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La visita pastorale a Pandino, segno di unità per «un cammino da percorrere insieme»

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Ha detto bene il parroco don Eugenio Trezzi al termine della Messa della domenica mattina: «La visita pastorale del vescovo Antonio non è un’ispezione alla parrocchia ma un aiuto spirituale per favorire l’unità e la comunione fra di noi».

Ed è proprio sulla necessità di fare comunione, di dialogare e di ricercare l’unità che Napolioni insiste nelle sue visite pastorali alle parrocchie della nostra diocesi. Lo ha fatto anche nei tre giorni – da venerdì a domenica – in cui è stato a Pandino, in visita alla vivace e popolosa parrocchia di Santa Margherita.

Una visita iniziata dalla Rsa della Fondazione Ospedale dei Poveri dove, accolto dal consiglio d’amministrazione, il presule ha salutato e si è intrattenuto con gli anziani ospiti con i quali ha dialogato, cantato e pregato. Nel pomeriggio, in oratorio, l’incontro con il mondo della scuola, dell’istruzione e dell’educazione in generale. Insegnanti e personale tecnico-amministrativo hanno presentato al vescovo le tante problematiche che oggi caratterizzano il mondo della scuola ma non sono mancate preziose riflessioni per sognare un futuro diverso in cui fare rete attorno alla vita dei più giovani. In serata, sempre in oratorio, il vescovo Antonio ha incontrato i giovani: un dialogo allegro ma ricco di spunti su tanti temi.

Particolarmente significativo, sabato mattina, l’appuntamento con il volontariato locale, ancora in oratorio, presente anche il sindaco Piergiacomo Bonaventi. Pandino conta più di cinquanta associazioni. Tante. Alcune molto attive. Eppure i problemi non mancano. Uno su tutti, la difficoltà del ricambio generazionale, evidenziata da più voci. Due i concetti espressi e rimarcati dal vescovo. Il primo: «Quando si sta bene insieme – ha detto – questo piacere genera amicizia e prima o poi sboccia in servizio. È lecito mettere assieme gli interessi che poi sfociano in qualcosa di più grande».

Il secondo, prendendo spunto dalla definizione di Pro Loco: «Il loco non deve diventare localismo, perché allora il vescovo alza la voce. Il mio compito è questo: ricordare che il mondo non finisce al paese. Ci si salva, se ci salviamo tutti assieme».

La giornata di sabato è proseguita con gli incontri pomeridiani con le coppie di neo-sposi ed i genitori di bambini da 0 a 6 anni e con i genitori e gli adulti. Infine, la messa di domenica mattina, alle 11, nella chiesa di Santa Margherita, allietata dalla voci dei cantori della corale parrocchiale diretta da Diego Donati. Con monsignor Napolioni hanno concelebrato il parroco don Eugenio Trezzi, il vicario don Andrea Lamperti Tornaghi ed il collaboratore parrocchiale don Angelo Ferrari.

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Nell’omelia il vescovo ha esortato i fedeli pandinesi a camminare nell’unità: «Il messaggio che voglio condividere con voi al termine di questa visita pastorale –ha detto dal pulpito – è questo: la grande autorità di Gesù è consegnata alla Chiesa non solo nei suoi ruoli (il Papa, i vescovi, i ministeri) ma anche nella misura in cui i cristiani si uniscono, dialogano, si capiscono, rispettano le diversità, diventano accoglienti e vivono e diffondono la pace. Un paese di cosa ha bisogno? Certo, ha bisogno di chi sappia risolvere i problemi ma quanti ce ne sono. Risolto uno, ne arriva un altro. Il problema dei problemi è la nostra divisione, è il dividerci in fazioni che non vedono l’ora di distruggere quello che hanno fatto gli altri per dimostrare di essere più bravi finendo per fare il male. E anche nella Chiesa e nelle parrocchie a volte s’infila il virus della divisione e della menzogna, i due capolavori del diavolo. Invece il nostro cammino diventa un cammino sicuro nella misura in cui continueremo a farlo insieme, ciascuno con il suo passo, ma con questa gioia dell’essere popolo di Dio».

Dopo i saluti ed i ringraziamenti del parroco e del vicario, due bambini, Noemi ed il piccolo Federico, hanno donato al vescovo una felpa dell’oratorio San Luigi e assieme a lui sono rimasti sull’altare per la benedizione finale.

 

Il video integrale della celebrazione con il Vescovo

 

 

 


Questo il programma delle prossime tappe della visita pastorale:

  • 16-18 febbraio Vicomoscano, Quattrocase, Fossacaprara, Casalbellotto
  • 23-25 febbraio Vicoboneghisio, Camminata, Cappella di Casalmaggiore, Vicobellignano, Agoiolo
  • 1-3 marzo Soncino, Melotta, Casaletto di Sopra, Isengo
  • 8-10 marzo Caravaggio, Vidalengo
  • 15-17 marzo: San Michele Sette Pozzi, San Giacomo Lovara



Chiesa di casa, la sfida educativa «è cosa di cuore»

 

“L’educazione è cosa di cuore”. Una delle citazioni più celebri di San Giovanni Bosco – di cui si celebrerà la memoria mercoledì 31 gennaio – non può che essere posta al centro della riflessione in questo periodo dell’anno. Quello educativo è un tema sempre attuale, che spesso fa discutere, sia a livello sociale che politico. Affrontare la questione significa parlare di scuola, famiglia, sport, ovvero di quei luoghi che, insieme a molte altre realtà, oggi rivestono un ruolo decisivo nel processo educativo dei più giovani. Spesso ci si perde in tecnicismi, o ci si focalizza su iniziative specifiche e molto orientate. Secondo gli ospiti della nuova puntata di “Chiesa di casa”, il talk settimanale di approfondimento della Diocesi di Cremona, l’educazione ha un respiro molto più ampio.

«San Giovanni Bosco parlava di un sogno dentro a un cortile – ha raccontato don Andrea Bani, vicario parrocchiale dell’unità pastorale Città di Viadana, durante la trasmissione – ed è proprio questo, secondo me, il punto di partenza. Nei cortili dei nostri oratori incontriamo ragazzi e giovani che, innanzitutto, meritano di essere accolti e amati. È la prima cosa che ci chiedono, e precede di gran lunga le iniziative a cui siamo tanto legati. Questo è il primo passo per costruire poi, insieme, un grande sogno».

L’idea della costruzione, del progetto, è sempre molto forte quando si affronta la questione dell’educazione. Essa, infatti, prevede, per sua stessa natura, una certa prospettiva sul domani. Secondo Marta Prarolo, educatrice e pedagogista per il consultorio Ucipem di Cremona e per la Caritas diocesana, «c’è uno stretto legame tra sogno e desiderio. Da adulti dobbiamo avere un’idea, una direzione verso la quale puntare. L’esperienza educativa diventa poi la prassi che segue quella direzione. Da qui nasce la domanda che ci deve interrogare: come educatori, in che posizione ci poniamo nei confronti dei più piccoli? E cosa desideriamo per il loro domani?».

Osservando la questione da una certa prospettiva, il processo educativo può essere visto come qualcosa di estremamente idealizzato, ma di difficile concretizzazione. «Docciamo stare molto attenti a non commettere questo errore – ha sottolineato Mattia Cabrini, educatore e attore cremonese, nello staff della Federazione oratori cremonesi – perché la dimensione del sogno, del desiderio inteso nel suo più alto significato, non deve mai perdere di vista la realtà. Il rischio c’è, lo sappiamo bene. Sia in un senso che nell’altro. Sogno e realtà sono due dimensioni che si parlano, si alimentano l’una con l’altra». Rendere i ragazzi protagonisti della loro educazione significa proprio abitare questa apparente dicotomia. Secondo Cabrini, infatti, «è necessario evitare di proporre semplicemente ai più giovani ciò che noi abbiamo già sognato per loro. Far sì che diventino protagonisti significa invece mettersi al loro fianco, accettare e condividere i loro tempi e la loro umanità».

Questa è forse la vera e più grande sfida dell’educare. «Anche in oratorio – ha concluso don Andrea Bani – talvolta è difficile lasciare spazio alle nuove generazioni. Ma è da qui che passa il loro cammino: dalla duplice consapevolezza di poter sbagliare quando provano a fare da soli, unita alla disponibilità, da parte del mondo adulto, di essere braccia tese ad accoglierli e sostenerli quando avanzano una richiesta di aiuto».

È un cammino complesso, in salita. Almeno tanto quanto la strada che portava alla Barbiana di Don Milani, un altro grande uomo e sacerdote che ha fatto dell’educazione la propria vita e che ha saputo sintetizzare il cuore dell’esperienza educativa con due semplici parole: “I care”.




«Una testimonianza d’amore, di speranza e di unità» il frutto della visita del Vescovo nell’unità pastorale TiCuViGe

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Conoscersi, incontrarsi, sapersi ascoltare. È anche così che si fa Eucarestia ed è in questo modo che, da venerdì 19 a domenica 21 gennaio, è stato fatto nell’unità pastorale “Santi Martiri e Dottori della Chiesa”, dove il vescovo Antonio Napolioni è stato in visita pastorale con un programma che ha toccato tutte e quattro le parrocchie: Ticengo, Cumignano sul Naviglio, Villacampagna e Genivolta (da qui l’abbreviazione TiCuViGe, com’è forse meglio conosciuta questa realtà di 2.200 parrocchiani circa).

Se la visita è cominciata da Cumignano, con la celebrazione della Messa nel tardo pomeriggio di venerdì 19 gennaio, la conclusione, domenica 21, è stata nella chiesa parrocchiale di San Lorenzo, a Genivolta, dove si è celebrata la Messa di chiusura di questa esperienza.

«Stiamo vivendo una cosa molto bella», ha detto il vescovo nell’omelia, nella quale ha sottolineato come «il fare unità, il fare comunità di questi giorni di gioia e di grazia rappresenta al meglio un Gesù che passa lungo le vie di Ticengo, Cumignano, Villacampagna e Genivolta: ci vede e ci dice di seguirlo, come fa nei sacramenti e nel tempo pasquale». «Dio – ha proseguito – è a tempo pieno amore per noi e ci propone di vivere l’esperienza del Cristo Risorto con una testimonianza d’amore, di speranza e di unità: sia dunque questo il frutto dei giorni che abbiamo vissuto assieme».

Prima della benedizione finale il saluto del parroco, don Davide Osio: «Sono stati giorni belli e intensi questi con il vescovo che con la sua presenza – ha detto il sacerdote – ci ricorda come Gesù sia per le strade, le nostre strade. È stato splendido viverli. Perciò ringrazio il vescovo, ma anche voi parrocchiani per la vostra gioiosa partecipazione. Oggi mettiamo un nuovo tassello per crescere ancora maggiormente nella fede».

 

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La visita pastorale è cominciata venerdì venerdì 19 gennaio con la Messa delle 18.30 nella parrocchiale di Cumignano sul Naviglio, alla quale ha fatto seguito, in oratorio, una pizzata con il vescovo insieme ai ragazzi e il parroco, seguita a sua volta da un incontro di confronto e riflessione. «È stato un bell’incontro per i ragazzi ma anche per i giovani che erano presenti – racconta Matteo, 24 anni –. Il dialogo con il Vescovo è stato arricchente e davvero stimolante e credo fermamente che abbia acceso nelle nostre menti e nei nostri cuori scintille di conoscenza e di riflessione».

La giornata di sabato è cominciata con l’incontro di monsignor Napolioni con gli amministratori locali dei quattro paesi (per Villacampagna, che è una frazione, il riferimento del capoluogo è Soncino) ed è proseguita con le visite agli ammalati e il pranzo con gli anziani – una sessantina – in oratorio a Cumignano sul Naviglio. Nel pomeriggio, nella chiesa di Genivolta, con i genitori e i loro figli il Vescovo ha parlato di fede, di valori e di educazione.

Toccante l’incontro, in forma privata, fra lui e i parenti di alcune vittime della strada: Napolioni ha pregato assieme a loro e a don Osio.

In serata, apericena a Villacampagna per tutti; poi una riflessione sul vangelo domenicale.

Nei giorni di visita pastorale accanto al parroco anche il collaboratore parrocchiale don Sergio Galbignani, nativo di Villacampagna, dove risiede, a lungo missionario nelle Filippine e nelle Isole Salomon.

 

Il video della celebrazione conclusiva a Genivolta




Visita ad limina, mons. Napolioni e i vescovi lombardi a fine gennaio dal Papa

Da lunedì 29 gennaio a venerdì 2 febbraio il vescovo Antonio Napolioni, insieme agli altri presuli lombardi, sarà in Vaticano per la Visita ad limina. Un momento di condivisione tra la Chiesa universale e le Chiese particolari che presenteranno la propria situazione negli incontri che i vescovi delle Chiese di Lombardia, guidati dal metropolita mons. Mario Delpini, avranno nei diversi Dicasteri vaticani e incontrando Papa Francesco.

La Visita ad limina apostolorum, nata come pellegrinaggio alle tombe degli apostoli Pietro e Paolo, nei secoli si è consolidata come pellegrinaggio regolare dei vescovi di tutto il mondo sulla tomba di Pietro e come momento di confronto e condivisione con il Santo Padre.

«La Visita ad limina è – spiega mons. Massimo Calvi, vicario generale della Diocesi di Cremona – un’occasione di condivisione per le Diocesi di tutto il mondo che, in questa occasione, esprimono e rafforzano il loro senso di appartenenza alla Chiesa universale».

La Visita ad limina si vive solitamente ogni cinque anni, ma per le Chiese di Lombardia l’ultima risale al febbraio 2013. Nella settimana romana i vescovi lombardi incontreranno i 12 Dicasteri previsti dal protocollo, più tre a loro scelta: i vescovi che nella conferenza episcopale lombarda sono riferimento per l’ambito apriranno l’incontro con la “ponenza”, esponendo quanto riscontrato in questi anni rispetto a ogni settore, evidenziando le caratteristiche pastorali proprie della regione ecclesiastica lombarda, tra ricchezze, potenzialità e criticità. Il vescovo di Cremona, mons. Antonio Napolioni, interverrà al Dicastero per i laici, la famiglia e la vita e alla Pontificia commissione per la tutela dei minori.

Punto di partenza sono le relazioni che tutte le Diocesi hanno compilato nelle scorse settimane e già presentato in Vaticano. «In occasione delle Visita ad limina le Diocesi sono invitate a predisporre un’ampia relazione sul loro stato di vita – precisa a questo riguardo mons. Calvi – cercando di illustrare ciò che esse hanno impostato, sotto i vari punti di vista, negli anni trascorsi dal precedente incontro con il Santo Padre. Naturalmente anche la Diocesi di Cremona ha preparato questa relazione, che cerca di descrivere ciò che è avvenuto, nel bene e nel male, in questo decennio». Una stesura avvenuta dopo un lungo processo cui hanno preso parte insieme al vescovo e ai suoi più stretti collaboratori, tutti i responsabili degli uffici di Curia sotto con il coordinamento proprio del vicario generale e del cancelliere don Paolo Carraro.

«Sicuramente la relazione presenta la vita della Diocesi in maniera articolata e complessa – racconta il vicario generale –. Mette in relazione le risorse umane e spirituali che la Chiesa locale vive, ma non nasconde le situazioni più problematiche». E aggiunge: «Si può dire che alcuni problemi che si affacciavano come iniziali, nel tempo hanno maturato un radicamento maggiore. Basta pensare alla decrescita della partecipazione alla vita liturgica. O a tutti i problemi che emergono nelle famiglie, che si trovano a procrastinare sempre di più il matrimonio, magari preferendo la convivenza. E un segnale di preoccupazione arriva anche rispetto alla denatalità, in crescita come il numero degli anziani, spesso soli. Anche la diminuzione del clero, pur se per il momento ancora contenuta, è un altro elemento di cui si evidenzia il fenomeno, che noteremo sempre di più in futuro».

Un decremento della popolazione di circa 10 mila abitanti, dai 370.564 del 2013 ai 360.328 del 2023, con un calo anche dei fedeli cattolici, passati da 326.096 a circa 300 mila (quasi mille bambini battezzati di differenza tra le due annate, 2.031 nel 2013 e 1.215 nel 2023). Come sottolineato dal vicario generale, il calo riguarda anche i presbiteri diocesani, che nel 2013 erano 328, mentre ora “solo” 269. Controtendenza rispetto a questi dati, invece, il numero dei seminaristi diocesani: in 7 frequentavano il Seminario vescovile di Cremona nel periodo dell’ultima Visita (su un totale di 15, compresi i seminaristi provenienti da altre diocesi), mentre attualmente sono 10.

Tuttavia, non mancano elementi positivi «che fanno ben sperare». «Penso alla crescita di consapevolezza del ruolo dei laici e della loro ministerialità, o all’impegno nel rinnovamento dell’iniziazione cristiana – sottolinea mons. Massimo Calvi –. La nostra Diocesi, inoltre, in questi anni è stata impegnata nel ripensamento della presenza sul territorio, con la revisione delle zone pastorale e la costituzione di unità pastorali, per aiutare le parrocchie a unire le forze e avere una presenza pastorale sempre più significativa». Segnali di vita cui si aggiungono i tanti segni di speranza, «come i giovani che intraprendono il cammino della vita presbiterale e consacrata con grande generosità, o che semplicemente vivono con impegno la vita dei nostri oratori e della nostra pastorale giovanile».

La Visita ad limina sarà certo l’occasione per un bilancio della vita delle Chiese locali, ma anche l’invito a non rinchiudersi nell’ambito diocesano senza respirare quel senso di appartenenza alla Chiesa universale che continua a camminare verso il futuro ispirata dallo Spirito Santo.

 

A Roma dopo 11 anni

Durante l’ultima Visita ad limina dei vescovi della Lombardia, avvenuta nel febbraio 2013, fu monsignor Dante Lafranconi, allora vescovo di Cremona, a presentare la situazione diocesana agli occhi di Papa Benedetto XVI. A guidare la delegazione dei vescovi lombardi a Roma l’allora arcivescovo di Milano, il cardinale Angelo Scola. Nella sua breve relazione riguardante la Chiesa cremonese, il vescovo Lafranconi illustrò al Pontefice in particolare la visita pastorale effettuata, tra il 2005 e il 2011, in tutte le parrocchie della diocesi. Oltre a questo, furono messi in luce in particolare due significativi temi: l’impegno di evangelizzazione dei più «lontani» dalla Chiesa e il processo di rinnovamento dei percorsi dell’iniziazione cristiana nelle parrocchie. Papa Benedetto XVI, nel 2013, ribadì la necessità della Lombardia di riconoscersi sempre di più come «cuore credente dell’Europa». Una Chiesa, quella lombarda, che il Santo Padre aveva già definito «viva, ricca di dinamismo della fede e di spirito missionario» nella precedente Visita ad limina, quella del 2008. In quel caso, a guidare i vescovi della Lombardia, era stato il cardinale Dionigi Tettamanzi.




Chiesa di casa, una “nuova” economia per il bene comune

 

«Complessità e instabilità». Sembrano essere questi, secondo Valentina Cattivelli – docente universitaria di Economia e project management – i punti di partenza quando si tenta di fare un’analisi socioeconomica del panorama globale in cui viviamo. Intervenuta nella nuova puntata di Chiesa di casa, il talk di approfondimento della Diocesi di Cremona, questa settimana interamente dedicata all’economia, Cattivelli ha fornito un quadro della situazione attuale, sottolineando come «ci sia una fortissima interconnessione tra tutti gli attori coinvolti. Questo porta innumerevoli vantaggi, ma comporta rischi significativi: molte crisi che, teoricamente, non ci riguardano da vicino, hanno ricadute consistenti anche sul nostro paese e sulla nostra società».

In questo senso, un buon modo per valorizzare gli aspetti positivi della globalizzazione è puntare sulle relazioni, ovvero sulle persone. «È da qui che dobbiamo ripartire – ha ribadito Michele Fusari, presidente del Movimento cristiano lavoratori di Cremona-Crema-Lodi – perché solo in questo modo è possibile riscoprire il valore vero del lavoro e del fare economia. Se l’obiettivo è solo generare profitto, non usciremo mai da una logica strettamente individualista, che mal si concilia con la realtà così strettamente interconnessa che ci circonda».

Alle sue parole hanno fatto eco quelle di Elena Righini, vicedirettore della filiale di Brescia di Banca etica. «Riportare al centro la persona significa proprio renderla protagonista di tutti quei cambiamenti di cui, quotidianamente, sentiamo parlare. Se perdiamo di vista i volti degli uomini e delle donne che incontriamo, che si affacciano alle nostre realtà, il rischio concreto è quello di strutturare un’economia che, invece di accorciarlo, ampli il divario sociale, creando una distinzione sempre più netta tra il circolo dei ricchi e la fascia più povera della nostra società».

Dalla nuova puntata di Chiesa di casa, grazie al contributo dei tre ospiti, emerge dunque un’idea di economia piuttosto chiara. Più volte è stato evidenziato il valore della persona come punto centrale per un ripensamento sociale. Insieme ad esso, è stata più volte sottolineata la necessità di trasparenza e condivisione da parte di tutti gli attori coinvolti nei processi economici: imprese, banche, investitori e lavoratori.

Complessità e instabilità sono stati individuati come punti di partenza della riflessione. Cura e riconoscimento delle persone possono essere le strade da percorrere per la costruzione di un futuro in cui non si disdegna il profitto, ma ci si interroga sul valore che esso produce per l’intera società.




A Chiesa di Casa, la parola incontra la Parola

 

Si avvicina, per la comunità cristiana, la Domenica della Parola di Dio, che la Chiesa universale celebrerà il prossimo 21 gennaio. Un appuntamento diventato ormai tradizionale per porre l’attenzione su questo aspetto fondamentale della vita di fede.

Proprio a questo tema è stata dedicata la nuova puntata di “Chiesa di casa”, il settimanale di approfondimento della diocesi di Cremona, che si è articolata a partire dalla riflessione sulla differenza tra “Parola” e “parola”. «Quella scritta con la ‘P’ maiuscola – ha raccontato Egidia Ghisolfi, dell’associazione Famiglia Buona Novella – contiene una Rivelazione e chiede di essere accolta per entrare in relazione con Nostro Signore. Si differenzia dalle parole che troviamo in un romanzo, per quanto ben scritto possa essere, perché offre la possibilità di aprire un dialogo profondo con Dio e con le persone con cui se ne condivide la lettura».

L’attenzione alla condivisione, però, è trasversale a molti tipi di espressione. Per Sandro Barosi, giovane cantautore di Calvatone, «solo così può concretizzarsi la vera esperienza artistica. Finché scrivo un testo che leggo solo io, è come se quelle parole non esistessero per il mondo. Nel momento in cui vengono condivise attraverso una canzone, nel mio caso, avviene la magia».

Dello stesso parere anche Massimiliano Pegorini, attore e doppiatore cremonese, secondo cui «il vero valore del condividere una parola sta nel mettere in gioco se stessi. La principale differenza tra un brano letto e uno recitato è proprio questa: entrano in gioco le emozioni. Il lavoro dell’attore, o del doppiatore, è quello di far aderire la voce del personaggio al suo stato emotivo, al suo modo di essere e di sentire. In questa dinamica, noi stessi siamo chiamati in causa, perché il vissuto che abbiamo dentro può diventare determinante».

In modo del tutto analogo, anche quando si parla di “Parola” l’esperienza personale di ciascuno è determinante. «Certamente è prioritario l’ascolto – ha concluso Egidia Ghisolfi – come del resto in ogni dialogo che affrontiamo. Nel rapporto con il Signore, però, è richiesta una particolare attenzione, perché spesso si rivolge a noi nel quotidiano, attraverso le nostre piccole esperienze di vita. Ci tocca nel profondo ed entra in relazione con ciò che custodiamo dentro di noi».

Con queste premesse siamo allora invitati a prepararci per la celebrazione della quarta Domenica della Parola di Dio. Molti sono stati gli spunti proposti dagli ospiti della nuova puntata di “Chiesa di casa”. Ad essi si unisce quello di Papa Francesco, sintetizzato nel motto della giornata, tratto dal vangelo di Giovanni: «Rimanete nella mia Parola».




Napolioni: «Come i Magi ascoltiamo il bisogno profondo del cuore e mettiamoci in cammino»

 

Una Cattedrale di Cremona gremita, la mattina di sabato 6 gennaio, per la Messa solenne dell’Epifania, presieduta dal vescovo Antonio Napolioni e concelebrata dai canonici del Capitolo. Una liturgia che, all’inizio dell’anno civile, scandisce le festività dell’anno liturgico: prima dell’omelia, infatti, secondo una antica tradizione il cantore ha annunciato le date delle principali festività, con il culmine nella Pasqua, che quest’anno cadrà il 31 marzo. Da quella data derivano anche tutte le altre celebrazioni: il Mercoledì della Ceneri, inizio della Quaresima, il 14 febbraio; l’Ascensione del Signore il 12 maggio; la Pentecoste il 19 maggio; l’inizio dell’Avvento il 1° dicembre.

«Questo ascolto mi fa modificare un proverbio – ha detto il vescovo all’inizio dell’omelia –: “l’Epifania tutte le feste si porta via”. Io dico: l’Epifania di tutte le feste ci indica la via. Non solo perché ci è stato proclamato una sorta di calendario, ma perché la strada che si riapre dalla venuta del Signore è costellata di memorie potenti, di celebrazioni fruttuose, di incontri del popolo di Dio per rigenerarsi, ritrovare se stessi, ricevere la grazia, vivere la riconciliazione, ripartire per la missione». Ha dunque aggiunto: «E allora lo modifico ancora questo proverbio: l’Epifania della vita come una festa, della vita eterna, ci traccia la via».

Da qui il collegamento con il Vangelo del giorno, il racconto della venuta dei Magi e del turbamento di Erode. Un brano «bello», «attuale», «potente». «Questi re, che vengono da lontano – ha detto mons. Napolioni –, esprimono anche la condizione del nostro tempo, in cui i re, i potenti, i popoli, la scienza, la cultura, sembrano come illudere e deludere nello stesso tempo. Le stesse persone che incarnano questi poteri godono di momenti di grande rilevanza, ma corrono anche il grande rischio di fallire e di far fallire coloro che subiscono gli effetti della loro responsabilità».

In un mondo caratterizzato da «un delirio pseudo-spirituale» in cui, oggi come nel passato, si partecipa e si giustificano ancora le guerre, sembra sempre essere più opportuno seguire l’esempio dei Magi. «Dove andavano i Magi? Da quale luce sono stati attirati? Qual è il punto chiave che consente a queste Scritture di essere lette in verità? – si è chiesto il vescovo – Non è nemmeno la Chiesa, è solo Cristo Gesù».

Ecco allora l’appello del vescovo Napolioni: «Dio, fa’ che come i Magi noi ascoltiamo il bisogno profondo del cuore e ci mettiamo in cammino, come insaziabili cercatori di senso, finché non troviamo anche una rinnovata rilettura del Vangelo, una scossa alla nostra coscienza e alle nostre scelte, perché diventi possibile la seconda grande Epifania. Non basta l’Epifania di Gesù se non avviene nella storia l’epifania dei suoi discepoli, della Chiesa, degli innamorati di Dio e degli operatori di pace».

Una storia, una realtà odierna, che sente il bisogno di essere ricca di nuovi magi, ma che purtroppo è anche ricca di tanti piccoli Erode. «Chi dirà a questi Erode che c’è un bambino anche nel loro cuore, che stanno nutrendo di veleno perché stanno percorrendo la via dell’arroganza? C’è anche una via della mitezza e della pace!». E ancora: «Perché questa pace avvenga occorre che avvenga l’epifania di noi stessi, come uomini e donne che cominciano qui a coltivare il dono ricevuto: quel Bambino, la sua pace e la vita nuova che ci ha consegnato».

La Messa, servita all’altare da alcuni diaconi permanenti diocesani, è stata animata dal Coro della Cattedrale di Cremona con l’esecuzione solista di Michele Ghisolfi, sotto la direzione del maestro don Graziano Ghisolfi e l’accompagnato all’organo del maestro Fausto Caporali.

Nel pomeriggio ulteriore appuntamento dell’Epifania con i Secondi Vespri della solennità del 6 gennaio presieduti dal vescovo alle 17 nella chiesa di San Sigismondo, a Cremona, insieme alla comunità Domenicana che, proprio in questa occasione, ricorda i 16 anni dalla posa della clausura sul monastero di San Giuseppe in San Sigismondo.




Chiesa di casa, uno sguardo sul mondo per scoprire se stessi

 

«Allargare il proprio orizzonte, scoprire nuovi mondi, significa scoprire se stessi». Sono queste le parole usate da Roberto Pagani, scrittore e medievista cremonese, autore del blog “Un italiano in Islanda” dove vive ormai da anni, durante la prima puntata del 2024 di Chiesa di casa, il talk di approfondimento diocesano.

Con l’apertura di un nuovo anno – che è sempre inizio, partenza – il tema su cui ci si è focalizzati è quello dello sguardo sul mondo. «Questo porta poi a una elevazione spirituale – ha precisato Pagani – perché nell’incontro con ciò che è diverso, magari sconosciuto, si ha l’occasione di far luce su ciò che sta dentro, nel profondo. A volte qualcuno parte per fuggire dai suoi demoni, ma poi scopre di averli portati con sé, almeno finché non decide di guardare nel profondo».

Sulla stessa lunghezza d’onda si sono sintonizzate anche le parole di don Andrea Lamperti Tornaghi, vicario a Pandino con ben quattro viaggi in Brasile alle spalle. «Penso che mettersi in viaggio sia sempre il tentativo di trovare risposte, a volte parziali, a volte più complete, a questo desiderio di elevarsi, di trovare risposte, di scoprirsi sempre più», ha detto il sacerdote che fa parte della Commissione diocesana della Pastorale missionaria.

Perché questo sia possibile, però, è richiesta una dimensione particolare. Non è sufficiente partire, viaggiare, ma è necessario prendersi del tempo per rimanere, per stare.  «Si tratta certamente di un’esperienza diversa – ha raccontato Paolo Carini, volontario cremonese con decenni di esperienza nel continente africano –. Perché richiede di apprezzare il mondo e le persone con cui ci si trova, di iniziare delle relazioni stabili e continuative. Soprattutto è importante non pensare ai giorni che mancano prima del ritorno. Certamente occorre del tempo per poter realmente entrare in modo continuativo in una realtà diversa, soprattutto in Africa, ma è poi questo a fare la differenza: solo chi rimane davvero lascia il segno».

Infine, un elemento imprescindibile quando si parla di sguardo sul mondo sono i legami. Talvolta spingono a partire, in altri casi costituiscono un elemento che convince a rimanere. «Le connessioni sono fondamentali – ha commentato Roberto Pagani – perché permettono di dare una direzione alla propria storia, di entrare davvero nella realtà in cui ci si inserisce. È un lavoro attivo, in cui è richiesto parecchio impegno, perché c’è molto da lavorare su se stessi».

Nella vita della Chiesa, parlare di legami significa fare riferimento alla comunità. Una comunità aperta al mondo, da cui si può partire, o in cui si viene accolti. «Questo significa imparare ad amare – ha concluso don Lamperti Tornaghi – a diventare capaci di creare legami liberi, capaci di lasciar andare le persone. Solo questo ci permette di avere uno sguardo aperto sul mondo, inteso in senso geografico, e su un altro mondo, che ha a che fare con l’eternità».




Il Vescovo nella Messa di Natale: «Il Bambino è la parola più eloquente che Dio ci dona»

 

«Giovanni, dal cuore di Gesù, sul quale sapeva posare il suo capo nel momento più delicato della vita del Maestro, trae la coscienza che quell’uomo è il Verbo di Dio, è il Verbo incarnato, è la Sapienza eterna del Padre entrata nella storia per non abbandonarla più e fecondarla giorno dopo giorno». Si è aperta con queste parole, riallacciandosi al brano di Vangelo del giorno, l’omelia del vescovo Antonio Napolioni nella solenne Messa pontificale del giorno di Natale presieduta, la mattina del 25 dicembre, in Cattedrale, e concelebrata dai canonici del Capitolo.

«E se noi oggi, in un periodo tormentato dalla paura, dal fallimento, dalla guerra – oggi più di ieri, e domani più di oggi – ci vogliamo chiedere: chi ci salverà? che cosa possiamo fare?». «Andare dietro a Lui, ascoltarlo» è stata la risposta suggerita dal vescovo, che ha proseguito: «La Parola è fatta non solo per essere udita, ma accolta, gustata, compresa, ruminata, scelta e messa in pratica». E ha aggiunto: «Noi tante volte facciamo fatica a mettere in pratica il Vangelo, perché lo abbiamo ridotto a qualche comandamento e a qualche buon esempio. E invece il Signore sa che solo un cuore che si lascia riscaldare intuisce la bellezza e la possibilità di cambiare qualcosa della propria vita. E allora chiama tutti noi, dal più piccolo al più anziano, dal più emarginato a chi ha più responsabilità, ad attualizzare ciò che il profeta Isaia ha detto: “come sono belli i piedi di chi è messaggero di pace, di chi porta buone notizie. Prorompete insieme canti di gioia”».

Da qui un riecheggiante appello: «Non possiamo lavarcene le mani, rimarremmo ancor più soli e delusi, quando invece questa è la parola con cui Dio ci chiama per nome. Gesù nasce e attorno a sé vede tutti candidati a essere messaggeri di pace». «E la buona notizia inizia a diffondersi e inizia a entrare nella vita delle persone». «Quante belle persone – ha aggiunto il vescovo –, quante belle anime, quante storie di affetto, di servizio, di solidarietà, di impegno, di solidarietà, che non vanno in prima pagina, ma restano scolpite nella memoria di chi ne ha ricevuto i frutti. E allora la comunità canta di gioia».

Ed è proprio questo «il nostro futuro, non quello determinato dai numeri, che sembrano condannarci – ha sottolineato –. Siamo chiamati dal Natale di Gesù al nostro risveglio spirituale». Un impegno suggerito anche dalle parole di Papa Francesco che da sempre chiama a “frequentare il Vangelo del Signore”. Un invito a leggere davvero la Parola, e a leggerla spesso. «Vi confesso – ha aggiunto mons. Napolioni – che se la mattina non leggo la Parola io non so chi sono, non so come affrontare la realtà, d’istinto prevarrebbero solo smanie e pigrizie, sentimenti inaffidabili».

«Che bello percepire che il Signore è lì – ha quindi concluso –, come una sorgente zampillante, che disseta l’anima inquieta, che ridà prospettiva, riapre l’orizzonte, ci prende per mano e non ci lascia mai soli. Dio vuole parlarci. Il Dio bambino non è infantile, ma è la parola più eloquente che possa donarci, come ogni bambino che viene al mondo, che è una parola nuova di Dio, da ascoltare e mettere in cammino con noi, perché ci aiuti a essere ancor più felici di aver conosciuto la sorgente della vita e di poter approdare nell’abbraccio del Padre».

La mattinata per il vescovo Antonio Napolioni era iniziata con l’Eucaristia celebrata presso la casa circondariale di Cremona, nel pomeriggio invece la Messa al Santuario di Caravaggio.




Il Vescovo nella Notte di Natale: «Il presepe ci parla, ci giudica e ci salva» anche in questa «atmosfera de-natalizia»

 

Una Cattedrale gremita ha accolto i fedeli per la Messa della Notte di Natale presieduta, a mezzanotte, dal vescovo Antonio Napolioni e concelebrata dal vescovo emerito Dante Lafranconi e dai canonici del Capitolo della Cattedrale, alla presenza dei seminaristi di Cremona che hanno prestato il proprio servizio all’altare.

L’Eucaristia si è aperta con un momento di preghiera davanti al presepe, simbolo della Natività, che ogni anno viene allestito in Duomo.

«Siamo venuti per adorarlo, magari con incertezza, magari per tradizione, magari spinti dalla paura del futuro e dal bisogno di salvezza che percepiamo in questo momento – ha detto il vescovo Napolioni all’inizio della celebrazione –. Ma siamo qui per adorarlo, cioè per stupirci della misericordia e fedeltà con cui è entrato nella nostra umanità per non abbandonarla più, nel Verbo fatto carne, Gesù di Nazareth, il cui Natale rischiara davvero le tenebre del mondo».

Il vescovo, all’inizio dell’omelia, ha citato l’episodio dell’annuncio ai pastori: «Una grande gioia che sarà di tutto il popolo! Ma c’è questa gioia in tutto il popolo? Siamo preoccupati, ce la farà questo nostro Natale a dare gioia a tutto il popolo? In realtà questo nostro Natale è sempre più debole». Un Natale della pace che «è insanguinato da quello della guerra senza tregua». Un Natale della fede che «rischia di essere soffocato e di smarrirsi in mezzo a quello dei consumi». Un Natale della gioia che «è avvilito da tanti fabbricanti di paura che ci condizionano». Un Natale della vita che è controcorrente in questa cultura in cui sembra che siamo più impegnati a morire che a nascere. È come se ci fosse un’atmosfera de-natalizia».

In contesti come questi, Dio che cosa fa? «Semplicemente nasce – ha evidenziato il vescovo –. Nasce pienamente uomo e pienamente Dio. Questo è il suo modo di essere, di fare, di salvarci». Da qui il rimando proprio al presepe della Cattedrale, che «in un certo senso rappresenta la nostra condizione: la piazza, la storia, le chiese, i palazzi. È Gesù piccolino, nascosto, fedele a ridonarci la vita. Il presepe ci parla, ci giudica e ci salva. Ci giudica perché ciò che accade misura i nostri tentativi di darci vita e ci riconduce all’essenziale». Riprendendo il presepe di Greccio, allestito 800 anni fa, mons. Napolioni ha sottolineato: «San Francesco d’Assisi volle solo la mangiatoia, gli animali e l’Eucaristia, perché i personaggi umani fossimo noi. Oggi come allora».

Quindi quel Bambinello, tanto piccolo quanto illuminato, «ha il potere di proporci, con fantasia, inimmaginabili nuovi inizi, anche per il Cristianesimo – ha concluso mons. Napolioni –, che non invecchia, ma si trasforma, perché possa il Signore guidare una storia al suo compimento. Perché un Bambino è nato per noi!». Questa la risposta alla situazione de-natalizia: «Uscire noi tutti con un figlio in più: Gesù». «E noi dobbiamo formare per Lui un popolo puro che gli appartenga».