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Dopo due anni di una pandemia da non sottovalutare ancora oggi, è tempo di riflettere sul presente e sulle sfide etiche, tecnologiche, assistenziali e sanitarie di un’umanità trasformata dagli effetti del Covid-19. Adottando uno «sguardo costruttivo e cristiano per essere veramente umani». Questo, infatti, è stato l’orientamento con il quale nella mattinata di sabato 21 maggio presso la sede della Croce Rossa Italiana di Casalmaggiore si è svolto il convegno di bioetica. Una giornata «di studio e testimonianza», come l’ha definita Jean-Marie Mate Musivi Mupendawatu, già segretario del Pontificio Consiglio per gli Operatori Sanitari, e rivolta ad operatori sanitari, medici e cittadini per osservare il dramma del confinamento e della malattia dalla prospettiva di chi li ha vissuti in prima persona. All’incontro, promosso dall’associazione New Tabor, in collaborazione con Croce Rossa Italiana, Commissione bioetica “Save the Life”, Cappellania dell’Ospedale Oglio Po e con il patrocinato dalla Pastorale della salute diocesana, hanno partecipato anche monsignor Pierre-Jean Welsh, assistente ecclesiastico internazionale dei farmacisti, il dottor Gianfranco Salzillo, bioeticista clinico e presidente dell’Associazione medici cattolici di Capua. Insieme a loro, anche le testimonianze di Rossano Buoli, guarito dal Covid, e Mariangela Malavasi, coordinatrice infermieristica a Villa Aurelia di San Michele in Bosco.

Dopo i saluti iniziali di don Alfredo Assandri, cappellano dell’ospedale Oglio Po, gli interventi dei relatori sono stati moderati da don Paolo Tonghini. A partire dagli intensi racconti della malattia vissuta da Buoli in terapia intensiva e dalla gestione del virus in corsia da Malavasi. «Ho attraversato anche il pensiero di non farcela – ha raccontato l’uomo ricoverato in terapia intensiva che ha poi intrapreso il percorso di riabilitazione – ma mi sono affidato ai medici e al Signore. Prima vivevo la vita in modo tradizionale e abituale; dopo l’esperienza di non aver avuto percezione del mio corpo, ho capito l’importanza delle relazioni con gli altri». Mentre Malavasi ha descritto le difficoltà tecniche dell’isolamento dei contagiati negli ospedali e dei tentativi di creare un canale di comunicazione con i famigliari dei malati «per far sì che rimanessero in contatto; in qualche modo tra barriere in plexiglass o gli schermi di tablet o cellulari è stato in qualche modo possibile far sentire l’affetto dei propri cari».

Numerosi sono stati gli spunti e interrogativi offerti nell’indagare l’impatto della pandemia sulla società. Il rapporto mediato da uno schermo è stato infatti ripreso da Welsh, il quale ha invitato a «prendere coscienza» di questi cambiamenti, mettendo sul tavolo anche le nuove domande poste dalla digitalizzazione della sanità; dalla solitudine come «mezzo per interiorizzare l’esperienza e di comunione con Dio nel silenzio della croce». L’evoluzione dei rapporti tra paziente e medico e della responsabilità dell’assistenza sanitaria dopo questi due anni di pandemia, il precario equilibrio tra diritto alla salute ma anche i diritti – e obblighi – dei cittadini, i rapporti tra scienza e politica sono stati al centro della relazione il dottor Salzillo: «È emersa la necessità di costante dialogo tra esperti e governi, tra la comprensione della complessità di indagine da un lato e l’elaborazione delle strategie decisionali dall’altro – ha detto –. Il riferimento dev’essere la Costituzione e il rispetto della dignità di ogni persona».

Infine, monsignor Mate Musivi Mupendawatu ha offerto una relazione sul ruolo degli operatori sanitari, da lui definiti «buoni samaritani» a livello globale, e raccontato come «l’esperienza del dolore personale» possa diventare «ricerca del bene del prossimo». Citando la Salvifici doloris di San Giovanni Paolo II, il sacerdote ha concluso che «nell’esperienza della malattia nella nostra vita c’è il volto di Cristo, quindi l’esperienza ci avvicina al mistero pasquale di una speranza». Al termine di uno stimolante dibattito con il pubblico, l’appello a scoprire e continuare a riflettere sulle nuove forme di ospitalità, di fraternità e di solidarietà dopo il Covid, i cui risultati saranno oggetto di un nuovo convegno.