Ottobre missionario/4. I “fidei donum” cremonesi in Brasile nella tesi di Teresa Maria Schiopetti

L'essere "fidei donum" e l'esperienza dei preti cremonesi in Brasile al centro delle studio della 27enne di Stagno Lombardo

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La presenza e l’esperienza dei sacerdoti “fidei donum” della diocesi di Cremona in Brasile è al centro della tesi di laurea di Teresa Maria Schiopetti, 27enne di Stagno Lombardo laureata in Scienze dell’educazione e dei processi formativi all’Università di Parma, che sta completando la magistrale in Scienze pedagogiche a Reggio Emilia.

 

Teresa Maria, come nasce l’idea della tua tesi?

«L’idea è nata in modo inaspettato, all’interno del corso a scelta di Storia della globalizzazione, tenuto dalla professoressa Silvia Scatena, docente che stimo molto per la sua capacità di far dialogare tematiche storiche e spirituali. Un corso che aveva una curvatura religiosa. Inizialmente avevo pensato di approfondire il tema dell’ecumenismo attraverso la comunità monastica di Taizé, ma la bibliografia era quasi interamente in francese, lingua che non conosco. È stata proprio la professoressa Scatena a suggerirmi di approfondire la realtà dei sacerdoti “fidei donum”. Quella che inizialmente sembrava una semplice indicazione si è rivelata molto significativa: ho scoperto, infatti, che il mio attuale parroco, don Pedro Vei, aveva vissuto per molti anni quell’esperienza. Da quell’incontro di coincidenze e stimoli è cominciato il mio percorso».

 

Chi sono i preti “fidei donum” e cosa ti ha colpito della loro esperienza?

«Anche nella tesi ricordo che i preti “fidei donum” sono sacerdoti diocesani inviati, in spirito di solidarietà e collaborazione, come missionari in territori in cui le Chiese locali sono povere di clero. Il loro è un servizio non solo spirituale, ma umano e comunitario. Proprio questo aspetto mi ha profondamente colpita: il modo in cui si sono messi a disposizione dell’altro, affrontando realtà sociali, culturali e religiose fortemente diverse da quelle d’origine. La mia attenzione si è concentrata proprio sul tema dell’incontro con l’alterità: in un mondo sempre più globalizzato, anche qui da noi siamo chiamati a relazionarci con persone provenienti da contesti differenti. La mia formazione pedagogica mi ha portato a maturare la convinzione che bisogna cambiare il nostro vocabolario: non possiamo più chiamare “stranieri” coloro che vivono tra noi. Dovremmo usare parole più rispettose, che riconoscano l’umanità prima dell’origine».

 

Com’è strutturata la tesi?

«La mia tesi si sviluppa in cinque capitoli. Nel primo analizzo il contesto dell’America Latina nella seconda metà del Novecento, dal punto di vista storico, politico e sociale, focalizzandomi sul periodo dei regimi autoritari e delle difficili transizioni democratiche. Il secondo capitolo è dedicato alla Chiesa latino-americana dello stesso periodo, con particolare attenzione alla ricezione del Concilio Vaticano II, alle Conferenze episcopali di Medellín e Puebla e al sorgere della teologia della liberazione, che ha dato voce all’opzione preferenziale per i poveri. Nel terzo capitolo tratto del cambiamento del paradigma missionario durante il Novecento, attraverso le principali encicliche e documenti ecclesiali, come la “Fidei donum” di Pio XII, il decreto conciliare “Ad Gentes” e la “Populorum Progressio” di Paolo VI. Il quarto capitolo analizza nello specifico l’esperienza dei preti fidei donum italiani in America Latina, le loro traiettorie, motivazioni e contributi, offrendo anche una rassegna bibliografica sul tema. Infine, il cuore della mia ricerca è rappresentato dal quinto capitolo, dedicato ai preti “fidei donum” della diocesi di Cremona: grazie anche all’aiuto di don Umberto Zanaboni dell’Ufficio missionario diocesano, del mio parroco e del cremonese dom Carmelo Scampa, vescovo emerito di São Luís de Montes Belos, ho ricostruito una tabella biografica con informazioni sui 19 sacerdoti cremonesi che hanno prestato servizio in Brasile. Ho anche avuto l’onore di intervistare personalmente don Pedro e dom Scampa».

 

Qual è stato il tuo approccio metodologico e cosa hai imparato?

«Questa è stata la mia prima vera ricerca individuale e dal punto di vista metodologico è stata una grande palestra. Ho imparato a raccogliere fonti, a elaborare dati, a condurre interviste e a sintetizzare informazioni complesse. Soprattutto, ho imparato a vedere questi sacerdoti non solo come uomini di fede, ma come persone che si sono donate completamente all’altro. La loro dedizione mi ha ispirata profondamente. Mi ha colpita molto anche la disponibilità dei sacerdoti che ho contattato: don Pedro, don Antonio Agnelli, don Umberto Zanaboni, don Paolo Fusar, don Angelo Ferrari e molti altri. Mi hanno fornito materiali, contatti, racconti. A loro devo moltissimo, e il loro aiuto non è stato affatto scontato. Ho percepito un grande senso di comunità e di accoglienza, che mi ha fatto sentire parte di qualcosa di più grande».

 

Che ruolo hanno avuto le interviste nella tua ricerca?

«Sono state centrali: mi hanno permesso di entrare nel cuore dell’esperienza dei “fidei donum”, andando oltre le fonti scritte. Sia al vescovo Scampa che a don Pedro ho chiesto quale fosse, secondo loro, il significato più profondo della dedizione all’altro: don Pedro mi ha esortata a “uscire dal mio orticello”, a mettermi in gioco, a rischiare. Dom Scampa mi ha parlato dell’importanza del dialogo, dell’ascolto, della comprensione, del non giudicare; mi ha detto: “Nell’incontro con l’altro siamo entrambi maestri e discepoli: io posso donarti qualcosa, ma anche tu puoi insegnare qualcosa a me”. Ed è proprio questo atteggiamento che ha guidato i “fidei donum”: non hanno calato verità dall’alto, ma si sono lasciati trasformare dall’incontro».

 

Perché hai scelto di focalizzarti proprio su questi aspetti?

«È stato don Pedro a contagiarmi con la sua passione. Raccontandomi la sua esperienza, è riuscito a suscitare in me un interesse profondo. Con la mia relatrice abbiamo capito che si trattava di un tema originale e poco esplorato, soprattutto a livello locale. Nessuno, finora, aveva trattato in questi termini l’esperienza dei “fidei donum” cremonesi. Restituire alla diocesi questo lavoro, valorizzare la storia e la testimonianza di questi preti, è stato per me un modo per fare memoria e per lasciare una traccia. So bene che la mia ricerca non è esaustiva, ma spero possa essere un punto di partenza per studi futuri».

 

A livello personale che cosa ti ha lasciato questa esperienza?

«Nonostante provenga da un corso di studi apparentemente lontano da questo ambito, mi sono sentita profondamente coinvolta. Entrare in questo mondo è stato impegnativo, ma stimolante. Ho capito quanto sia importante, anche nella mia futura professione educativa – pensavo inizialmente di lavorare come educatrice in un nido e ora vorrei diventare insegnante di Scienze umane e Filosofia in un liceo – mettermi in ascolto, evitare giudizi affrettati e valorizzare la diversità come risorsa. I preti “fidei donum” hanno vissuto tutto questo in prima persona: non solo hanno portato il Vangelo, ma hanno costruito relazioni, hanno imparato a conoscere l’altro e si sono lasciati trasformare. Anche io, nel mio piccolo, spero di poter fare lo stesso nel mio lavoro: mettermi a disposizione dell’altro, con umiltà, consapevole che ogni incontro è uno scambio. Non sarò solo educatrice, ma anche alunna. La relazione educativa, come quella missionaria, è sempre un cammino reciproco. Questa ricerca mi ha aiutata a vedere meglio anche il senso della mia vocazione professionale. Non è solo una questione di trasmettere conoscenze o competenze, ma di creare legami, di accogliere l’altro, di lasciarmi interrogare e cambiare. Il modello dei preti “fidei donum” – persone che hanno donato se stesse, senza aspettarsi nulla in cambio – resterà un punto di riferimento nel mio cammino umano e professionale».

 

 

Scheda sintetica dei “fidei donum” cremonesi in Brasile

 

 

 

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TeleRadio Cremona Cittanova
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