Dopo aver pregato radunati nel dolore per la morte di Papa Francesco, con nel cuore anche la gratitudine per gli anni del suo ministero, e dopo l’adorazione eucaristica invocando lo Spirito per i cardinali che di lì a poco si sarebbero radunati in Conclave, nel pomeriggio di domenica 11 maggio la Chiesa cremonese si è data nuovamente appuntamento in Cattedrale insieme al vescovo Antonio Napolini per ringraziare per l’elezione del nuovo Pontefice, Leone XIV.
«Non perché ci piace o non ci piace – ha subito chiarito il vescovo nell’omelia – ma perché abbiamo percepito compiersi un grande mistero, incarnato in vicende umane, come è fatta la Chiesa». E rispetto a una «Chiesa che è mistero, comunione e missione», come san Giovanni Paolo II aveva evidenziato in riferimento al Concilio, si è mossa la riflessione del Vescovo nella domenica del Buon Pastore, prendendo spunto in particolare dalle letture del giorno.
A cominciare dal brano dell’Apocalisse (Ap 7,9.14-17), che ha portato a indirizzare lo sguardo al Giudizio universale di Michelangelo nella Cappella Sistina, lì dove i cardinali sono chiamati a svolgere un compito così grande. Ma anche pensando all’assemblea di questa Eucaristia nella Cattedrale di Cremona, abbracciata tra la Crocifissione del Pordenone in controfacciata e la Gloria del Redentore nell’abside. Non solo suggestioni artistiche, ma il modo «per sentirci dentro un grande mistero, quello della comunione dei santi», ha sottolineano il vescovo, richiamando che “ogni popolo e lingua” era elemento concreto anche nel Conclave con la presenza delle 72 nazioni dei cardinali: «Mai una Chiesa così rappresentativa del mondo, con le sue diversità, con le sue problematiche, con le sue risorse. Perché tutti siamo figli di Dio Padre ed è bello riconoscere che lui ha un progetto di salvezza e di bene per tutti».
Quel “tutti” che torna continuamente nel brano di Apocalisse e che richiama al gregge; di cui l’agnello si fa pastore e il pastore si fa agnello. «È la Pasqua di Cristo il cuore pulsante che dà vita all’esperienza cristiana – ha richiamato Napolioni –: non siamo noi, le cose che facciamo, le strutture che costruiamo».
Una seconda luce attraverso la quale il vescovo ha voluto guardare a Papa Leone XIV è stata quella dell’intreccio di relazioni e con un riferimento al brano evangelico del Buon Pastore (Gv 10,27-30). Un tessuto di relazioni, «per metterci anche noi al lavoro con il papa, con il vescovo, con le comunità – ha proseguito Napolioni – perché la Chiesa mistero sia anche comunione». E qui il pensiero è andato al motto del vescovo Prevost “In Illo uno unum” (“In Colui che è Uno, siamo uno”): un richiamo all’unità dei credenti, perché uno è il Signore.
«Questa relazione tra il pastore e il gregge, tra il Papa e la Chiesa – ha detto ancora il vescovo – è dentro la relazione tra il Padre e il Figlio. È la Trinità che cementa e riscalda le nostre relazioni, chiamate a essere a immagine dell’Amore trinitario. È lo Spirito Santo che dinamizza il rapporto tra il Padre e il Figlio e anche tra noi. Altrimenti, se dovessimo guardare solo gli aspetti umani, che motivo avremmo di stare insieme?».
Una Chiesa che da sempre è fatta di gioie ma anche di persecuzioni, come ricorda la pagina degli Atti degli Apostoli (At 13,14.43-52), soprattutto quando il Vangelo disturba. Monsignor Napolioni ha voluto ricordare l’augurio di don Benzi: “Che Gesù vi dia fastidio”. E le parole di Papa Francesco: “Chi non vive per servire non serve per vivere”. «Questo coraggio di dire ancora ciò che il mondo non vorrebbe sentirsi dire – ha richiamato Napolioni – lo vediamo già nei tratti di Papa Leone: una pace disarmata e disarmante, un impegno per l’unità che parta dall’accoglienza dei più deboli. E quindi dobbiamo pregare e restare vicini al Papa, e camminare con lui, sapendo che anche per lui e anche per noi è possibile una persecuzione».
Una storia che ha il suo “lieto fine” nella Pasqua. «”I discepoli erano pieni di gioia e di Spirito Santo” – ha concluso il vescovo, citando la conclusione del brano degli Atti –: è l’ultima parola di questo percorso che dal mistero genera la comunione, ci mette in missione nel mondo, ci chiede di rischiare, ci può anche far sentire soli in certi momenti, ma in realtà c’è una fonte di gioia che è proprio la comunione con Cristo, l’esperienza ecclesiale, la docilità allo Spirito e l’obbedienza alla Grazia. La Pasqua: siamo i cristiani della Pasqua, missionari della Pasqua. Il mondo ha bisogno di questa Pasqua di morte e risurrezione». «Preghiamo dunque – l’auspicio finale – perché il Papa, forte di questo tesoro della Grazia, lo spartisca con tutta la Chiesa e ci aiuti a essere testimoni del Risorto».