Giovedì 26 settembre presso l’auditorium Giovanni Paolo II, nella Parrocchia di Santo Stefano in Casalmaggiore, si è tenuto un incontro con il padre saveriano Giuseppe Borghesi, missionario in Amazzonia dal 1979, dal titolo “Amazzonia: nuovi cammini per la Chiesa e per un’ecologia integrale”.
A partire dalla sua biografia e dalla visione di “Sinodo para a Amazonia” (Verbo Filmes), p. Borghesi ha trasmesso alcune suggestioni per permettere ai presenti di capire cosa significhi vivere in Amazzonia, terra di cui si sente tristemente parlare per i numerosi incendi che la devastano ultimamente.
«A differenza di quanto dichiarato recentemente dal presidente del Brasile Bolsonaro -afferma il relatore- l’Amazzonia non è del Brasile ma di nove nazioni confinanti tra cui anche il Brasile. Ma se pure fosse brasiliana al 100%, se le politiche del Brasile danneggiano le nazioni vicine o il mondo tutto, allora bisognerebbe intervenire. Grandi sono gli interessi economici. Il petrolio era nazionale adesso è stato privatizzato. E come il petrolio anche i minerali, di cui li paese è ricco, vengono venduti alle grandi multinazionali che occupano il paese».
Il relatore ha infatti descritto come le multinazionali straniere sfruttino la terra dell’Amazzonia, ricca di nichel, oro, ferro, rame, pietre preziose. Minerali che nella maggior parte dei casi vengono venduti a paesi stranieri per alimentare le batterie dei devices occidentali, quali computer, smartphone, cellulari, tablet. Mentre la popolazione muore di fame, di malnutrizione e di malattie. Molti dei lavoratori utilizzati per l’estrazione dei minerali, infatti, sono cooptati irregolarmente e subiscono la coercizione di dover pagare dei debiti contratti quasi senza rendersene conto.
Ad aumentare il grado di pericolosità della missione dei saveriani, è la continua denuncia di questo tipo si sfruttamento. Manodopera a basso costo o a costo zero, schiavitù, violenze, sono solo alcune delle conseguenze di una pessima gestione del Paese, che i missionari non si sottraggono dal condannare pubblicamente. A cui si aggiunge l’esternalizzazione ad aziende straniere della costruzione di dighe, che chiudono i fiumi e bloccano le acque. «Ne hanno fatte molte e distruggono un’enorme quantità di foreste. La gente che abitava là è dovuta andar via. Lo scopo di questo ennesimo intervento è usare l’energia per produrre elettricità da vendere ad altri stati. E anche nelle dighe c’è il lavoro schiavo».
Deforestazione, manomissione dei corsi d’acqua con conseguente siccità, nonché avversità dovute ai cambiamenti climatici, sono alla base dei conflitti sorti in seno alle popolazioni ataviche che vivono in Amazzonia e che vivono l’Amazzonia da secoli. «Gli Indios sono 3 milioni (ndr esiste una missione saveriana che lavora solo con loro). Loro hanno non solo la terra ma anche la loro cultura e la loro lingua. Una ricchezza enorme. Per loro la terra è madre. Gli alberi contengono gli spiriti. Cultura che viene dai loro antenati. Ma se la terra viene venduta ai latifondisti o se la foresta viene devastata, ad andare a fuoco non è solo una fetta di “polmone del mondo” ma anche la cultura di un popolo sul rischio di scomparire per sempre».
I saveriani, ha raccontato in ultimo p. Borghesi, fanno il possibile, rischiando anche la loro vita, per difendere le popolazioni inermi, denunciando soprusi e irregolarità. «Il latifondista che ha molta terra ha bisogno di molti lavoratori. Ma questi lavoratori vengono tratti in schiavitù, privi di un orario di lavoro dignitoso e di un salario sufficiente per vivere. Questa si chiama schiavitù. Noi abbiamo liberato in una retata 223 schiavi e in un’altra 180. Questo crea vari pericoli. Bisogna stare attenti. Come dice Cristo “Siate puri come colombe ma astuti come serpenti”».
Ancora molto c’è da fare, a partire da tutti, a partire dal prendersi cura di questo pianeta, come sollecitato nell’enciclica di papa Francesco Laudato sì. Perché la salvaguardia dell’intero pianeta, a partire dall’Amazzonia, dipende da tutti. Anche da noi.
Sara Pisani