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A Chiesa di Casa la famiglia in tutte le sue sfumature

Casa, fragilità, speranza, calore. Tante sfaccettature che richiamano a un concetto essenziale, che è quello di famiglia. E proprio questo tema è stato approfondito nell’ultima puntata di Chiesa di Casa, il talk di approfondimento della vita diocesana, condotto da Andrea Bassani. Ospiti della puntata Maria Grazia Antonioli, direttrice del consultorio Ucipem di Cremona, Arianna Bellandi, consigliere dell’associazione di famiglie affidatarie “Il Girasole”, e Mariateresa Pagliari, rappresentante legale dell’associazione “Bi.Genitori”.

«La casa è sempre sinonimo di famiglia, dove ci sono porte che offrono protezione e finestre che si aprono sul modo – racconta Maria Grazia Antonioli –. A volte ci sono delle asprità o delle fatiche, ma rimane sempre casa, dove ci sono tante risorse». Come raccontato dalla direttrice, il primo consultorio Ucipem in Italia, a Milano, si chiamava proprio “La Casa”: «Un’invito alla società – aggiunge Antonioli – ad essere luogo in cui sostenere, accogliere e proteggere».

Una casa che rappresenta dunque il centro della famiglia, ma che talvolta, come spiega l’avvocatessa Pagliari, «diventa anche luogo di tristezza». Vale soprattutto per i figli di divorziati, che «si trovano a vivere alternandosi tra la casa materna e quella paterna e che non hanno più una loro casa, ma due case diverse in cui dividersi».

Nascono così situazioni di fragilità, che possono però contare sul supporto di associazioni che si impegnano per la tutela e il sostegno delle famiglie. È il caso de “Il Girasole”, attiva a Cremona per quanto riguarda la questione affido familiare. E la casa delle famiglie affidatarie «è una casa sempre aperta, sempre in pronta emergenza – sottolinea Bellandi –. Questo presuppone la capacità di cambiare la propria famiglia, per mettersi a disposizione per condividere i propri spazi e la propria quotidianità con bambini in difficoltà».

Ma anche dalle fragilità può nascere la speranza, testimoniata proprio dall’operato di queste associazioni. Una speranza a migliorare e persino risolvere determinate situazioni. Una speranza che, come sottolinea la rappresentante legale di “Bi.Genitori”, «esiste anche laddove ci sono fragilità pesanti, dove si può lavorare, ci si può impegnare, affinché queste fragilità possano essere risolte brillantemente per poter ritornare alla “normalità”».

«A volte viene da dire “nonostante le difficoltà c’è calore nella famiglia” – evidenzia Maria Grazia Antonioli –. Ma è proprio perché nella famiglia c’è calore e ci sono legami che allora c’è possibilità di un sostegno». E questo calore risulta essenziale per chi, in questa scena, funge da mediatore: «l’avvocato che si occupa di famiglia deve acquisire una sensibilità particolare, perché deve maneggiare materiale umano fragilissimo», sottolinea Mariateresa Pagliari. «Empatia, approccio psicologico, accoglienza e accompagnamento», tratti caratteristici di chi la famiglia la tutela ogni giorno.




Intelligenza artificiale, il percorso dell’Università Cattolica inaugurato insieme a un robot

 

La linea di demarcazione che divide il mondo concreto da quello virtuale è un confine che tende ad assottigliarsi sempre più velocemente. Le intelligenze artificiali si stanno affermando come il motore che alimenterà la vita del futuro, semplificando la routine quotidiana grazie alla loro potenza di calcolo.

Non si dubita dell’utilità di queste tecnologie, ma il dibattito etico e morale è aperto e complesso. Proprio con l’obiettivo di non limitarsi ad analizzare aspetti tecnologici e scientifici, ma aiutare a riflettere sulle implicanze che l’intelligenza artificiale ha nella comprensione che l’uomo ha di sé, della propria vita e del mondo, il Centro pastorale dell’Università Cattolica di Cremona ha promosso, nelle settimane di Quaresima, il ciclo di incontro Intelligenza artificiale, chi sei?  inaugurato nel pomeriggio di martedì 20 febbraio.

Conversazione con l’intelligenza artificiale era il titolo dell’incontro, un momento di approfondimento scientifico condotto dal professor Federico Manzi, docente di Psicologia dello sviluppo e dell’educazione della Facoltà di Scienze della formazione dell’Università Cattolica di Milano, accompagnato da un ospite a dir poco inusuale: Nao, un piccolo robot umanoide alto non più di 60 cm e dotato di un’interfaccia programmabile che gli permette di svolgere funzioni tecniche e interattive.

L’incontro, introdotto dal vicedirettore di sede Marco Burgazzoli, è stato presentato insieme al professor Fabio Antoldi, docente di Strategia Aziendale e di Imprenditorialità dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Cremona, e don Maurizio Compiani, assistente del Campus di Santa Monica.

Dopo un primo approfondimento storico e culturale sulla figura del robot fino ad oggi, analizzata sia a livello letterario che cinematografico, il professor Manzi ha analizzato il ruolo che l’intenzionalità robotica ricopre in ambito sociale, soffermandosi sulle differenze di progammazione per un rapporto fra il robot e i bambini, piuttosto che gli anziani. «La human robot interaction – ha spiegato – è lo studio dell’interazione tra umani e robot. Quello che, nello specifico, facciamo nel nostro gruppo di ricerca è comprendere il lato umano, cioè quelli che sono processi e meccanismi psicologici coinvolti nell’interazione tra noi e questi artefatti tecnologici. Le esigenze di un bambino sono diverse da quelle di un adulto o di un anziano, quindi nella programmazione di un robot è necessario capire a chi è rivolto il prodotto finale, fornendo alla macchina capacità che risultino utili alla persona che ne sfrutterà i servizi».

Il dilemma morale generato dallo spaccato fra uomo e robot è un elemento che non si può trascurare durante il processo di creazione di un automa, infatti «nel confronto tra esseri umani e robot, il nostro atteggiamento morale privilegia sempre gli esseri umani – spiega il professor Manzi, indicando Neo al suo fianco –. I robot sono entità con uno status ontologico distinto rispetto a quello degli uomini, i quali vanno sempre preservati e custoditi».

Riferendosi poi a un esperimento volto a dimostrare la fiducia che un bambino pone nei confronti della macchina piuttosto che in quella di una persona, il docente della Cattolica ha dimostrato che «i più piccoli mostrano, indipendentemente dall’età, uno schema comportamentale che, nei confronti del robot è simile a quello con l’umano». Rassicurando: «Per quanto il comportamento sia simile, la fiducia superiore rimane però sempre nei confronti dell’uomo, e questa cresce all’aumentare delle fragilità del bambino dal punto di vista razionale».

Un vero e proprio rapporto uomo-macchina che con il tempo non farà che aumentare. Ma questo non è un aspetto da intendersi come negativo: infatti la centralità della persona deve sempre essere il fondamento dell’innovazione tecnologica, per questo «ogni progresso nel campo dell’interazione uomo-robot e delle IA deve essere orientalo a migliorare la qualità della vita delle persone», precisa il professor Federico Manzi. Aggiungendo poi che «lo sviluppo e l’uso delle tecnologia deve essere guidato da principi morali ed etici solidi, l’umanesimo deve farsi bussola morale per navigare fra questi cambiamenti così repentini. La strutturazione di un legame collaborativo multidisciplinare può fare da guida verso il futuro che ci attende, così da mettere a confronto le competenze degli esperti di diversi settori, ognuno con le proprie abilità».

 

Il video dell’incontro a cura dell’Università Cattolica

 

 

Calendario dei successivi incontri:

Martedì 27 febbraio, ore 16.30: Siamo uomini. La creatività nell’era dell’Intelligenza Artificiale – Andrea Gaggioli, professore di Psicologia generale (Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università Cattolica del Sacro Cuore)

Martedì 5 marzo, ore 16.30: L’Intelligenza Artificiale ci cambierà la vita? – Ivana Pais, professoressa di Sociologia economica (Facoltà di Economia dell’Università Cattolica del Sacro Cuore)

Lunedì 11 marzo, ore 16.30: Religioni e Intelligenza Artificiale – Mauro Magatti, professore di Sociologia (Facoltà di Scienze politiche e sociali dell’Università Cattolica del Sacro Cuore ed editorialista de “Il Corriere della Sera” e di “Avvenire”)

Venerdì 10 maggio, ore 18.00: “Dov’è il sapiente?” (1Cor 1,20) Le Intelligenze Artificiali tra algoritmi e libertà – Paolo Benanti, professore di Teologia Morale (Pontificia Università Gregoriana, Roma). Incontro promosso nell’ambito della Giornata mondiale delle comunicazioni sociali in collaborazione con l’Ufficio comunicazioni della Diocesi di Cremona e il mensile diocesano Riflessi Magazine.




Unità pastorale San Vincenzo Grossi: la visita del Vescovo per «essere più cristiani»

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Essere più cristiani. È questo il concetto chiave che ha accompagnato la Visita pastorale del vescovo Antonio Napolioni, nel fine settimana dal 16 al 18 febbraio, nelle comunità dell’unità pastorale “San Vincenzo Grossi” (Vicomoscano, Casalbellotto, Quattrocase e Fossacaprara). Un programma nel quale il vescovo «si è messo all’ascolto in modo delicato entrando in contatto con le persone – commenta il parroco don Anton Jicmon – trovando le parole giuste per incoraggiarci nelle diverse realtà che ha incontrato».

Nei colloqui avuti con i volontari dei vari ambiti parrocchiali è emerso l’interesse del vescovo nei confronti dei vari gruppi, sottolineando comunque l’importanza di essere cristiani giorno per giorno con la propria testimonianza e senza perdere di vista la Parola di Dio. «Come nel caso della lectio divina sul Vangelo della I domenica di Quaresima, nell’incontro con gli operatori pastorali, con l’esposizione dell’Eucarestia dopo una meditazione personale e di confronto reciproco», racconta ancora il parroco. O ancora, «l’importanza di vivere esperienze condivise in oratorio, nell’affrontare le sfide e difficoltà della fede e della Chiesa con i ragazzi delle superiori». Con i ragazzi delle medie il vescovo si è prestato alle numerose domande sulla vita del “capo” della Diocesi e sulla sua storia personale. Mentre con i bambini delle elementari e le rispettive famiglie Napolioni ha voluto ribadire il tema dell’affetto reciproco. Ai catechisti, infine, ha ricordato come trasmettere alle giovani generazioni e alle rispettive famiglie la fede cristiana: «contagiarli e trascinarli con l’esperienza personale e quotidiana». In sostanza, come ha detto lo stesso vescovo, «abbiamo vissuto momenti di dialogo e con bambini e adulti arrivando a sfiorare il mistero grande di Dio presente in mezzo a noi».

Oltre agli incontri con i collaboratori parrocchiali e i fedeli delle rispettive comunità, tra i momenti più significativi della visita pastorale ci sono stati anche gli appuntamenti con alcune realtà dell’imprenditoria e del volontariato presenti sul territorio casalasco. Negli appuntamenti con le ditte Emiliana Parati e della La Briantina, ad esempio, il vescovo ha affrontato il tema della dignità del lavoro, ricordando agli operai o ai dipendenti come è possibile ricercare l’esperienza religiosa anche nelle attività di ogni giorno. Importanti anche le visite alle realtà dell’associazionismo come il Gruppo Emergenti di Quattrocase, i membri di Oltrefossa di Fossacaprara e i volontari della Caritas di Casalbellotto, nei quali il vescovo ha ascoltato le motivazioni alla base del loro impegno e il tentativo di creare un luogo di ritrovo o iniziative come feste o strutture dove creare un senso di appartenenza in un territorio sempre più povero di abitanti. Senza dimenticare la visita agli alunni della scuola di Vicomoscano, agli ammalati e a don Piergiorgio Poli (sacerdote originario di Casalbellotto); con quest’ultimo ha voluto ascoltare la sua particolare storia «e ringraziarlo per il servizio di collaborazione nelle nostre parrocchie», ricorda don Jicmon.

 

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A conclusione della Visita pastorale il vescovo ha presieduto domenica mattina la Messa delle 11 nella chiesa di S. Pietro Apostolo, a Vicomoscano, trasmessa in diretta tv su Cremona1 e in streaming sui canali web diocesani. Nell’occasione ha ringraziato le parrocchie per l’accoglienza e le esperienze vissute nel fine settimana. «Abbiamo sperimentato in questi giorni il desiderio di bene che ha prevalso sulla paura – ha detto Napolioni durante l’omelia –. Ho sentito più entusiasmo che terrore: cerchiamo di far crescere ancora di più questo seme buono, unendoci a Cristo nel deserto; non solo come luogo della prova ma dell’intimità, del silenzio, del fidanzamento». L’invito del vescovo, dunque, al termine della visita pastorale dev’essere quello di «essere più cristiani, più di Gesù, conoscerlo e stringerci di più a lui. Fare le tante cose belle tra oratorio, famiglie e feste, ma sapendo riconoscere il vero protagonista, il perché di questo nostro radunarsi: e il Suo essere presente nella relazione reciproca».   

 

Il video integrale della celebrazione 

 




Chiesa di casa, un digiuno di carità e di condivisione

 

Preghiera, carità e digiuno. Sono i tre elementi che, nella tradizione della Chiesa, caratterizzano il tempo della Quaresima. Proprio sul terzo, il digiuno, si è focalizzata la nuova puntata di Chiesa di casa, il talk di approfondimento proposto dalla diocesi di Cremona. Il tema, però, non è stato analizzato solo dal punto di vista cattolico, ma con uno sguardo più ampio sulla questione relativa al rapporto con il cibo. Ospiti della trasmissione sono stati, infatti, don Michele Rocchetti, vicario parrocchiale dell’unità pastorale di Calcio, Pumenengo e Santa Maria in Campagna, il dottor Mohamed Elnadi, medico e presidente del centro culturale Al-Manar di Soresina e la psicologa Anna Bandera, psicoterapeuta specializzata nell’età dello sviluppo.

«Oggi celebriamo la prima domenica di Quaresima – ha esordito don Rocchetti – quindi mi pare significativo sottolineare che la proposta del digiuno prevede la rinuncia a qualcosa, solitamente uno o più alimenti, per vivere bene questo tempo. L’attenzione da avere è quella di non confonderlo con una dieta: esso è parte di una prassi penitenziale il cui fine è la conversione».

Un discorso simile può essere fatto, secondo il dottor Elnadi, per la pratica del digiuno vissuto dai musulmani nel mese di Ramadan, «durante il quale non prendiamo cibo e acqua per tutta la durata della giornata. Per noi si tratta di un momento in cui ci viene offerta la possibilità di recuperare il rapporto con la nostra quotidianità, ristabilendo così il legame con gli aspetti più profondi e spirituali della vita di ciascuno di noi. Inoltre, è un invito chiaro all’umiltà: ci prendiamo del tempo per vivere come i poveri, che tante volte non hanno nulla da mangiare».

In entrambe le esperienze religiose, dunque, non si tratta mai di un digiuno fine a se stesso, ma di un’astinenza che ha un respiro decisamente più ampio.

La questione del rapporto con il cibo, al di fuori della vita di fede, può invece porsi come un reale problema. «Anche in questo caso – ha spiegato la dottoressa Bandera – l’aspetto centrale non è il piatto vuoto. Dal punto di vista clinico, il digiuno implica sempre una rinuncia al sé e molto spesso cela una sofferenza profonda. Accade quando il rapporto con il dolore non riesce ad essere espresso con altri canali. La rinuncia al cibo diventa quindi, più che una scelta consapevole, il sintomo di un disagio che siamo invitati a cogliere».

Talvolta, invece, quella di non mangiare diventa la risposta ad un altro tipo di bisogno, secondo la psicologa. «Ci sono situazioni in cui la ricerca della sofferenza con il digiuno può richiamare il desiderio di un’affermazione di sé, di onnipotenza. Rifiutando il cibo la persona si fa del male, ma, di conseguenza, grida a se stessa, e al mondo, la propria presenza. In questo senso, condividere diventa importantissimo, anzi, vitale».

E proprio sulla dinamica della condivisione e comunione si è concentrata la riflessione conclusiva della puntata di “Chiesa di casa”. «Non digiuniamo mai da soli – ha sottolineato il dottor Elnadi – ma tutti insieme. Questo ha un grande valore per noi, tanto che il digiuno del Ramadan è uno dei cinque pilastri della nostra fede».

Per quanto riguarda la Chiesa, secondo don Rocchetti «non è un caso che proponga dei tempi di digiuno rivolti all’intera comunità. Ogni cristiano può decidere di viverlo in modo libero e autonomo, ma tutti insieme siamo chiamati ad accogliere questa proposta in momenti particolari, come la Quaresima. Il legame con la preghiera e la carità, poi, è molto stretto. Questo ci fa capire come l’esperienza del digiuno, della sofferenza, sia di piena condivisione. D’altra parte, la vita cristiana è relazione con il Signore, colui che offrì la propria sofferenza per il bene di tutti noi».




Giornata del malato, il Vescovo: “Il Signore non ci lascia soli”

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La 32ª Giornata mondiale del malato, come accade per alcune ricorrenze nella quotidianità, è un promemoria utile a ricordare la fragilità del corpo umano e l’importanza di prendersi cura delle persone più deboli. A partire dalle relazioni, «perché il Signore abita il nostro corpo personale e comunitario, lotta contro di noi contro il male per attraversarlo con fiducia»: così ha introdotto questa particolare giornata il vescovo Antonio Napolioni.

A livello diocesano la Giornata mondiale del malato si è celebrata domenica 11 febbraio a Piadena. Prima dell’Eucaristia in chiesa parrocchiale il Vescovo ha incontrato i residenti e gli operatori della Rsa “San Vincenzo” per condividere con loro qualche minuto di convivialità e preghiera.

Durante la visita di monsignor Napolioni alla casa di riposo gestita dalla cooperativa sociale “Il Gabbiano”, erano presenti il presidente Giacomo Bazzoni e la coordinatrice e responsabile di struttura Roberta Broglia. Con loro anche il sindaco Matteo Priori e il parroco don Antonio Pezzetti, oltre ad alcuni dei circa 80 dipendenti, coordinati dalla direttrice sanitaria Annalisa Boldini.

«Cerchiamo di mantenere un livello di attenzione nelle cure molto alto», ha raccontato Broglia. Sono 106 infatti i posti letto disponibili ad accogliere le persone richiedenti grazie al servizio di consulenza personalizzato. «Il nostro punto di forza è infatti la presa in carico delle esigenze da parte della nostra equipe multidisciplinare», ha aggiunto la coordinatrice.

Nel corso dei saluti e degli incontri tra i corridoi e nelle stanze degli ospiti, il vescovo ha regalato una piccola immagine con una breve preghiera per questa giornata: «Tutti prima o poi ci ammaliamo, ma il Signore non ci lascia soli: condivide con noi anche questo». Sottolineando l’importanza di queste «strutture preziose» nelle quali «le famiglie non “scaricano” i parenti, ma vivono con coraggio e pazienza la stagione della debolezza».

Il passaggio viene anche ripreso durante l’omelia nella Messa presieduta alle 11 nella chiesa parrocchiale di Piadena, concelebrata dal parroco don Antonio Pezzetti, dall’incaricato diocesano per la Pastorale della salute don Maurizio Lucini, dal collaboratore parrocchiale don Cristino Cazzulani e servita all’altare dal diacono don Giuseppe Valerio.

«Le malattie – ha detto il Vescovo nell’omelia – nel nostro linguaggio corrente cerchiamo di evitarle perché ne abbiamo paura. Se qualcuno ha un male lo emarginiamo e non ci avviciniamo». «Con il Covid abbiamo fatto un’esperienza simile – ha ricordato Napolioni –. Eppure, l’isolamento ci guarisce? Le parole del Papa per questa Giornata ci ricordano il senso dell’uomo: solo insieme ci si salva».

Qual è dunque la medicina? L’immagine del lebbroso del Vangelo guarito da Cristo va proprio in questa direzione: «Questo malato intuisce che in quell’uomo c’è Dio». E infatti Gesù rispose alla sua preghiera in silenzio, ne ebbe compassione e a quel punto lo salvò. «La forza straordinaria è la compassione di Gesù: non quella che noi pensiamo di evitare negli altri o il pietismo ma la tenerezza, la vicinanza, una mano che si tende quando si è in difficoltà. Prendersi cura non fa bene solo a chi riceve ma anche a chi la offre», ha detto il vescovo. Dio, in conclusione, è presente nella sofferenza delle persone, «ci restituisce una famigliarità che guarisce le nostre solitudini, anche laddove ci sentiamo spacciati». Da qui l’invito a seguire l’esempio di Cristo: «Mettiamoci a servizio della comunità e dei più deboli, anche come mestiere o vocazione. Portare l’Eucarestia ai malati significa portare Gesù nella loro carne. Perciò date una mano a qualcuno e non rifiutiamo la mano. È difficile ma è bella. Solo così siamo degni della nostra umanità fatta a immagine di Dio»

Al termine dell’Eucarestia sono stati affidati i malati alla Madonna di Lourdes, per la cui ricorrenza dell’11 febbraio è stato istituito questo anniversario per le persone più fragili. Diversi di loro erano presenti a Piadena accompagnati dai barellieri e dalle dame dell’Unitalsi (che prima della Messa hanno animato la preghiera del Rosario). Altri, invece, hanno potuto viverla in comunione da casa il momento di preghiera grazie alla diretta trasmessa in TV su Cremona1 e sui canali web e social della diocesi.

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Papa Francesco: “Prendersi cura del malato significa anzitutto prendersi cura delle sue relazioni”




Chiesa di casa, l’intelligenza artificiale tra frontiere e sfide

 

AI Act. Così i Paesi dell’Unione europea hanno definito il primo testo di legge al mondo per la regolamentazione dell’intelligenza artificiale. Il 2 febbraio scorso, i ventisette Paesi hanno approvato all’unanimità l’accordo, che sarà votato in forma definitiva nel mese di aprile. Un passaggio importante, che fornisce un’indicazione ben precisa: se esiste una necessità di regolamentazione e di governo, significa che l’intelligenza artificiale sta assumendo un ruolo sempre più rilevante nella società e nella vita delle persone.

A questa tematica è stata dedicata la nuova puntata di Chiesa di casa, il talk di approfondimento della diocesi di Cremona oggi alle 12.15 in tv su Cremona1 e già disponibile sul web. A introdurre il tema, don Maurizio Compiani, docente e assistente pastorale della sede cremonese dell’Università Cattolica del Sacro Cuore: «L’intelligenza artificiale è un insieme di sistemi che rispondono in modo autonomo a problemi che noi poniamo».

A ben guardare, non si tratta di una novità assoluta. Il vero cambiamento, e il clamore che esso ha suscitato, è arrivato con l’estrema pervasività che ha contraddistinto la diffusione dell’intelligenza artificiale negli ultimi tempi. «Ormai è entrata nella vita di tutti – ha raccontato il prorettore della sede di Cremona del Politecnico di Milano Gianni Ferretti – e non solo in quella degli addetti ai lavori. Fino ad ora si usava per indagare situazioni complesse. Il salto è stato fatto con l’intelligenza artificiale generativa, perché è capace di generare contenuti senza la necessità di essere programmata in modo specifico prima di farlo».

Oltre a un grande cambiamento sociale, è assai rilevante l’impatto che una tecnologia come questa può avere sul mondo del lavoro. Sono stati condotti numerosi studi sul tema, e molti hanno previsto una progressiva perdita di posti di lavoro a causa dell’introduzione dell’intelligenza artificiale. Tuttavia, Carolina Cortellini, cofondatrice di Microdata e presidente Crit (Crescita relazione innovazione territorio) si è dimostrata decisamente ottimista: «Molto probabilmente i lavori ripetitivi ed estremamente meccanici saranno sostituiti dall’intelligenza artificiale. Ed è meglio così, perché ci saranno opportunità nuove in ambiti differenti e più stimolanti. Esse, però, andranno presidiate in modo specifico, con competenze adeguate. A proposito di questo, un’attenzione particolare dovrà essere posta anche da parte di chi è già nel mondo del lavoro: non deve considerarsi troppo diverso da chi ci si affaccia per la prima volta, imparando a formarsi di nuovo e continuamente. In tutti i settori, infatti, cambierà il modo di lavorare».

Con questi presupposti è facile farsi prendere dal panico o dal timore del cambiamento. Un cambiamento che spesso è molto rapido, e rende difficile riuscire a tenerne il passo. La sfida, in questo senso, è certamente sociale, ma riguarda anche l’ambito scolastico e educativo. «Non bisogna dimenticare che lo strumento cambia il nostro modo di percepire il mondo – ha ricordato don Compiani – e, di conseguenza, cambia anche noi. Ci stiamo abituando ad avere risposte precise e rapide. Ma nelle relazioni non sempre ci sono risposte. A volte servono spazi e tempi per maturare una risposta. Su questo punto dello sviluppo dell’intelligenza artificiale, a livello formativo, dovremmo imparare a rapportarci con l’impatto che esso porta nella vita di ciascuno».

L’aspetto relazionale è indubbiamente imprescindibile per la vita di ciascuno. E non può essere trascurato nemmeno in ambito lavorativo. Le soft skills a cui oggi si fa tanto riferimento, molto spesso, riguardano proprio la capacità di collaborare all’interno di un team. «In questo senso – continua Cortellini – la contaminazione positiva che c’è tra mondo della formazione universitaria e mondo del lavoro è davvero preziosa. Dall’altro lato, però, vedo la necessità di migliorare il rapporto tra aziende e scuole secondarie di secondo grado, ovvero i luoghi dove ragazze e ragazzi iniziano a diventare donne e uomini».

Ed è poi questo anche il parere del professor Ferretti: «Il futuro della formazione si giocherà sulla creazione di ambienti in cui i ragazzi possano vivere insieme. Diversamente, non ci si forma, non si apprende davvero».

Scoprire e utilizzare sempre più l’intelligenza artificiale significa allora non semplicemente arrendersi a un cambiamento inevitabile, ma imparare ad accoglierlo, entrare in relazione con esso per tentare di coglierne gli aspetti più positivi e stimolanti. Per questo motivo in Università Cattolica, a Cremona, partirà dal 20 febbraio un ciclo di incontri che avrà come punto fondamentale la riflessione sulla relazione tra gli uomini e questa incredibile tecnologia.

 

Intelligenza artificiale, chi sei? Dal 20 febbraio a Santa Monica cinque incontri. Evento conclusivo con padre Benanti




Chiesa di casa, la forza della vita ci sorprende

 

 

La vita propone delle sfide. E soprattutto nei giorni in cui se ne celebra il valore e la centralità è bene tenerne conto. Per quanto si cerchi di evitarla, spesso la sofferenza entra a farne parte, la abita, o quantomeno la attraversa. Non mancano, però, le occasioni di gioia, di profonda felicità e pienezza, perché “La forza della vita ci sorprende”. E così è stata infatti intitolata la 46ª edizione della Giornata nazionale della vita, che si celebra domenica 4 febbraio e che ha dato spunto all’ultima puntata di Chiesa di casa.

“Quale guadagno c’è che l’uomo guadagni il mondo intero e perda la sua vita?” è l’interrogativo evangelico (Mc 8, 36) che accompagna il titolo della Giornata e che può mettere seriamente in discussione ciascun credente. È una domanda di sempre, ancor più attuale visti gli episodi che, negli ultimi mesi, hanno visti coinvolti numerosi paesi europei e mediorientali.

Proprio da questa considerazione è partita la riflessione di Antonio Auricchio – presidente dell’Associazione cremonese per la cura del dolore – ospite del talk di approfondimento della diocesi di Cremona. «Quando vedo ciò che accade in paesi molto vicini al nostro, mi chiedo dove sia finita la nostra umanità. Quello che mi auguro, e che vedo spesso nei volti dei volontari della nostra associazione, abituati a stare a contatto con i pazienti dell’Hospice di Cremona, è che non perdiamo quel senso di fratellanza, di comunione che nasce in ogni cuore quando si trova ad incontrare una vita attraversata dal dolore».

Un dolore che molte volte dilania, perché improvviso e inatteso. In altre circostanze, invece, come nel caso dei malati di lungo corso, scava nel profondo, minando certezze e insinuando dubbi. «È proprio qui che la presenza umana fa la differenza – ha spiegato il dottor Paolo Emiliani, medico e presidente del Movimento per la vita di Cremona – perché arriva dove la medicina non può più nulla. Per un malato, il fatto che ci sia qualcuno a prendersi cura, e non semplicemente a curare, è importante».

Secondo don Maurizio Lucini, incaricato diocesano per la Pastorale della salute e assistente spirituale dell’Hospice di Cremona, «non si può pensare di accostarsi ad una persona malata avendo la pretesa di dare delle risposte. Perché il suo dolore fisico, unito alla sofferenza che esso porta con sé, pone quesiti che non hanno soluzione. Ciò che si può fare è cercare di aiutare chi soffre a trovare un senso alla sua malattia. Questo è forse la più grande missione di chi affianca coloro che stanno per giungere al termine della propria vita». E proprio ripercorrendo la propria esperienza in queste situazioni, il sacerdote ha citato le parole di alcune persone che «hanno definito la malattia come qualcosa che ha cambiato la loro vita, aprendo i loro occhi. Questo mi fa dire che davvero la vita ci sorprende, perché anche noi, davanti a determinate situazioni, possiamo intravedere quella benedizione in ciò che, per molti, è una maledizione».

«Parlare di sofferenza è parlare di ferite – ha concluso Emiliani – che certo fanno male, ma possono essere utili per iniziare un cammino di ricerca di senso, di accompagnamento verso la scoperta che la vita, ciascuna vita, ha un valore immenso e il potere di sorprendere».

 

Giornata per la Vita, a Cremona un programma ricco di iniziative

“Una vita da Oscar – Lettere a Dio”, una lettura animata alla veglia per la vita della zona pastorale 1

“Una chat per la vita”, la presentazione del libro del Movimento per la vita di Varese ha aperto gli eventi della 46ª Giornata della vita




“Dare speranza alla giustizia” per una Quaresima di carità

Anche quest’anno, come tutti gli anni, la Diocesi di Cremona propone di vivere la Quaresima facendosi solidali con chi sul territorio vive situazioni di fragilità. È la “Quaresima di carità”, che nell’edizione 2024 volge l’attenzione a chi vive lontano dai propri cari e privato dalla libertà personale. Lo sguardo va allora alla casa circondariale di Cremona, a quanti vi operano, tendendo una mano a chi vi è detenuto.

La Quaresima diventa così occasione concreta per “Dare speranza alla giustizia”, come sottolinea il titolo della proposta caritativa con la quale la Chiesa cremonese, attraverso l’impegno di Caritas Cremonese, intende sensibilizzare e approfondire nelle comunità il delicato tema della giustizia, sia per cercare di dare una prospettiva di speranza a chi si trova in carcere, sia per andare incontro alle esigenze concrete che emergono nella quotidianità.

«Non spetta alla Chiesa sostituirsi a chi deve amministrare la giustizia e accompagnare la riabilitazione e il reinserimento nella società di quanti hanno colpevolmente fatto del male agli altri, alla società e anche a se stessi, ma spetta a noi cristiani essere strumenti di evangelizzazione, di cura e di liberazione», scrive il vescovo Antonio Napolioni nel messaggio per Quaresima [leggi tutto].

Per approfondire la situazione della casa circondariale di Cremona i cappellani e gli operatori Caritas sono a disposizione delle parrocchie per occasioni di incontro, testimonianza e riflessione, che potranno essere affiancati anche da momenti di preghiera e spiritualità, per animare i quali Caritas Cremonese ha messo a disposizione alcuni sussidi liturgici [scarica qui tutto il materiale disponibile]

A ciascuno, inoltre, è chiesto di non far mancare il proprio contributo di solidarietà. In particolare attraverso due iniziative:

  • l’acquisto di kit di abbigliamento (al costo di 60 euro ciascuno) da donare alle persone detenute: ogni pacco conterrà un giaccone pesante, abbigliamento intimo, magliette, pantaloni, tuta, felpa/maglione, salviettone, ciabatte e scarpe da ginnastica (il confezionamento di ogni kit è affidato alla cooperativa sociale “Gruppo Gamma” di Cremona)
  • il dono di “Una colomba pasquale per il carcere”. La raccolta delle colombe potrà avvenire nelle parrocchie (magari in occasione di incontri di catechismo, della raccolta mensile di alimenti o di altre specifiche iniziative), ma chiunque potrà comunque offrire il proprio personale contributo. Il tutto sarà raccolto nella giornata di sabato 23 marzo dagli operatori di Caritas cremonese presso l’oratorio della Beata Vergine, a Cremona. Il momento di raccolta (dalle 10 alle 12 e dalle 15 alle 17) sarà anche occasione per poter ascoltare una testimonianza di chi opera come volontario a Ca’ del Ferro.

Gesti concreti di vicinanza. Ma la Diocesi e Caritas Cremonese guardano anche oltre, con un progetto a lungo termine, teso a consolidare ulteriormente l’impegno portato avanti con costanza in tutti questi anni. «Nel 2024 la nostra Caritas – spiega il direttore don Pierluigi Codazzi – vorrebbe promuovere sul territorio percorsi di integrazione di persone in carcere che hanno possibilità di svolgere all’esterno attività di lavoro, studio e volontariato. E vorremmo farlo con l’aiuto di tutti».

«Non tutti sanno – prosegue don Codazzi – che la legge italiana prevede anche pene alternative al carcere, percorsi di messa alla prova e di volontariato. L’impegno in questo ambito dimostra un’attenzione diversa: non solo all’interno, ma anche all’esterno del carcere». E conclude: «La speranza è quella di poter mettere a disposizione qualche posto letto per chi, terminato il proprio percorso, avrà bisogno di un graduale reinserimento nella società».

Il tema della carità si allarga, dunque, a persone che sì hanno commesso errori, ma che vivono oggi l’urgenza di ricominciare, con l’aiuto di tutti.

Il tempo di Quaresima diventa così occasione per mettere sotto la lente la struttura di Ca’ del Ferro: «Dal punto di vista strutturale, la mancanza di personale risulta essere un problema serio – aveva evidenziato don Graziano Ghisolfi, cappellano insieme a don Roberto Musa presso la casa circondariale di Cremona, in occasione della visita del Vescovo la mattina di Natale –: agenti, amministrativi ed educatori si trovano a fare sempre più lavoro, rinunciando anche a turni di riposo. Questo provoca naturalmente un a situazione più stressante. Anche dal punto di vista della popolazione detenuta riscontriamo diverse difficoltà: ad esempio, la maggior parte degli stranieri (che rappresentano circa il 70% del totale) fuori da qui non hanno niente e nessuno, perciò la loro situazione è davvero disperata».

Per maggiori informazioni, per scaricare i link utili e per approfondire le modalità di sostegno del progetto, visitare la pagina dedicata al progetto della Quaresima di carità 2024, che può essere sostenuto anche una donazione nelle parrocchie o presso gli uffici della Caritas diocesana, in via Stenico 2/b a Cremona. È possibile anche effettuare un versamento sui conti correnti di Fondazione San Facio e/o Caritas (indicando nella causale “Progetto carcere”)

  • C/C postale n. 68 411 503
  • C/C bancario Banca di Piacenza – Iban IT57H0515611400CC0540005161 intestato a Fondazione San Facio Onlus

La donazione effettuata a Fondazione San Facio è deducibile se fatta con bonifico, assegno o versamento postale.




La visita pastorale a Pandino, segno di unità per «un cammino da percorrere insieme»

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Ha detto bene il parroco don Eugenio Trezzi al termine della Messa della domenica mattina: «La visita pastorale del vescovo Antonio non è un’ispezione alla parrocchia ma un aiuto spirituale per favorire l’unità e la comunione fra di noi».

Ed è proprio sulla necessità di fare comunione, di dialogare e di ricercare l’unità che Napolioni insiste nelle sue visite pastorali alle parrocchie della nostra diocesi. Lo ha fatto anche nei tre giorni – da venerdì a domenica – in cui è stato a Pandino, in visita alla vivace e popolosa parrocchia di Santa Margherita.

Una visita iniziata dalla Rsa della Fondazione Ospedale dei Poveri dove, accolto dal consiglio d’amministrazione, il presule ha salutato e si è intrattenuto con gli anziani ospiti con i quali ha dialogato, cantato e pregato. Nel pomeriggio, in oratorio, l’incontro con il mondo della scuola, dell’istruzione e dell’educazione in generale. Insegnanti e personale tecnico-amministrativo hanno presentato al vescovo le tante problematiche che oggi caratterizzano il mondo della scuola ma non sono mancate preziose riflessioni per sognare un futuro diverso in cui fare rete attorno alla vita dei più giovani. In serata, sempre in oratorio, il vescovo Antonio ha incontrato i giovani: un dialogo allegro ma ricco di spunti su tanti temi.

Particolarmente significativo, sabato mattina, l’appuntamento con il volontariato locale, ancora in oratorio, presente anche il sindaco Piergiacomo Bonaventi. Pandino conta più di cinquanta associazioni. Tante. Alcune molto attive. Eppure i problemi non mancano. Uno su tutti, la difficoltà del ricambio generazionale, evidenziata da più voci. Due i concetti espressi e rimarcati dal vescovo. Il primo: «Quando si sta bene insieme – ha detto – questo piacere genera amicizia e prima o poi sboccia in servizio. È lecito mettere assieme gli interessi che poi sfociano in qualcosa di più grande».

Il secondo, prendendo spunto dalla definizione di Pro Loco: «Il loco non deve diventare localismo, perché allora il vescovo alza la voce. Il mio compito è questo: ricordare che il mondo non finisce al paese. Ci si salva, se ci salviamo tutti assieme».

La giornata di sabato è proseguita con gli incontri pomeridiani con le coppie di neo-sposi ed i genitori di bambini da 0 a 6 anni e con i genitori e gli adulti. Infine, la messa di domenica mattina, alle 11, nella chiesa di Santa Margherita, allietata dalla voci dei cantori della corale parrocchiale diretta da Diego Donati. Con monsignor Napolioni hanno concelebrato il parroco don Eugenio Trezzi, il vicario don Andrea Lamperti Tornaghi ed il collaboratore parrocchiale don Angelo Ferrari.

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Nell’omelia il vescovo ha esortato i fedeli pandinesi a camminare nell’unità: «Il messaggio che voglio condividere con voi al termine di questa visita pastorale –ha detto dal pulpito – è questo: la grande autorità di Gesù è consegnata alla Chiesa non solo nei suoi ruoli (il Papa, i vescovi, i ministeri) ma anche nella misura in cui i cristiani si uniscono, dialogano, si capiscono, rispettano le diversità, diventano accoglienti e vivono e diffondono la pace. Un paese di cosa ha bisogno? Certo, ha bisogno di chi sappia risolvere i problemi ma quanti ce ne sono. Risolto uno, ne arriva un altro. Il problema dei problemi è la nostra divisione, è il dividerci in fazioni che non vedono l’ora di distruggere quello che hanno fatto gli altri per dimostrare di essere più bravi finendo per fare il male. E anche nella Chiesa e nelle parrocchie a volte s’infila il virus della divisione e della menzogna, i due capolavori del diavolo. Invece il nostro cammino diventa un cammino sicuro nella misura in cui continueremo a farlo insieme, ciascuno con il suo passo, ma con questa gioia dell’essere popolo di Dio».

Dopo i saluti ed i ringraziamenti del parroco e del vicario, due bambini, Noemi ed il piccolo Federico, hanno donato al vescovo una felpa dell’oratorio San Luigi e assieme a lui sono rimasti sull’altare per la benedizione finale.

 

Il video integrale della celebrazione con il Vescovo

 

 

 


Questo il programma delle prossime tappe della visita pastorale:

  • 16-18 febbraio Vicomoscano, Quattrocase, Fossacaprara, Casalbellotto
  • 23-25 febbraio Vicoboneghisio, Camminata, Cappella di Casalmaggiore, Vicobellignano, Agoiolo
  • 1-3 marzo Soncino, Melotta, Casaletto di Sopra, Isengo
  • 8-10 marzo Caravaggio, Vidalengo
  • 15-17 marzo: San Michele Sette Pozzi, San Giacomo Lovara



Chiesa di casa, la sfida educativa «è cosa di cuore»

 

“L’educazione è cosa di cuore”. Una delle citazioni più celebri di San Giovanni Bosco – di cui si celebrerà la memoria mercoledì 31 gennaio – non può che essere posta al centro della riflessione in questo periodo dell’anno. Quello educativo è un tema sempre attuale, che spesso fa discutere, sia a livello sociale che politico. Affrontare la questione significa parlare di scuola, famiglia, sport, ovvero di quei luoghi che, insieme a molte altre realtà, oggi rivestono un ruolo decisivo nel processo educativo dei più giovani. Spesso ci si perde in tecnicismi, o ci si focalizza su iniziative specifiche e molto orientate. Secondo gli ospiti della nuova puntata di “Chiesa di casa”, il talk settimanale di approfondimento della Diocesi di Cremona, l’educazione ha un respiro molto più ampio.

«San Giovanni Bosco parlava di un sogno dentro a un cortile – ha raccontato don Andrea Bani, vicario parrocchiale dell’unità pastorale Città di Viadana, durante la trasmissione – ed è proprio questo, secondo me, il punto di partenza. Nei cortili dei nostri oratori incontriamo ragazzi e giovani che, innanzitutto, meritano di essere accolti e amati. È la prima cosa che ci chiedono, e precede di gran lunga le iniziative a cui siamo tanto legati. Questo è il primo passo per costruire poi, insieme, un grande sogno».

L’idea della costruzione, del progetto, è sempre molto forte quando si affronta la questione dell’educazione. Essa, infatti, prevede, per sua stessa natura, una certa prospettiva sul domani. Secondo Marta Prarolo, educatrice e pedagogista per il consultorio Ucipem di Cremona e per la Caritas diocesana, «c’è uno stretto legame tra sogno e desiderio. Da adulti dobbiamo avere un’idea, una direzione verso la quale puntare. L’esperienza educativa diventa poi la prassi che segue quella direzione. Da qui nasce la domanda che ci deve interrogare: come educatori, in che posizione ci poniamo nei confronti dei più piccoli? E cosa desideriamo per il loro domani?».

Osservando la questione da una certa prospettiva, il processo educativo può essere visto come qualcosa di estremamente idealizzato, ma di difficile concretizzazione. «Docciamo stare molto attenti a non commettere questo errore – ha sottolineato Mattia Cabrini, educatore e attore cremonese, nello staff della Federazione oratori cremonesi – perché la dimensione del sogno, del desiderio inteso nel suo più alto significato, non deve mai perdere di vista la realtà. Il rischio c’è, lo sappiamo bene. Sia in un senso che nell’altro. Sogno e realtà sono due dimensioni che si parlano, si alimentano l’una con l’altra». Rendere i ragazzi protagonisti della loro educazione significa proprio abitare questa apparente dicotomia. Secondo Cabrini, infatti, «è necessario evitare di proporre semplicemente ai più giovani ciò che noi abbiamo già sognato per loro. Far sì che diventino protagonisti significa invece mettersi al loro fianco, accettare e condividere i loro tempi e la loro umanità».

Questa è forse la vera e più grande sfida dell’educare. «Anche in oratorio – ha concluso don Andrea Bani – talvolta è difficile lasciare spazio alle nuove generazioni. Ma è da qui che passa il loro cammino: dalla duplice consapevolezza di poter sbagliare quando provano a fare da soli, unita alla disponibilità, da parte del mondo adulto, di essere braccia tese ad accoglierli e sostenerli quando avanzano una richiesta di aiuto».

È un cammino complesso, in salita. Almeno tanto quanto la strada che portava alla Barbiana di Don Milani, un altro grande uomo e sacerdote che ha fatto dell’educazione la propria vita e che ha saputo sintetizzare il cuore dell’esperienza educativa con due semplici parole: “I care”.