrici del Santissimo Sacramento di Rivolta d’Adda, «è necessario ricordare che ciascuno deve cercare di essere al meglio di sé. I concetti di parità e uguaglianza sono forse il minimo sindacale, ma finché giochiamo al minimo non riusciamo a fare quel salto che ci è chiesto dal Vangelo e dall’umanità. Ogni persona è chiamata a esprimere la propria identità, che è unicità. L’appiattimento, invece, diventa già una prima forma di violenza, perché impedisce di far emergere la propria specificità».

Il discorso si è dunque sviluppato in modo non generalista, provando ad affrontare anche le questioni più spinose in modo serio e approfondito. Un’attenzione particolare è stata posta sulle relazioni, spesso faticose, che tante donne sono costrette a vivere. L’avvocato Elena Guerreschi, presidente di Aida, associazione attiva sul territorio nella lotta alla violenza sulle donne, ha ribadito che «è necessario prendere consapevolezza che ci sono rapporti che non possono guarire. Troppo spesso siamo stati abituati a pensare, o a dire, che bastano alcuni semplici atteggiamenti per riabilitare una relazione malata. Non è così. E non c’è ragione per cui una persona, una donna, debba subire determinati trattamenti». Proprio in queste situazioni, però, possono nascere germogli di speranza. «Il confronto con un’amica, la mano tesa di un parente, o di un volontario, possono diventare occasione per costruire nuove relazioni, questa volta virtuose, e provare a uscire da quel buio che, troppo spesso, diventa totale».

Ed è questa l’esperienza di Casa di Nostra Signora, la struttura della Caritas diocesana che a Cremona accoglie e accompagna donne che vivono situazioni di particolare fragilità. «Per le persone che incontriamo – ha raccontato Nicoletta D’Oria Colonna, coordinatrice della struttura – l’incontro con una persona di cui potersi fidare è fondamentale. È richiesta una certa delicatezza e cura nei rapporti, affinché possa iniziare un vero percorso di riabilitazione. Le donne che arrivano da noi sono passate, o vivono, una situazione di buio. Da essa cerchiamo di partire per costruire qualcosa di nuovo, per riaccendere una luce sul domani».

La luce e lo sguardo sul domani sono allora le parole chiave emerse dal confronto tra le ospiti di Chiesa di Casa. «Mi piace pensare – ha concluso suor Paola Rizzi – che, a caratterizzare le donne, sia quella tenerezza che le rende capaci di essere attente ai piccoli germogli di vita, dare alla luce. Educhiamoci, ed educhiamo i nostri ragazzi, a saper riconoscere il bello che c’è nelle persone che si trovano di fronte. Credo sia questa la vera sfida».




IA: più le opportunità che i rischi secondo i giovani italiani, che però sul tema sono meno informati che i coetanei europei

Le Intelligenze Artificiali stanno assumendo un ruolo sempre più centrale nel dibattito etico e sociale. Ad oggi la paura che queste tecnologie possano prendere il posto del personale umano nei luoghi di lavoro è un sentimento diffuso, che mette in agitazione molte persone. Le capacità di automatizzazione, dimostrate in diversi settori del panorama occupazionale, non smettono di allarmare gran parte dei lavoratori, ma l’avvento delle IA è veramente un rischio concreto, o forse è solamente una questione di punti di vista?

Al Campus Santa Monica di Cremona, per rispondere a questa domanda, è intervenuta la professoressa Ivana Pais, docente di Sociologia economica presso la facoltà di Economica dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, in occasione del terzo incontro del ciclo di conferenze Intelligenza artificiale, chi sei? organizzato dal Centro pastorale della Cattolica di Cremona nelle settimane di Quaresima. Al tavolo dei relatori hanno introdotto l’incontro la professoressa Franca Cantoni, docente di Business Organisation, e don Maurizio Compiani, assistente del Campus.

Al centro della riflessione della professoressa Pais una domanda ha fatto anche da titolo alla conferenza: L’Intelligenza Artificiale ci cambierà la vita? Come ogni cambiamento, anche questo porta con sé paure e incertezze che, però, a volte, risultano farsi meno gravi quando si inizia ad approfondire con precisione la questione.

«Quella che stiamo vivendo oggi è una situazione un po’ nuova – ha spiegato la sociologa Ivana Pais –. In passato chi produceva dei rischi, come per esempio quelli di tipo ambientale, cercava di tranquillizzare l’opinione pubblica sull’effettiva presenza di questi; e poi c’era chi si batteva per impedire che si vivesse una situazione di pericolo. Oggi la situazione, nell’ambito delle Intelligenze Artificiali, si è totalmente ribaltata: i produttori delle IA ne denunciano i rischi, mentre i dati raccontano che la percezione dei giovani italiani nei confronti delle nuove tecnologie è positiva». Il principale rischio che oggi si percepisce è soprattutto quello legato al mondo del lavoro, ma si tratta comunque di un problema a lungo termine. Ma ce n’è un altro, molto reale, poco considerato. «Sono completamente sottovalutati – precisa la docente – i rischi ambientali legati all’Intelligenza Artificiale: noi continuiamo a considerare le IA come presenti solo nel mondo digitale, ma non è così. Allo stesso modo si stanno facendo concreti i problemi sociali che derivano dalla disuguaglianza fra chi è in grado di sfruttare le potenzialità delle nuove tecnologie e chi invece ne subisce gli effetti».

Alla base dello studio sociologico legato al mondo delle IA c’è l’analisi dei dati raccolti dall’Istituto Toniolo. I grafici mostrano che in Europa, e in particolare in Italia, le fasce più giovani della popolazione sono ben disposte nei confronti dell’avvento delle Intelligenze Artificiali, ma la positività nei loro confronti rischia di essere supportata solamente da una scarsa conoscenza dell’argomento. Infatti «dopo aver analizzato i dati abbiamo fatto una serie di riflessioni – ha detto la professoressa Pais – e abbiamo tratto delle conclusioni: gli italiani vedono nelle IA più opportunità che rischi, e su questo aspetto sono in percentuale superiori rispetto alla media europea, ma allo stesso tempo si è visto che i giovani italiani sono anche meno informati e meno consapevoli di cosa siano le Intelligenze Artificiali rispetto ai ragazzi europei. Si potrebbe quindi presumere che la positività nasca in parte dalla carenza di conoscenza dell’argomento. È anche vero, però, che questo aspetto fiduciario può essere un ottimo strumento che servirà per delineare quali sono i punti di forza e le debolezze che interesseranno la società del futuro».

Ed è proprio volgendo lo sguardo al domani che ci si è accorti che sarà necessario andare a tracciare delle linee guida che possano delimitare le applicazioni delle IA, proprio per questo la professoressa Ivana Pais ha spiegato che «si sta capendo che sarà necessario strutturare un regolamento che possa fissare dei limiti alle Intelligenze Artificiali, in questo modo si limiterebbero i rischi ed aumenteranno gli aspetti positivi. Ad oggi siamo in una situazione intermedia, nello stadio che in sociologia è descritto come posto tra la sicurezza e la distruzione, e per scongiurare le minacce e i pericoli che potrebbero verificarsi ci si sta muovendo per creare una normativa efficace che funga da binario per lo sviluppo e l’utilizzo delle Intelligenze Artificiali».

 

Il video integrale dell’incontro a cura dell’Università Cattolica

 

 

Calendario dei successivi incontri:

Lunedì 11 marzo, ore 16.30: Religioni e Intelligenza Artificiale – Mauro Magatti, professore di Sociologia (Facoltà di Scienze politiche e sociali dell’Università Cattolica del Sacro Cuore ed editorialista de “Il Corriere della Sera” e di “Avvenire”)

Venerdì 10 maggio, ore 18.00: “Dov’è il sapiente?” (1Cor 1,20) Le Intelligenze Artificiali tra algoritmi e libertà – Paolo Benanti, professore di Teologia Morale (Pontificia Università Gregoriana, Roma). Incontro promosso nell’ambito della Giornata mondiale delle comunicazioni sociali in collaborazione con l’Ufficio comunicazioni della Diocesi di Cremona e il mensile diocesano Riflessi Magazine.

 

IA, artefici di processi generativi o creativi?

 




Visita pastorale a Soncino e Casaletto, il Vescovo: “Non si deve mai avere paura di seguire il Signore»

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«Gioia, gratitudine e speranza. Sono i sentimenti che porto nel cuore, perché in questi giorni ci siamo incontrati, ci siamo capiti, ci siamo ascoltati e ci siamo voluti bene». Così il vescovo Antonio Napolioni all’inizio della Messa solenne, nella mattinata di domenica 3 marzo, nella pieve di Santa Maria Assunta, che ha concluso la sua visita pastorale alle parrocchie di Soncino (con la frazione Isengo) e di Casaletto di Sopra e Melotta. Una celebrazione presieduta dal vescovo e concelebrata dal parroco di Soncino don Giuseppe Nevi con il vicario don Gabriele Barbieri e don Rinaldo Salerno (residente in paese) e da don Massimo Cortellazzi, parroco di Romanengo, Casaletto di Sopra e Melotta.

Una Messa molto partecipata – alla presenza anche del gruppo scout Soncino1 – nella quale il vescovo ha esortato a essere «Chiesa di Gesù che porta a compimento la legge di Dio nel discorso della montagna», a essere «Chiesa del Tempio, dove per Tempio si intende Cristo, la sua persona e il suo corpo» e conclusa ricordando agli abitanti di una terra ricca di santità, passata, presente e futura che “non si deve mai avere paura di seguire il Signore».

Iniziata nella serata di giovedì 29 febbraio con una un momento di preghiera che il vescovo ha vissuto insieme agli operatori e ai volontari delle parrocchie nella chiesa San Giacomo, la visita pastorale ha toccato ogni aspetto del tessuto sociale, spirituale e politico-amministrativo di Soncino e dei paesi limitrofi.

Significativa la visita alla Rsa della Fondazione Soncino, nella quale si tocca con mano, quotidianamente, la fragilità delle persone, così come l’incontro, in forma privata, con delle famiglie del posto provate da recenti lutti.

Molto sentito anche il momento dell’incontro con gli amministratori comunali e con il volontariato locale nella mattinata di sabato, presso la sala consiliare del Municipio, dove il sindaco di Soncino Gabriele Gallina, presente il suo collega di Casaletto di Sopra Roberto Moreni, ha fatto gli onori di casa presentando e dando la parola prima ai suoi assessori e poi agli esponenti dell’associazionismo locale. A tutti quanti il vescovo ha spiegato che «Se la parrocchia è più parrocchia, se il Comune è più Comune, se la famiglia è più famiglia c’è un guadagno per tutti, ma questo guadagno è proficuo se c’è un discernimento comune»; dopodiché ha rivolto loro un’esortazione: «Che questa consuetudine di dialogo fra le associazioni, la Chiesa e le Istituzioni sia sempre più fruttuosa».

 

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Fra le realtà visitate dal presule anche il centro di formazione professionale della cooperativa InChiostro, da lui definita come una scuola particolarmente importante e interessante perché «promuove l’integrazione aiutando la società a essere migliore e sostenendo, con il suo operato, che le diversità possono diventare ricchezza».

Non sono mancati i classici momenti delle visite pastorali: l’incontro con i bambini delle scuole materne, quello con i ragazzi e i giovani e pure quelli con le loro famiglie.

Né è stato tralasciato un apposito momento (sabato pomeriggio) con le comunità di Casaletto di Sopra e di Melotta.

«Al termine di questa visita pastorale – commenta don Giuseppe Nevi – vi sono un paio di riflessioni da fare. La prima è che vanno coniugate fede e ragione: non si può credere senza pensare e non si può pensare senza credere. La seconda è sui vari mondi che abbiamo incontrato in questi giorni: sotto un’apparente normalità esistono persone di grande fede». Lo stesso don Nevi, al termine della Messa di domenica mattina, nel suo saluto finale, ha sottolineato come a conclusione della visita pastorale «si va avanti con la certezza che l’opera del Signore si realizza anche nel nostro tempo».

 

Il video integrale della celebrazione nella Pieve di Soncino

 

 




Una Quaresima di carità per «allargare idealmente le sbarre»

 

Costruire dei ponti. Questo è l’obiettivo, secondo don Roberto Musa, cappellano della casa circondariale di Cremona, della proposta per la Quaresima di Carità della diocesi cremonese. Protagonisti dell’iniziativa, coordinata dalla Caritas diocesana, sono infatti le persone detenute presso l’istituto cittadino. «L’idea che abbiamo condiviso è proprio quella di provare ad allargare idealmente le sbarre che ci sono alle finestre per permettere a chi si trova in carcere di vedere il mondo esterno non solamente come qualcosa di ostile».

A raccontarlo è proprio don Musa, insieme alla direttrice della struttura, Rossella Padula, durante la nuova puntata di Chiesa di Casa, il talk di approfondimento della Diocesi di Cremona.

«Il timore più grande che hanno – secondo il sacerdote – è quello di non avere una seconda possibilità. Hanno il desiderio di uscire dal carcere, ma fuori non sempre hanno punti di riferimento. Spesso la libertà spaventa, e si manifesta la paura di cadere nuovamente in qualche situazione critica. Molti chiedono di essere inseriti in contesti diversi e nuovi, per sfuggire a questo rischio». Nonostante questo, la speranza della libertà resta cruciale per tutte le persone detenute. Viverne la privazione è certamente una fatica, ma spesso rappresenta l’inizio di un percorso. Per la direttrice Padula, l’avvio di questo cammino è decisivo. «La presa di coscienza del fatto è un elemento imprescindibile, sia per chi si trova in carcere in attesa di giudizio, sia per chi sta già scontando una condanna». In questo secondo caso, la sentenza ha già sancito una colpa, «ma il vero passo in avanti viene compiuto solo quando questa colpa è riconosciuta e accettata. Da qui si può dare il via ad una serie di ragionamenti, confronti e riflessioni per pensare ad una vera riabilitazione e reinserimento della persona all’interno della società». La sottolineatura della direttrice sulle dinamiche relazionali non è casuale. «Molte persone vivono e incontrano la realtà del carcere: poliziotti penitenziari, psicologi, criminologi, educatori, medici, sacerdoti e tanti operatori esterni. Ciascuno di loro porta avanti un percorso di accompagnamento che è fondamentale, e che può dare speranza a tutti coloro che sperimentano una mancanza profonda».

L’incontro, allora, diventa occasione di crescita e maturazione. Diventa luogo in cui è possibile “Dare speranza alla giustizia”, come recita il titolo del progetto per la Quaresima della diocesi di Cremona. In questo senso la Chiesa cremonese è molto attiva, per don Musa, «perché numerose associazioni, oltre all’impegno di Caritas, si interfacciano con la casa circondariale e con le persone detenute. È un’attenzione importante, perché molto spesso proprio nell’incontro personale nasce quella condivisione che può aiutare chi si trova in carcere a prendere coscienza della propria colpa e a superarla, senza trattarla in modo superficiale, ma anche evitando il rischio di assolutizzarla».

Le considerazioni di don Musa e di Padula aiutano ad umanizzare una realtà che, spesso, è considerata come un istituto a se stante e lontano dalla realtà. È la direttrice stessa a ricordare che «siamo noi a poter fare la differenza. Tutto dipende da ciò che noi offriamo alle persone detenute, anche e soprattutto in vista del loro rientro in società. Molti di loro sono soli, stranieri, quindi necessitano di un’attenzione particolare. Cura è forse il termine che meglio racchiude ciò che siamo invitati a vivere e sperimentare in ciò che facciamo».

Parlare di giustizia, detenzione e pena non è mai semplice. Lo sguardo che Rossella Padula e don Roberto Musa invitano a tenere, però, è quello della speranza. La speranza di un domani migliore, di una nuova occasione. Di una rinascita.

A meno di un mese dalla celebrazione della Pasqua, l’incontro con una realtà che, metaforicamente, racconta storie di morti e resurrezioni può allora essere decisivo per la vita di ciascuno. Per superare la chiusura, delle celle e dei cuori, serve conoscere, incontrare, toccare con mano. In poche parole, serve costruire ponti.




Unitalsi, il 17 marzo la Giornata nazionale: anche in diocesi banchetti per “un gesto di bontà”

Sostegno e assistenza sono i valori alla base dell’esperienza Unitalsi che, nel weekend del 16 e 17 marzo, celebra la 22ª Giornata nazionale, sul tema “Sostienici con un gesto di bontà”. In questa occasione i gazebo dell’associazione popoleranno molte piazze d’Italia, e naturalmente grazie all’impegno della Sottosezione Unitalsi di Cremona la presenza sarà garantita anche sul territorio diocesano.

In questa occasione i volontari Unitalsi proporranno, con una semplice offerta, un cofanetto contenente quattro confezioni da 400 grammi di pasta di semola di grano duro, di tipologie diverse: un bene primario che racchiude il valore simbolico del chicco di grano che sa farsi nutrimento.

Un cofanetto dell’Unitalsi che può diventare anche un dono da offrire a chi vive situazioni in difficoltà, con un gesto di umanità verso i più bisognosi sostenendo nello stesso tempo le attività dell’associazione.

In diocesi di Cremona i banchetti Unitalsi domenica 17 marzo saranno presenti in diverse località in occasione delle celebrazioni. In particolare nelle parrocchie di Castelverde, Pescarolo, Piadena, Soresina. A Cremona, invece, presso le parrocchie di Sant’Imerio (ore 9); San Michele (ore 10 e 11.30); San Pietro al Po (ore 10.30 e ore 18.15). In Cattedrale l’Unitalsi sarà presente già nel pomeriggio di sabato 16 marzo in occasione della Messa delle 18 e domenica alle ore 9.30 e 11.

Quanti non avessero possibilità di contribuire in queste occasioni potranno farlo anche successivamente contattando la Sottosezione Unitalsi di Cremona al 348-8124577 e concordando la modalità.

«La giornata nazionale è un’occasione importante per tutta la nostra associazione – sottolinea Rocco Palese, presidente nazionale Unitalsi –. Abbiamo bisogno dell’aiuto di tutti, soprattutto di quanti vogliono bene e credono in questa associazione, affinché continui a essere vicino alle persone fragili, ammalate e sole. Saranno due giorni intensi in cui i nostri volontari incontreranno tante persone che ancora non ci conoscono, sarà un momento prezioso per raccontare e testimoniare con gioia l’Unitalsi, i suoi progetti di carità, le sue attività di prossimità, di ascolto e tutte le iniziative per l’organizzazione dei pellegrinaggi».

Testimonial della ventiduesima edizione della giornata nazionale è un volontario d’eccezione, Flavio Insinna.

L’appuntamento che si volgerà nelle principali piazze del Paese offrirà l’opportunità di conoscere le attività di volontariato dell’Unitalsi in Italia e all’Estero, i progetti di solidarietà come il “Progetto dei Piccoli”, dedicato all’accoglienza delle famiglie dei bambini degenti nei principali centri ospedalieri pediatrici oncologici e il calendario delle prossime partenze dei pellegrinaggi a Lourdes, Fatima, Santiago de Compostela, Polonia Loreto, Pompei e Siracusa.

 

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La basilica di Rivolta d’Adda protagonista su BergamoTv

Un gioiello della nostra pianura, un edificio che gli studiosi considerano un esempio fra i più significativi e interessanti dell’arte lombarda del medioevo. È la basilica di Santa Maria e San Sigismondo, quasi millenaria chiesa situata nel cuore di Rivolta d’Adda, che è stata oggetto di un ampio servizio andato in onda nei giorni scorsi nell’ambito del programma “Gente e paesi. In viaggio con voi” di Bergamo Tv.

A condurre l’inviata Benedetta Roncalli e i telespettatori alla scoperta di questo autentico tesoro d’arte e di architettura sacra è stato Cesare Sottocorno, insegnante oggi in pensione, appassionato studioso della storia e delle tradizioni locali.

«La basilica – ha spiegato Sottocorno rispondendo alle domande della giornalista – risale alla fine dell’undicesimo secolo. Agli inizi del Novecento l’allora parroco monsignor Agostino Desirelli incaricò l’architetto milanese Cesare Nava di progettarne i restauri e la scelta fu quella di riportarla alla sua originaria struttura romanica. Fu aggiunto, ad esempio, il pronao che originariamente non esisteva».

Tre le navate, delle quali la centrale ha una volta a botte, le laterali a crociera. Di grande pregio gli affreschi.

«Dopo i lavori di restauro – ha proseguito Sottocorno – l’architetto Nava incaricò il pittore e decoratore Ernesto Rusca, una personalità nel proprio campo, di affrescare le pareti della basilica raccontando la storia della Chiesa. Nei capitelli invece la riproduzione del bestiario medievale rappresenta l’eterna lotta fra il bene ed il male».

Circa l’altare, del 1765, in stile neoclassico, Sottocorno ha raccontato che nel 1958 l’allora cardinale Giuseppe Roncalli, venuto a Rivolta in visita alle Suore Adoratrici del Santissimo Sacramento, avendone sentito parlare, chiese di poter visitare Santa Maria Assunta e San Sigismondo. Il parroco dell’epoca, che gli fece da guida, gli domandò se avesse dovuto togliere l’altare, come qualcuno voleva, ma il futuro papa (lo sarebbe diventato entro pochi mesi) gli disse di no perché “Ogni epoca ha le sue bellezze”.

La trasmissione di BergamoTv su è quindi soffermata, dietro l’altare, sull’affresco che narra l’Ultima Cena e gli altri dipinti, più o meno antichi.

«Una chiesa che fa emozionare – ha sottolineato la giornalista – e che permette a chi la visita di rivivere l’epoca romanica. In questa basilica ogni angolo parla della sua lunga ed affascinante storia».

«Penso sia una delle più belle testimonianze del romanico – le ha fatto eco Sottocorno – che in Lombardia non mancano, ma questa di Rivolta d’Adda è una delle migliori».

«La comunità considera questa chiesa un bene prezioso e di grande interesse», ha spiegato monsignor Dennis Feudatari, parroco di Rivolta d’Adda, in una breve intervista seguita alla visita. Aggiungendo poi: «Interesse per due motivi: perché la sua imponenza rimanda a un potere ecclesiastico notevole rispetto al contesto e perché essendo stata restaurata ad inizio ‘900 testimonia di come si restaurava a quel tempo, quando si imponeva un’idea di romanico che era più nella testa dell’architetto progettista che nella realtà dei fatti».

Il servizio di Gente e Paesi si è concluso con una battuta anche del presidente della Pro Loco Giuseppe Strepparola, che ha ricordato come l’associazione, fondata 36 anni fa, sia attiva con tante iniziative per promuovere Rivolta, le sue bellezze ed il suo territorio.

 

Per vedere il video cliccare qui (dal minuto 42’50”)