Pandori in dono ai detenuti di Ca’ del Ferro. E a Natale il Vescovo in visita alla casa circondariale per la Messa

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Come ormai consuetudine la mattina di Natale il vescovo presiederà l’Eucaristia all’interno della casa circondariale di Cremona. Un segno di attenzione alle persone detenute che, attraverso Caritas Cremonese, si arricchisce anche anche nel dono di un pandoro in ogni cella, insieme anche a un’immagine del Natale. Gli operatori di Caritas Cremonese hanno confezionato e consegnato i dolci pacchi sabato 21 dicembre. Dei 300 pandori donati dall’imprenditore dolciario cremonese Michele Bonetti 260 sono stati destinata alla casa circondariale di cremone e gli altri 40 alle diverse strutture di accoglienza gestite sul territorio dalla Caritas diocesana.

«La cosa più importante è saper incontrare e ascoltare. La carità dietro le sbarre significa ripartire dalle persone, non dagli errori. E fornire prima di tutto supporto materiale e morale, evitando il pietismo». Nelle parole di don Pierluigi Codazzi si riassume l’azione che la Caritas diocesana di Cremona porta avanti nella casa circondariale di via Ca’ del ferro. Una presenza discreta ma costante, in collaborazione con le istituzioni carcerarie, per ricucire lo strappo tra i detenuti e la società e «dare speranza alla giustizia», come ricordava l’iniziativa vissuta dalla Chiesa cremonese in Quaresima. «Significa incontrare molte persone straniere e in estrema povertà – precisa il direttore di Caritas Cremonese – che spesso non hanno famiglie di riferimento». I detenuti vengono quindi accolti nei loro bisogni primari, e insieme spirituali. «Ci chiedono beni essenziali come l’abbigliamento o ricariche telefoniche per poter contattare i famigliari – racconta ancora il sacerdote –. Ed è bello sottolineare che, attraverso la cooperativa Gamma che lavora con persone affette da disabilità mentale, viene preparato il pacco con gli indumenti in modo personalizzato. Queste sinergie, insieme anche alla Cappellania e agli operatori del carcere, è uno stile pastorale che ha un suo significato».

Si tratta insomma di creare relazioni positive con i detenuti. E uno spazio dove potersi incontrare nella propria umanità. «La popolazione carceraria è diventata la mia “parrocchia”», racconta don Graziano Ghisolfi, uno dei cappellani. «Vorrei che la gente fuori potesse rendersi conto che il carcere è una realtà che fa parte di noi e della società. Ci sono persone che hanno bisogno anche del nostro aiuto. Come fratelli, ma prima di tutto come esseri umani». Così come avviene con il centro di ascolto della Caritas, anche la Cappellania gioca un ruolo essenziale nell’accompagnamento a una riabilitazione del detenuto. «Ci sono persone che anche con il colloquio intraprendono percorsi di carattere spirituale». Un cammino che culmina nel riaccostarsi ai Sacramenti e partecipare alle celebrazioni. «La Messa in carcere è vissuta sempre in modo intenso», sottolinea don Ghisolfi. «Anche il vescovo non manca mai di farlo presente quando viene a presiederla, soprattutto in occasione del Natale e della Pasqua. Mi colpisce sempre la commozione che traspare dallo sguardo delle persone detenute: è il segno di una Chiesa e di un Dio capaci di riaccogliere nonostante gli sbagli e le fragilità».

Azioni in grado di offrire una prospettiva educativa della pena come segno di speranza. Da qui l’idea, soprattutto in vista del Giubileo, di portare avanti progetti di riabilitazione lavorativa e educativa dei detenuti all’esterno del penitenziario. «Da alcuni mesi stiamo mettendo in atto un coordinamento con la Caritas della Lombardia per condividere strategie sul tema carcerario», ha aggiunto don Codazzi. Tra assistenza e riscatto, la ricerca di lavori socialmente utili e pene alternative per sconfiggere la recidività dell’errore.

 

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Jacopo Orlo
TeleRadio Cremona Cittanova
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