Scuola e università insieme per formare gli insegnanti del futuro

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La scuola, un percorso di esperienza. Questo uno dei temi principali affrontati nello speciale di approfondimento di Riflessi Magazine, in collaborazione con l’Università Cattolica del Sacro Cuore, andato in onda il 29 giugno in televisione e sul web.

L’occasione del dialogo è l’avvio, nel prossimo anno accademico, del corso abilitante in Scienze della formazione primaria che sarà inserito nell’offerta formativa della sede di Piacenza-Cremona dell’Università Cattolica del Sacro Cuore. Per questo, alle domande del conduttore Andrea Bergonzi, ha risposto il professor Pierpaolo Triani, docente e coordinatore del corso. Altra ospite in studio è stata Anna Pozzi, giovane insegnante presso la scuola primaria “Sacra Famiglia” di Cremona, laureata proprio alla Cattolica.

Lo speciale si è arricchito grazie a contributi concernenti il nuovo corso universitario e all’intervento di Roberta Balzarini, dirigente delle scuole paritarie della cooperativa Cittanova e preside del liceo Vida di Cremona.

Con un’attenzione particolare alla scuola primaria, la trasmissione ha guardato con interesse al rapporto tra la ricca tradizione educativa italiana e l’esigenza di novità dettata dai tempi in cui viviamo. In effetti, come afferma Anna Pozzi, «è vero che questo è un periodo di transizione: sto trovando una scuola che cerca di adattarsi».

I cambiamenti sono tanti, a partire dai tempi di concentrazione del bambino. Ma “cambiamento” non significa ricominciare da zero, piuttosto «riconoscere che questo è un tempo prezioso», come ha afferma il professor Triani riferendosi agli anni di pandemia. «Abbiamo imparato – ha sottolineato il decente universitario – quanto la scuola richieda progettualità e passione educativa. Abbiamo capito che insegnare è ben più che parlare davanti a qualcuno: è creare contesti, costruire relazioni, fare scoprire». E ancora: «Abbiamo imparato la centralità dei bambini e degli insegnanti. Quello che ci viene chiesto ora – ha proseguito Triani – è di fare tesoro, cercando di costruire il nuovo. E il nuovo vuol dire rimettere al centro i fondamentali, cioè che il bambino è capace di imparare e che gli adulti sono capaci di accompagnare».

Ed è proprio per «rimettere al centro i fondamentali» che la scuola di oggi ha bisogno di figure educative preparate. Per questo, già nel contesto universitario risulta fondamentale, «un clima accogliente e una dimensione positiva di costruzione di sapere nuovo che può essere mettere a disposizione della scuola di domani», ha precisato il preside di facoltà Domenico Simeone.

Imprescindibile, infatti, una solida preparazione degli insegnanti che dovranno gettare le fondamenta per il percorso di crescita delle nuove generazioni. Già l’esperienza universitaria è volta ad acquisire, come ha ricordato la maestra Pozzi, «una forma mentis» che è poi la “carta” che, nel concreto e nel quotidiano, un’insegnante può giocare fra i banchi di scuola. Dunque, più che un una somma di esami per assimilare «tutto lo scibile umano», l’università è un luogo dove si apprende un metodo, un certo tipo di sguardo al bambino, come ha sottolineato la giovane insegnante.

Per individuare questo metodo e delinearlo con precisione, bisogna appunto tener conto delle sfide del cambiamento, della ripartenza post-Covid e delle esigenze proprie del bambino che questa realtà ha fatto emergere. Ed è questo il nocciolo della prima provocazione di Roberta Balzarini, che ha evidenziato come la scuola richieda una forte lettura della realtà, un’attenzione al tempo e alla personalizzazione dell’apprendimento.

A proposito del tempo si è espresso il professor Triani, sostenendo che «i bambini passano molto tempo a scuola. È molto importante riconoscere che crescono anche fuori da essa. Ma la scuola è quel tempo-spazio prezioso per aiutare il bambino a fare unità degli apprendimenti. La vera sfida è aiutare i bambini a collegare le esperienze che vivono nella esperienza scolastica».

Se è vero che i bambini non imparano solo a scuola, è vero che, come sostiene Anna Pozzi, «la rete, in particolare con la famiglia, è fondamentale, perché la vita è unita, quindi c’è proprio bisogno che anche gli intenti educativi siano uniti. E ha aggiunto: «C’è anche la rete con i compagni. Se qualcuno ti guarda con un bene, questo ti fa apprezzare tutto». La giovane maestra ha poi proseguito ponendo l’accento sulla personalizzazione dell’apprendimento, basata sull’unicità, non solo delle esperienze della vita, ma anche del bambino stesso: «Essendo ogni bambino un unicum, ognuno ha i suoi tempi di apprendimento e lavoro. Nel momento in cui si pensa che i tempi per tutti siano uguali è quasi una violenza. Per me è proprio una sfida accettare e valorizzare che davvero ognuno sia unico e aiutarli a raggiungere il proprio massimo».

Perciò, l’apprendimento va ben al di là dei programmi che, secondo Triani, «sono degli strumenti, non sono mai il fine. Il fine della scuola è la crescita del bambino».

Non un programma e non un calendario, dunque, ma la scuola è per il bambino, come per l’insegnante, parte stessa della vita. Questa attenzione all’unicità (del bambino) e unità (dell’esperienza umana) si concretizza in metodo: «Fare scuola – spiega Triani – non è mettere in sequenza delle attività, ma è costruire un percorso di esperienza. Quindi, ogni anno è una storia che viene costruita con il bambino e con il gruppo».

«Alle elementari – ha aggiunto Pozzi – tante parole non servono. C’è bisogno di far fare esperienza a tanti livelli: un’esperienza umana che consenta ai bambini di sentirsi voluti bene così come sono è forse la cosa di cui hanno bisogno loro».

Se, come afferma l’insegnante, l’esperienza è «ciò che ci si ricorda e che ci plasma», questo poi implica, secondo le parole del docente universitario, «un pluralismo metodologico capace di parlare alle diverse intelligenze del bambino, di valorizzare diversi mediatori dell’azione didattica, cioè parlare attraverso l’azione, il gioco, le immagini, simboli. Il metodo che non separa la scuola dalla vita aiuta il bambino a scoprire, riflettere, auto valutarsi e a imparare dall’errore».

Certo, ci si domanda come questo sguardo così “integrale” sia attuabile in una classe. Secondo Pozzi perché la scuola sia un percorso e non solo la trasmissione o ricezione di nozioni, sono gli insegnanti stessi a doversi mettere in gioco: «Il primo punto di partenza è che anche io mi metta nelle condizioni di fare un cammino. Ci sono stati tanti fatti che hanno consentito a me imparare di bambini. Fondamentale è mettersi sempre in discussione, sia dal punto didattico che umano, perché tutto va insieme: l’esperienza umana e didattica necessitano l’una dell’altra. Che la scuola non sia “altro” dalla vita è possibile se in primis è così per me».

Una crescita, perciò, che riguarda il bambino ma anche l’insegnante e una crescita «a tutto tondo», come suggerisce Roberta Balzarini. Per ottenere questa completezza di metodo, è necessario, da un lato, «educare alla trascendenza» e, dall’altro lato «lavorare in team».

A partire da questo spunto della dirigente scolastica, Anna Pozzi si è soffermata sul tema della collaborazione fra insegnanti: «Collaborare non è facilissimo, per una questione oggettiva, cioè che fra insegnanti abbiamo una formazione molto diversa. Però, se si ha in mente lo scopo, si può avere collaborazione. Occorre tener presente l’orizzonte a cui siamo chiamati nel nostro lavoro».

È, invece, il professor Triani ad approfondire la questione della ricerca del senso: «Il bambino – ha affermato – ha una dimensione della spiritualità, cioè del rapporto con la vita e con il mistero, che abita la vita, quindi anche con il senso religioso. Ogni azione educativa che educa realmente apre la mente e il cuore. L’educazione alla trascendenza non avviene solo attraverso tematiche religiose, ma si educa alla trascendenza nella misura in cui noi educhiamo bambini a stupirsi della realtà, di sé e dell’altro».

Chiarezza di scopo ed educazione allo stupore sono elementi ineludibili per la scuola del futuro, ma sono già rintracciabili nel presente: esistono, sul nostro territorio, esperienze che operano in questo senso. E l’Università Cattolica si propone di entrare in relazione con queste realtà scolastiche. «L’obiettivo – spiega Triani – è rafforzare la qualità del sistema educativo territoriale di Piacenza e Cremona sia dal punto di vista della scuola che del sociale. Secondo: vogliamo intensificare la collaborazione con la realtà e con le scuole, quindi muoverci in un’ottica di potenziamento della formazione in servizio e della ricerca, che stanno in stretto collegamento con la formazione iniziale».

Anche tramite l’intervento del rettore dell’Università Cattolica, il professor Franco Anelli, lo speciale di approfondimento si è soffermato sulle peculiarità della sede Piacenza-Cremona dell’ateneo fondato da padre Gemelli, luogo che nel complesso della sua proposta formativa guarda al futuro con creatività e responsabilità, senza mai prescindere dalle radici della tradizione.