Il Vescovo nella Notte di Natale: «Il presepe ci parla, ci giudica e ci salva» anche in questa «atmosfera de-natalizia»

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Una Cattedrale gremita ha accolto i fedeli per la Messa della Notte di Natale presieduta, a mezzanotte, dal vescovo Antonio Napolioni e concelebrata dal vescovo emerito Dante Lafranconi e dai canonici del Capitolo della Cattedrale, alla presenza dei seminaristi di Cremona che hanno prestato il proprio servizio all’altare.

L’Eucaristia si è aperta con un momento di preghiera davanti al presepe, simbolo della Natività, che ogni anno viene allestito in Duomo.

«Siamo venuti per adorarlo, magari con incertezza, magari per tradizione, magari spinti dalla paura del futuro e dal bisogno di salvezza che percepiamo in questo momento – ha detto il vescovo Napolioni all’inizio della celebrazione –. Ma siamo qui per adorarlo, cioè per stupirci della misericordia e fedeltà con cui è entrato nella nostra umanità per non abbandonarla più, nel Verbo fatto carne, Gesù di Nazareth, il cui Natale rischiara davvero le tenebre del mondo».

Il vescovo, all’inizio dell’omelia, ha citato l’episodio dell’annuncio ai pastori: «Una grande gioia che sarà di tutto il popolo! Ma c’è questa gioia in tutto il popolo? Siamo preoccupati, ce la farà questo nostro Natale a dare gioia a tutto il popolo? In realtà questo nostro Natale è sempre più debole». Un Natale della pace che «è insanguinato da quello della guerra senza tregua». Un Natale della fede che «rischia di essere soffocato e di smarrirsi in mezzo a quello dei consumi». Un Natale della gioia che «è avvilito da tanti fabbricanti di paura che ci condizionano». Un Natale della vita che è controcorrente in questa cultura in cui sembra che siamo più impegnati a morire che a nascere. È come se ci fosse un’atmosfera de-natalizia».

In contesti come questi, Dio che cosa fa? «Semplicemente nasce – ha evidenziato il vescovo –. Nasce pienamente uomo e pienamente Dio. Questo è il suo modo di essere, di fare, di salvarci». Da qui il rimando proprio al presepe della Cattedrale, che «in un certo senso rappresenta la nostra condizione: la piazza, la storia, le chiese, i palazzi. È Gesù piccolino, nascosto, fedele a ridonarci la vita. Il presepe ci parla, ci giudica e ci salva. Ci giudica perché ciò che accade misura i nostri tentativi di darci vita e ci riconduce all’essenziale». Riprendendo il presepe di Greccio, allestito 800 anni fa, mons. Napolioni ha sottolineato: «San Francesco d’Assisi volle solo la mangiatoia, gli animali e l’Eucaristia, perché i personaggi umani fossimo noi. Oggi come allora».

Quindi quel Bambinello, tanto piccolo quanto illuminato, «ha il potere di proporci, con fantasia, inimmaginabili nuovi inizi, anche per il Cristianesimo – ha concluso mons. Napolioni –, che non invecchia, ma si trasforma, perché possa il Signore guidare una storia al suo compimento. Perché un Bambino è nato per noi!». Questa la risposta alla situazione de-natalizia: «Uscire noi tutti con un figlio in più: Gesù». «E noi dobbiamo formare per Lui un popolo puro che gli appartenga».