Ottobre è il mese dedicato alle missioni nel mondo e tradizionalmente i momenti di incontro e le occasioni di approfondire questo tema importante e complesso non mancano. Giovedì 17 ottobre, presso il Centro di spiritualità del Santuario di Caravaggio, l’associazione “Amici del Brasile”, in occasione del trentesimo dalla sua fondazione, ha organizzato una serata dal titolo “…dall’Italia siamo partiti…” per riflettere sul fenomeno della migrazione ieri e oggi e sulla relazione tra migrazione, educazione e integrazione.
Ospiti della serata, moderata dal responsabile dell’Ufficio Migrantes della Diocesi di Crema Enrico Fantoni, sono stati l’arcivescovo cremonese Gian Carlo Perego, presidente della commissione CEI per le Migrazioni e della Fondazione Migrantes, e Matteo Cundari, giornalista freelance che tra le altre cose si occupa di documentare la presenza di discendenti di migranti italiani nel mondo e soprattutto in Brasile.
Gli interventi sono stati preceduti dalle parole di don Antonio Trapattoni che ha riassunto la storia dell’associazione. Sono numerosi i progetti che dal 1994 vengono attuati per promuovere la formazione scolastica in Brasile, assicurando ai bambini i diritti primari come istruzione e alimentazione, oltre a curare lo sviluppo delle famiglie e delle comunità. La onlus, infatti, ha aiutato migliaia di ragazzi, ha formato centinaia di educatori e ha sovvenzionato decine di borse di studio. Nella sua attività ha operato per un periodo anche nella Bolivia amazzonica e oggi ha progetti anche sul territorio nazionale, perseguendo sempre l’obiettivo di facilitare l’integrazione.
È stata poi la volta di Fantoni che ha ragionato intorno all’importanza di guardare alla storia passata per capire il presente e per sfatare tanti luoghi comuni che ruotano intorno all’integrazione.
Durante i suoi interventi, l’arcivescovo Perego ha fatto una breve ma puntuale storia della migrazione italiana che ha visto il Brasile come meta privilegiata. In questi viaggi della speranza molto importante è stato il ruolo di vescovi e sacerdoti che hanno accompagnato i migranti e li hanno sostenuti. La fede e il senso di comunità sono, infatti, da sempre fondamentali per chi sceglie di spostarsi dalla propria terra natia per cercare di migliorare la propria vita. Numerose sono le piccole chiese che negli anni sono state edificate oltreoceano e che hanno rappresentato punti di riferimento importanti, come proprio il santuario intitolato alla Madonna di Caravaggio, oggi uno dei più importanti del Brasile.
Anche l’uso della lingua natia ha in sé il bisogno di mantenere viva la propria identità. L’italiano è, infatti, considerato patrimonio linguistico nello stato del Rio Grande dal 2009 e viene parlato da piccole comunità di discendenti di italiani.
A testimonianza di questo, Matteo Cundari ha raccontato di quando ha intrapreso un viaggio in Brasile come consulente della Provincia di Bergamo ai tempi amministrata da Valerio Bettoni: «Nel 2005 in Provincia scopriamo che in Brasile c’è un paese che si chiama Atalanta e che c’è un prete che ha detto Messa in bergamasco». Un racconto corredato dalle immagini del suo documentario, tra piccoli paesi brasiliani dove si mangia la polenta e si cantano canzoni popolari bergamasche.
Dalla storia si è poi passati a raccontare e analizzare il presente, che ha peculiarità proprie, ma anche aspetti simili al passato, che ha sicuramente da insegnare alle istituzioni presenti che hanno il dovere di stabilire leggi che promuovano una vera e propria integrazione: «è importante – ha affermato Perego – rispettare la diversità, ma è altrettanto fondamentale lavorare per la costruzione di diritti per tutti».
La serata si è conclusa in modo suggestivo con con il saluto del rettore del santuario mariano in Brasile, don Riccardo Fontana (anche lui discendente di italiani migrati oltreoceano), che è in visita in Italia. Dalle sue parole di ringraziamento per l’accoglienza e la serata era evidente tutta l’emozione e la commozione: «Sentire queste è stato come ascoltare le parole del mio bisnonno, migrante. In questa serata avete parlato alla mia carne».