Giubileo équipe sinodali. Il Papa: donne nella Chiesa e nella società, superare pregiudizi e ostacoli culturali

In Aula Paolo VI, Leone XIV dialoga a braccio con i partecipanti al Giubileo delle équipe sinodali e degli organismi di partecipazione, rispondendo a sette domande dei delegati di tutti i continenti. Esalta la vocazione missionaria della Chiesa, che deve “ascoltare il grido della terra”, e adoperarsi perché i carismi di tutti e tutte siano rispettati. Ma anche essere “ponte tra culture e religioni” e costruire pace e comunione. Dall'Asia e dall'Africa, ricorda, abbiamo molto da imparare

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Imparare. È una delle parole più ricorrenti nelle risposte che nel pomeriggio di venerdì 24 ottobre Leone XIV offre ai rappresentanti delle équipe sinodali e degli organismi di partecipazione, che celebrano il loro Giubileo, facendosi portavoce di sette regioni geografiche e davanti al Papa presentano il lavoro di implementazione della sinodalità nei loro rispettivi contesti ecclesiali. A moderare in Aula Paolo VI il momento di dialogo dei delegati con il Vescovo di Roma è suor Nathalie Becquart, sottosegretaria del Sinodo dei vescovi, organismo che quest’anno ha celebrato i sessant’anni di costituzione. Ricordando quanto già affermava san Paolo VI, che il primato e la collegialità non possono essere vissuti senza la sinodalità con tutti i battezzati, la religiosa avvia l’incontro per la condivisione dei frutti del processo sinodale a livello continentale (che si è svolto da ottobre 2021 a ottobre 2024). Accanto al Papa ci sono il cardinale Mario Grech, segretario generale del Sinodo dei vescovi, e monsignor Luis Marín De San Martín, O.S.A., sottosegretario della Segreteria Generale del Sinodo.

 

La Chiesa in Africa ha molto da offrire a tutti

Una carrellata sul cammino sinodale in Africa è quanto offre donRafael Simbine Junior, sacerdote della diocesi di Xai-Xai in Mozambico, segretario generale del Simposio delle Conferenze episcopali di Africa e Madagascar (SCEAM-SECAM). Un percorso che ha fatto molti passi in avanti, afferma, e che si è aperto in tutte le parrocchie perché “la sinodalità non è una campagna che ha una scadenza ma un modo di essere Chiesa che deve essere appreso, praticato e trasmesso”. Si sono moltiplicati gli spazi di incontro anche ad altri movimenti religiosi e persino nella sfera pubblica, perché è proprio il contatto con la società, insieme all’ascolto e alla formazione, la direttrice da seguire. “È il movimento verso l’esterno di una Chiesa in ascolto – spiega – discerniamo insieme e poi camminiamo con la società per il bene comune”. La sottolineatura è che “il dono dell’Africa al cammino sinodale è un vivo senso di famiglia, resilienza e speranza”. La domanda posta al Pontefice è come possono le Chiese locali, in particolare in Africa, realizzare un discernimento non condizionato dall’imposizione di “modelli uniformi” che rischierebbero di indebolirne l’iniziativa.

Nella sua risposta, il Papa riporta fin dall’inizio il focus sulla parola “missione”, ispirato dall’essere stato egli stesso missionario. Ricorda Papa Francesco e quanto il suo predecessore già sottolineasse l’importanza nel processo sinodale di portare il Vangelo fino alla fine del mondo. “Penso che la Chiesa in Africa abbia molto da offrire a tutti noi”, precisa il Papa, soprattutto perché “la Chiesa può essere un ponte”. E prosegue evidenziando quanto, grazie ai giovani e alle famiglie, si possa essere “uno strumento per la costruzione della pace e offrire modelli sia all’interno dell’Africa, tra i Paesi africani, ma anche tra i diversi Paesi e continenti del mondo”Poi scandisce chiaramente: “Non stiamo cercando un modello uniforme e non presenteremo un modello standard che tutti in ogni Paese diranno: ‘È così che si fa’. Si tratta piuttosto di una conversione allo Spirito di essere Chiesa e missionari e di costruire, in questo senso, la famiglia di Dio”. E ancora una precisazione:

Soprattutto nelle culture in cui noi cristiani non siamo la maggioranza, spesso con membri di altre religioni, sia regionali che mondiali come l’Islam, le sfide che ci sono allo stesso tempo sono anche grandi opportunità. E penso che ciò che la maggior parte di noi ha sperimentato negli ultimi anni in preparazione al Sinodo e all’inizio di questo nuovo processo di attuazione, è proprio che la sinodalità, per usare le tue parole, non è una campagna. È un modo di essere e un modo di essere Chiesa. È un modo di promuovere un atteggiamento che inizia con l’imparare ad ascoltarsi l’un l’altro. E il dono dell’ascolto è qualcosa che penso tutti noi riconosciamo, ma che spesso è andato perduto in alcuni settori della Chiesa, e qualcosa di cui credo dobbiamo continuare a scoprire il valore, a partire dall’ascolto della Parola di Dio, dall’ascolto reciproco, dall’ascolto della saggezza che troviamo negli uomini e nelle donne, nei membri della Chiesa e in coloro che sono alla ricerca ma che forse non sono ancora e forse non saranno mai membri della Chiesa, ma che stanno davvero cercando la verità. 

 

Ascoltare il grido di chi soffre, non possiamo essere passivi

Volando alle Isole Fiji, tocca a Susan Sela, rappresentante della Federazione delle Conferenze dei Vescovi cattolici di Oceania (FCBCO), direttrice dell’Istituto “Pacific Technical and Further Education” dell’arcipelago, riferire sul lavoro nella Chiesa del continente che, spiega, viaggia a diverse le velocità, tra fragilità ecologica e ricchezza culturale. Qui il cammino sinodale è principalmente inteso come “conversione spirituale”. Australia, Nuova Zelanda, Papua Nuova Guinea e Isole Salomone, nazioni del Pacifico e Chiese Cattoliche Orientali, formano una rete in cui la sinodalità diventa anche abbraccio della cultura indigena, inclusione della disabilità e integrazione culturale. Due le esperienze degne di nota: nelle Fiji, un team di 57 membri incarna la Chiesa come una “tenda allargata” garantendo che le voci periferiche siano centrali; in Australia, lo slancio post-Concilio Plenario ha dato vita a sinodi diocesani dal febbraio 2023, supportati dal coordinamento nazionale. Qui la richiesta al Papa riguarda l’organizzazione ecclesiale e l’eventuale crescita in futuro del ruolo dei raggruppamenti (a livello di Conferenze Episcopali Continentali, le Conferenze Episcopali nazionali o regionali e le Province Ecclesiastiche).

La risposta del Papa è “sì”. Egli si aspetta che le Chiese crescano nella comunione attraverso l’esercizio della sinodalità. Ricorda che recentemente ha avuto occasione di incontrare un vescovo proveniente proprio da questa regione, molto preoccupato per le conseguenze del cambiamento climatico, fenomeno capace di mettere a rischio la stessa sopravvivenza del territorio.

Ci stiamo godendo il lusso di stare seduti in spazi molto confortevoli e riflettere su cose che a volte possono sembrare molto teoriche. Ma quando sentiamo il grido urgente delle persone in diverse parti del mondo, sia a causa della povertà che dell’ingiustizia, o a causa dei cambiamenti climatici, o forse per una serie di altre cause, ci rendiamo conto che non stiamo solo riflettendo su questioni teoriche e che è necessaria una risposta urgente. E questo è un caso specifico in cui spero che tutti noi prendiamo molto sul serio l’appello che Papa Francesco ha rivolto a tutta la Chiesa e al mondo dieci anni fa nella Laudato Si’, dicendo che anche questo fa parte della nostra risposta di fede a ciò che sta accadendo nel nostro mondo. Non possiamo essere passivi. Pertanto, spero vivamente che attraverso le conferenze episcopali, le Province ecclesiastiche, le Conferenze continentali, possiamo affrontare alcune di queste questioni molto specifiche e fare la differenza. Penso che la Chiesa abbia una voce e che dobbiamo avere il coraggio di alzare la voce per cambiare il mondo, per renderlo un posto migliore.

 

Senza formazione ci saranno sempre resistenze e paure

Dall’America del Nord monsignor Alain Faubert, vescovo di Valleyfield (Canada)membro del Consiglio Ordinario del Sinodo, presenta – parlando in spagnolo, inglese e francese – un continente multiforme che definisce “un arazzo ecclesiale”, in cui la povertà e la realtà delle comunità migranti hanno un impatto sulle Chiese locali negli Stati Uniti e in Canada. Se da un lato questa diversità è un’opportunità di crescita, dall’altro permane la necessità di promuovere una vera comunione accoglienza verso chi arriva da altri Paesi. Si avverte la necessità di un maggiore impegno per stabilire una comunicazione ecclesiale collaborativa più solida con l’America Latina, in particolare con il Messico. Alcuni, osserva il presule, temono un’incomprensione della sinodalità che potrebbe esacerbare le tensioni esistenti. Un comitato nazionale ad hoc è stato creato per accompagnare, sostenere e coordinare gli sforzi di attuazione della sinodalità in tutta la Chiesa in CanadaA Leone XIV viene posta la preoccupazione di quella parte di vescovi e clero che guarda alla sinodalità come possibile fonte di indebolimento dell’autorità dei pastori. Si chiedono indicazioni per promuovere meglio la corresponsabilità, la rendicontazione e la trasparenza nelle diocesi e parrocchie.

Papa Leone riflette su Canada e Stati Uniti che osserva come due Paesi in passato alleati ma ora in corso di separazione. Proprio in relazione a questa tendenza, sottolinea l’importanza della sinodalità che, afferma, va messa in atto in modo concreto. Invita tutti a riflettere nel merito, i sacerdoti, ancora più dei vescovi, ad aprire il proprio cuore e partecipare a questi processi. Aggiunge che spesso le resistenze sono frutto di paura o mancanza di conoscenza e quindi insiste sulla formazione. Poi riprende l’aspetto del ‘ritmo’:

Dobbiamo capire che non tutti corriamo alla stessa velocità e che a volte dobbiamo essere pazienti gli uni con gli altri. E piuttosto che avere poche persone che corrono avanti e lasciano indietro molte altre, il che potrebbe causare persino una frattura nell’esperienza ecclesiale; dobbiamo cercare modi, a volte molto concreti, per comprendere cosa sta succedendo in ogni luogo, quali sono le resistenze o da dove provengono, e cosa possiamo fare per incoraggiare sempre più l’esperienza di comunione in questa Chiesa, che è sinodale. Quindi, penso che la realtà concreta, compresa all’interno della cultura americana, degli Stati Uniti, dove in realtà molte strutture già esistenti hanno un grande potenziale per essere sinodali e per trovare modi per continuare a trasformarle in esperienze più inclusive, sia nei consigli pastorali, sia in altre strutture diocesane o incontri.

L’inclusione di uomini e donne, laici e clero, religiosi, dice il Papa, passa per la partecipazione. “Possano tutti provare un forte senso di appartenenza, di leadership e di responsabilità nella vita della Chiesa”.

 

Riscoprire l’entusiasmo della fede per portare riconciliazione

A rappresentare il Consiglio dei Patriarchi Cattolici d’Oriente (CPCO) è monsignor Mounir Khairallah, vescovo di Batrum, presidente del Comitato Patriarcale Maronita per il Seguito del Sinodo. Il suo vuole essere anche un grido di giustizia “in nome dei nostri popoli oppressi e privati di voce, messaggeri di speranza e artefici di pace”. A livello di Chiesa maronita, la sinodalità è stata proposta come tema per la formazione permanente dei sacerdoti, e nelle diverse diocesi del Libano, Paese che peraltro il Papa visiterà a inizio dicembre, sono state organizzate sessioni per i vescovi, i parroci, i delegati delle diocesi e degli ordini religiosi, dei movimenti ecclesali, insistendo molto sulla preziosità del dialogo. In questo caso la domanda posta al Successore di Pietro riguarda quali cambiamenti “urgenti” le Chiese orientali devono attuare per mettere in pratica la sinodalità anche a livello dei seminari, dei noviziati, della formazione tra i laici.

Ben due applausi da parte dell’assemblea sottolineano le parole del Papa in risposta alla testimonianza da un luogo che oggi, scadisce Leone, “ha bisogno di segni di speranza”. Indica nella ricerca del dono dell’entusiasmo, nelle Chiese del Medio Oriente e anche tra i cristiani della diaspora, un grande ed essenziale segno di speranza. Nella terra dove Gesù è nato, dove ha vissuto, dove è stato martirizzato e dove è risorto dai morti, proprio questo, dice Leone XIV, è “segno ultimo di tutta la nostra speranza”. E invita su queste basi a “essere veri promotori del perdono e della riconciliazione, che sono così necessari, per imparare che nel perdonare e nell’operare per la riconciliazione possiamo davvero costruire una maggiore unità tra tutti i popoli”. Segue un nuovo appello all’unità:

Come Chiesa, dobbiamo essere uniti e riunirci per essere quel segno autentico di speranza, ma anche un’espressione molto reale della carità cristiana, dell’amore fraterno e della cura reciproca, specialmente verso quelle persone che hanno perso tutto a causa della distruzione della guerra, a causa dell’esistenza dell’odio tra di noi. Penso che le sfide che le Chiese orientali hanno continuato ad affrontare e a portare avanti in Medio Oriente siano qualcosa che noi occidentali dobbiamo comprendere meglio, se così si può dire, e che, guardando ai processi sinodali, dobbiamo capire che esistono anche differenze significative tra la Chiesa latina e le Chiese orientali. E dobbiamo rispettare queste differenze. Penso che questo sia il primo passo in qualsiasi comunità, in qualsiasi organizzazione umana: se non ci rispettiamo l’un l’altro, non potremo mai iniziare a conoscerci e ad avvicinarci gli uni agli altri. 

 

Costruire percorsi di inclusione

Il rapporto sul cammino dell’America Latina e i Caraibi è affidato a Nicolás Meyer, membro dell’équipe sinodale del CELAM e coordinatore della Conferenza regionale della Caritas. Tutti i Paesi di quest’area stanno lavorando con gruppi o commissioni episcopali nazionali e alcuni hanno già individuato percorsi immediati: dalla riforma della struttura delle Conferenze Episcopali all’accentuazione dei processi di ascolto, dalla maggiore formazione degli agenti pastorali al rinnovamento dei percorsi di evangelizzazione. Il Gruppo di riflessione teologica del Celam sta lavorando a un libro sulla ‘sinodalizzazione’ delle strutture ecclesiali, mentre è stata ampliata l’offerta di corsi e catechesi online. È stata anche lanciata l’iniziativa “Juntos” (Insieme), con l’obiettivo di sviluppare una rete di reti teologico-pastorali nella regione panamericana che integri molteplici sforzi nella direzione della sinodalità; un gruppo di lavoro incaricato di approfondire i temi della trasparenza, della responsabilità e della valutazione in tutti i processi pastorali, assumendoli come pratica e stile ecclesiale, un tema questo ancora poco sviluppato nel continente; un sito web per raccogliere le esperienze di una Chiesa che cresce nella comunione e nella partecipazione. È qui che il Papa risponde sul modo in cui il processo sinodale può incoraggiare e ispirare società più inclusive, giuste e promotrici di pace.

Il Pontefice ringrazia per tutto ciò che si sta realizzando in America latina, dove egli stesso ha molto imparato nella sua missione. Esalta quello spirito di comunione che tradizionalmente è parte della cultura di questi popoli. È motivo di insegnamento per praticare la fraternità, osserva il Papa, e anche per continuare un cammino autenticamente sinodale che nasce dall’ascolto della Parola. E poi ancora parla dell’entusiasmo, ingrediente necessario che porta al contagio della fede in modo che “altri vorranno unirsi a noi ed essere costruttori di pace e di comunione”. Qui inserisce una nota di carattere personale:

Io poche volte sono stato ispirato da un processo, io mi sento ispirato dalle persone che vivono con entusiasmo la fede. E vivere questo spirito – e parliamo di spiritualità – di sinodalità, ma è la spiritualità del Vangelo, della comunione, del voler essere Chiesa. Questi sono aspetti che possono davvero ispirarci a continuare ad essere Chiesa e a costruire percorsi di inclusione, invitando molti altri – tutti – ad accompagnarci, a camminare con noi.

 

La Chiesa può trasformare le culture che discriminano le donne

Klára Antonia Csiszár, dell’équipe sinodale del Consiglio delle Conferenze Episcopali Europee (CCEE), docente di Teologia pastorale all’Università cattolica di Linz, in Austria, offre un quadro europeo soffermandosi sia sulla interazione tra il patrimonio delle Chiese ortodosse orientali, fonte di arricchimento, e quello d’Occidente, sia sulla questione delle donne. E si leva ancora un forte applauso dalla assemblea in Aula. Sotto questo profilo, la professoressa osserva una disomogeneità negli approcci e nelle sensibilità: da una apertura spiccata a forme di resistenza, scetticismo o timore verso possibilità di promozione della leadership delle donne. Spiega, per esempio, che nelle regioni post-comuniste o delle nuove democrazie, i vescovi sinceramente impegnati nei processi sinodali sono ancora eccezioni piuttosto che la norma; dove invece esistono solide tradizioni federali e di governo partecipativo, si sono sviluppati percorsi naturali per uno stile di vita sinodale: cooperazione ecumenica, strutture collaborative e organismi consultivi fanno apparire la sinodalità come qualcosa di organico, non imposto. Csiszár aggiunge che laddove le aspettative incontrano ripetute frustrazioni, subentra la rassegnazione. Viene inoltre segnalata che una solida base accademica proviene dalle facoltà e università teologiche come Lovanio, con il suo Centro per modelli di leadership sinodale e consulenza internazionale, e Linz, con il suo Dipartimento per la Sinodalità, che promuove la ricerca e la formazione innovative nel campo della sinodalità. Le domande poste sono: Quali speranze possono legittimamente nutrire le donne in una Chiesa sinodale? Ritiene che nella Chiesa sia in atto un autentico cambiamento culturale, affinché in futuro l’uguaglianza tra donne e uomini nella Chiesa possa diventare una realtà vissuta?

Nella risposta, il Papa si concede due ricordi personali. Il primo riguarda la sua vita in una famiglia cattolica, con genitori molto attivi in parrocchia. Erano gli anni Settanta e, rivolgendosi a sua madre, le chiedeva se voleva essere uguale agli uomini e lei rispondeva, senza scherzare: ‘No, perché noi siamo già migliori!’. L’altra esperienza, dal Perù, riguarda una Congregazione di religiose consacrate il cui carisma è di lavorare dove non ci sono sacerdoti. “Hanno facoltà di battezzare; sono testimoni ufficiali ai matrimoni; fanno un lavoro missionario stupendo, che davvero è un ‘testimonio’ anche per molti sacerdoti. Questo è il coraggio che ci vuole – afferma Leone – per annunciare il Vangelo e sono donne che lo fanno!”. Rinviando pertanto la risposta su questioni “più difficili che fanno parte di un gruppo di studio che si sta presentando”, il Pontefice precisa che il problema non è che non esistano possibilità, ma sì “esistono culturalmente ostacoli” che di fatto impediscono di esercitare alle donne “quello che potrebbe essere molto bene il loro ruolo”, che le fanno sentire cittadine di seconda categoria. Accenna a pregiudizi e discriminazioni tuttora esistenti in alcuni Paesi “che vanno chiaramente contro il Vangelo e noi molte volte siamo impotenti davanti a queste realtà”. C’è molto da fare, è convinto Papa Leone. “Credo che la Chiesa già offre spazi per cominciare, continuare questo cammino e dobbiamo, anche qui, essere coraggiosi, accompagnare perché, pian piano, forse si possano introdurre dei cambiamenti”. Perché, è l’auspicio del Papa, “il carisma di ogni persona sia veramente rispettato e valorizzato”.
C’è una sfida per la Chiesa e per tutti noi a vedere come possiamo promuovere insieme il rispetto per i diritti di tutti e tutte; come possiamo promuovere noi una cultura dove queste cose diventino non solo possibili ma realtà in una co-partecipazione di tutti, ciascuno secondo la propria vocazione, dove possono esercitare – diciamo – un ruolo di responsabilità nella Chiesa. Abbiamo visto tanti esempi nei fatti. Però la realtà è che culturalmente non tutti – diciamo – i Paesi, che non sono nello stesso posto di Europa o degli Stati Uniti e noi non possiamo semplicemente pensare che nominando qui o là una donna per questo o quell’altro sarà rispettata, perché ci sono forti differenze culturali che fanno dei problemi. E allora bisogna parlare di come la Chiesa possa essere una forza per conversione, trasformazione delle culture secondo i valori del Vangelo. Purtroppo molte volte la forma in cui viviamo la fede è più determinata dalla nostra cultura e meno dai nostri valori evangelici. È lì che noi tutti possiamo essere una forza, una ispirazione, un invito per le nostre nazioni, le nostre comunità, le nostre culture a riflettere sulle differenze che esistono e non solo fra uomo e donna. 

 

Promuovere uguaglianza, giustizia, condivisione

Infine, la testimonianza asiatica di don Clarence Sandanaraj Devadassan, dalla Malaysia, riporta ad un cammino sinodale che “ha trovato terreno fertile” nel continente caratterizzato da pluralismo religioso, diversità culturale e realtà socio-politiche complesse. Membro dell’équipe sinodale della Federazione delle Conferenze episcopali asiatiche – creatasi mezzo secolo fa -, dell’arcidiocesi di Kuala Lumpur dove dirige il Centro di Ricerca Cattolica, il sacerdote evidenzia che il cammino sinodale ha incoraggiato un maggiore impegno nella promozione dell’armonia tra i popoli e le fedi, delle donne e dei fedeli laici nei processi decisionali. In molte diocesi c’è stato un risveglio spirituale; le piattaforme digitali sono diventate strumenti fondamentali per la consultazione e la costruzione di comunità, specialmente tra i giovani. Il prete non nasconde che alcuni sacerdoti percepiscono la sinodalità come una minaccia all’autorità tradizionale e precisa che ci sono aree dove l’estremismo religioso o i vincoli politici limitano le espressioni pubbliche di sinodalità. Le diocesi stanno sviluppando piani pastorali a lungo termine ispirati ai principi sinodali, come Mission 2033 e Pilgrims of Hope in India.

Molto suggestiva l’immagine che offre Leone XIV in questa ultima risposta: “Dobbiamo inchinarci e rispettare il suolo sacro che rappresenta l’Asia”. Parla del senso di mistero che qui apre la porta a varie tipologie di dialogo interreligioso e questo è un tesoro nel continente, che dovremmo imparare. Accena all’elemento mistico e contemplativo, che va continuamente scoperto, dice, affascinato da un’Asia che può offrire tanta speranza.

Ci sono, ovviamente, grandi sfide. Le realtà strutturali ed economiche con cui avete a che fare e la difficoltà di promuovere anche solo la comunicazione su larga scala a causa dei limiti delle Chiese locali sono realtà che credo anche noi dobbiamo condividere. Penso che questo tipo di esperienza di una Chiesa sinodale che costruisce comunione debba ispirare in tutti noi, se volete, una maggiore generosità nella condivisione delle risorse, in modo da poter avere forse una maggiore uguaglianza, una maggiore giustizia, anche in termini di condivisione con gli altri dei beni e delle benedizioni materiali di cui dispongono tante chiese. Ovviamente, farlo comporta grandi sfide. Naturalmente, sono già stati compiuti grandi sforzi in tal senso, che vanno riconosciuti. È un processo in corso. 

 

Antonella Palermo (Vatican News)

 

TeleRadio Cremona Cittanova
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