Nella settimana che ha visto la fine dell’anno scolastico, Chiesa di Casa, il talk di approfondimento pastorale della Diocesi di Cremona, si sofferma proprio sulla tematica della scuola. Ospiti in studio sono stati don Giovanni Tonani, incaricato diocesano per la pastorale scolastica e l’insegnamento della religione cattolica, il professore Alessio Gatta, presidente della cooperativa InChiostro di Soncino, e il professor Stefano Seghezzi, insegnante alla scuola Sacra Famiglia di Cremona.
Il dialogo, guidato da Riccardo Mancabelli, si avvia con uno sguardo all’anno passato: secondo don Tonani «si inizia un minimo di rivitalizzazione della scuola, nonostante tutte le fatiche che quest’anno abbiamo avuto». Dunque, un anno di ripresa, in cui «volenti o nolenti questo covid è stato acceleratore di alcuni processi – dice Seghezzi – per cui siamo riusciti a fare una scuola che, per esempio, integrasse molto l’aspetto tecnologico in aiuto all’attività didattica, una scuola che riuscisse a tenere più dentro il lavoro a casa, intervenendo con idee a cui prima non avremmo pensato». Questa pandemia, secondo l’insegnante della Sacra Famiglia «ci ha costretto a tornare all’essenziale, andare all’osso e fare un salto in avanti». Un salto in avanti che riguarda non solo i più grandi, ma anche i piccolissimi; è così a Soncino dove, come spiega Alessio Gatta, «chi ha cominciato quest’anno doveva ancora fare i conti con i meccanismi delle “bolle”. Per i piccoli c’era qualche limitazione in meno. Però quello che abbiamo capito noi è che anche i piccolini, in qualche modo, hanno già un concetto di fratellanza che li lega». Fratellanza e legame che si instaurano anche fra i ragazzi di medie e superiori: «Più volte, quando invitavamo i ragazzi all’uso corretto della mascherina e al distanziamento, la sintesi dei loro sguardi era “va be, ma è un mio amico” cioè “impossibile che un mio amico diventi improvvisamente un problema”», come ha spiegato Gatta, assecondato con un energico cenno affermativo anche da Seghezzi e Tonani. «Senza contare – aggiunge il presidente di InChiostro – che nella formazione professionale è elevatissimo il livello della richiesta che i ragazzi fanno a noi, come dire: “Aspetto che tu mi chieda un compito alto. Mettimi concretamente di fronte a quello che devo fare”. Li abbiamo trovati ancora più onesti di prima, più veri di prima».
«Questa “crisi” – continua il presidente della cooperativa soncinese – come ogni crisi, ci ha dapprima messi al palo, ci ha interrogato, ci ha dato qualche strumento, poi ha liberato molto la creatività. Questo chiama noi a una scuola nuova». Esigenza di novità che ha interpellato persino l’ambito della scuola professionale: «Fare un corso di formazione tecnico professionale di cucina online diventava molto complicato. Però, fin dai primi momenti di emergenza è stato bellissimo scoprire le famiglie che si mettevano vicino ai figli e alle figlie a imbastire qualche tentativo in cucina». E, se la creatività è emersa quasi naturalmente dalla circostanza che la richiedeva, gli insegnanti hanno dovuto prepararsi, essere aggiornati: «Noi abbiamo investito molto nella formazione degli insegnanti – dice don Tonani – anche a livello pastorale. Si tratta di un accompagnamento non tanto tematico, quanto piuttosto spirituale e pedagogico-culturale, che cerca spingere insegnanti a recuperare alcune motivazioni di fondo. Lo stesso vale per gli insegnanti di religione: cerchiamo di mostrargli che un metodo, un lavoro collegiale sono ciò che va recuperato. Bisogna imparare a lavorare insieme e con i ragazzi».
Un lavoro collegiale è attuabile, secondo quanto racconta Seghezzi, anche e soprattutto all’interno di una scuola paritaria di ispirazione cattolica come la Sacra Famiglia: «Più che l’etichetta, si tratta di una scuola che nasce dall’entusiasmo della fede di insegnanti e genitori. Da un lato, è una scuola che, anche per le dimensioni, facilita il lavoro insieme ai colleghi, nel senso che siamo in due o in tre in classe, creiamo insieme le attività; e questo star bene insieme cambia le cose. Dall’altro lato, lavorare qui, anche per una esperienza di fede vissuta, significa avere uno sguardo che non è di lamento, ma positivo, cioè uno sguardo sul ragazzo che parte dalla certezza di un destino buono, destino che non hai in mano tu e però c’è».
Gli stessi presupposti riguardano anche una realtà apparentemente diversa, come quella di Soncino: «da noi si fa formazione professionale dal 2007. Si fa per scelta dell’Istituto religioso delle suore della Sacra Famiglia, di cui noi eravamo dipendenti. Siamo figli della storia di queste suore, cioè di una vita nel quotidiano e nella dignità del lavoro. Partendo da questo concetto del lavoro come strumento imprescindibile per la formazione della persona umana, abbiamo scelto una formazione di assetto lavorativo. Ciò significa che i nostri ragazzi, quando fanno laboratorio di cucina, gestiscono attività commerciali di ristorazione aperte al pubblico. Quindi, i nostri studenti, si confrontano con clienti veri e scambiano storie vere. Abbiamo pensato, allo stesso modo, che questo sia un grande strumento di inclusione, per esempio c’è un percorso personalizzato per i ragazzi disabili».
In conclusione, ciò che è emerso da questo incontro a Chiesa di Casa, è che, come ha spiegato Seghezzi «Il ragazzo ha bisogno di essere guardato a 360 gradi, oltre la didattica. La certezza di un destino buono ti permette di accogliere questo bisogno non come un fastidio, ma come una proposta anche per te».