Tenerezza e prossimità, la lezione del dottor Abruzzi raccontata su L’Osservatore Romano

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Martedì 15 giugno L’Osservatore Romano ha dedicato spazio al dottor Luciano Abruzzi, stimato neurologo morto durante la prima ondata della pandemia. Alle colonne del quotidiano romano, il figlio Dario affida il ricordo del padre. Un uomo, dice, capace di mettersi sempre in discussione e di non sentirsi mai arrivato. Un medico sempre disponibile, specie con i malati.

“Diceva sempre che prima di essere un bravo medico bisogna essere una brava persona. In particolare con i malati di Parkinson, diceva che dove non arrivava la medicina doveva arrivare la persona”. E’ stato così anche con la sua famiglia e i suoi figli. “Era un padre presente – ricorda Dario, anche lui medico, nell’intervista rilasciata ad Alessandro Gisotti – quando tornava a casa si dedicava a noi, anche se aveva tanti problemi al lavoro. Ha sempre tenuto a fare il suo dovere, alla sua missione, all’obbedienza a quella che sentiva una chiamata”. Fino a dare la disponibilità per lavorare nei reparti covid nei momenti più duri e concitati dell’emergenza sanitaria.

Dopo la morte del padre, Dario ha avuto modo di incontrare Papa Francesco in un’udienza in Vaticano con gli operatori sanitari delle zone del Nord Italia più colpite dal Covid. In quell’occasione il Pontefice parlò di tenerezza e prossimità, due concetti che ribaltavano il rapporto malato-paziente in un momento in cui le parole più usate erano “distanziamento”, “distacco”, “quarantena”.

Tenerezza e prossimità sono la lezione umana che Luciano Abruzzi ha lasciato, facendone fare esperienza in chiunque lo abbia incontrato. Una testimonianza che non è morta con lui, ma che anzi oggi più di ieri porta frutto.

Leggi l’intervista su L’Osservatore Romano