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Author: redazioneTRC

Ucraina, famiglia Telò in salvo. I missionari cremonesi raccontano la fuga da Kiev: «Padri separati dalle famiglie per restare a combattere»
Federico, Elisa e i nove figli sono riusciti a lasciare il Paese in cui si trovavano come missionari del Cammino Neocatecumentale

Hanno lasciato l’Ucraina Federico Telò e Elisa Manfredini, coniugi cremonesi di Bosco ex Parmigiano, parrocchiani di Sant’Imerio, nella” Unità pastorale Sant’Omobono” in città, che con i loro nove figli (il decimo è in arrivo) si trovavano a Kiev come famiglia missionaria del Cammino Neocatecumenale. A bordo del loro pullmino sono riusciti precipitosamente a lasciare il Paese insieme ad altre migliaia di civili in fuga, per poi dirigersi verso la frontiera con la Polonia. Varcata la frontiera, sono entrati ieri in territorio europeo: dopo il passaggio dalla Repubblica Ceca si trovano ora in Austria, ospiti di una famiglia di amici
“Mercoledì sera – racconta Federico in un messaggio vocale in cui racconta ciò che la sua famiglia ha vissuto nelle ultime settimane – abbiamo avuto un incontro con la comunità, le notizie parlavano di ammassamento delle truppe  ai confini, di un aereo russo in volo nello spazio ucraino, della richiesta di aiuto delle repubbliche autoproclamate, dell’attacco informatico alla protezione anti-aerea”.
Così la decisione di partire: “Mi sono alzato alle 5.30 per andare al lavoro, una forte esplosione ha fatto tremare il palazzo. Si sono svegliate anche mia moglie e una delle nostre figlie. Da due settimane ormai stavamo vivendo con le valigie pronte. Ogni bimbo aveva pronto uno zainetto con due felpe, un cambio i jeans. Avevamo preparato soldi, documenti e il pieno della macchina. Speravamo non servissero, che si trattasse solo di allarmismi”.
Perché questa era la vita in Ucraina prima dell’escalation di tensione che ha preceduto l’invasione russa. “Abbiamo vissuto nella normalità fino a due settimane fa. Il sabato le ambasciate e in particolare quella italiana ha invitato a lasciare il Paese. Leggevamo le notizie, ma la vita in città non sembrava diversa. Solo da quel sabato qualcosa ha iniziato a cambiare. Al lunedì al lavoro i colleghi hanno iniziato a parlare della possibile invasione”.
Questo, insieme alle telefonate allarmate dai parenti dall’Italia, hanno messo in allarme la famiglia cremonese: “Il popolo ucraino vive in guerra da 8 anni – spiega Federico – ed è abituato a non fermarsi agli eventi che capitano. Sanno di non avere il potere di fermare questi avvenimenti, che fanno parte di interessi più grandi. Vanno avanti a vivere. E anche noi, come famiglia missionaria, avevamo scelto di restare sul territorio finché fosse stato possibile”.
Da quando i Telò sono in Ucraina non era la prima volta che il paese viveva la minaccia di aggressione: “Le truppe russe erano già state raccolte ai confini ucraini lo scorso aprile, lo scorso 2 dicembre avrebbe dovuto esserci un colpo di stato… Però – racconta ancora Federico – negli ultimi giorni la preoccupazione è andata aumentando e gli ultimi giorni sono stati giorni di tensione. Gli eventi non erano controllati. Si aprivano tanti scenari imprevedibili. Ogni rumore forte ti faceva pensare a qualche esplosione. Siamo rimasti finché la situazione non è precipitata”.
La famiglia cremonese ha lasciato una città sull’orlo della guerra: “La situazione non era ancora quella di che vediamo ora nei video sul web, ma abbiamo visto scene che non dimenticheremo: file di macchine, un fiume di persone con le valigie che se ne andavano a piedi, tutto il condominio in fibrillazione alle cinque del mattino. Quattro persone ci hanno chiesto di venire con noi, ma non avevamo altro spazio e ho dovuto dire di no con il cuore che mi piangeva. Abbiamo visto benzinai e bancomat presi d’assalto”.
La presenza della famiglia cremonese in Ucraina è frutto di un cammino iniziato dai neocatecumenali già nel 1984, quando padre Mario Pezzi si recò nel Paese per portare questo itinerario di iniziazione cristiana insieme a padre Janez Bokavsek. Grazie a questo annuncio evangelico durante il comunismo, il Cammino è ora una realtà che conta circa 3mila fratelli riuniti in ottanta comunità presenti in ciascuna delle diocesi cattoliche e in alcune greco-cattoliche dell’Ucraina. Federico ed Elisa erano impegnati proprio nella capitale, città “culla della cultura cristiana di tutto l’Oriente europeo”, come disse Giovanni Paolo II nel 2001. Nel loro piccolo hanno collaborato attivamente con la realtà cristiana locale insieme ad altre tre famiglie del Cammino, guidati da un sacerdote amico.
A Kiev lasciano quindi colleghi, amici e conoscenti: “C’è da pregare tanto. Ci sono tante sofferenze”. La voce di Federico da whatsapp ha una pausa. Si parlava da qualche tempo della proposta di legge per lasciare le armi ai civili… “Era da vagliare, me ne parlavano i colleghi – riprende Telò – ma con lo stato di guerra è accaduto. Gli ucraini daranno la vita per difendere le loro terra e l’indipendenza che tanto duramente hanno conquistato”.
Lo stato di guerra è scattato proprio mentre la famiglia cremonese attraversava la frontiera. L’ultima immagine che l’Ucraina ha consegnato ai missionari cremonesi è stata la più dolorosa: “All’improvviso è arrivato l’ordine di non far più uscire dal Paese gli uomini abili alle armi. Abbiamo visto macchine tornare indietro, verso la guerra. E famiglie separarsi tra le lacrime: mamme, figlie e nonne se ne andavano verso l’Europa, mentre i mariti tornavano per combattere”.

La disumanità della guerra secondo don Primo. A 70 anni da “Tu non uccidere”
In un articolo sull'Osservatore Romano don Bruno Bignami mette in luce la drammatica attualità del pensiero pacifista di Mazzolari

Sono passati 70 anni dalla stesura di “Tu non uccidere”, il volume con cui nel 1952 , dopo aver vissuto le due guerre mondiali, don Primo Mazzolari raccoglieva il suo pensiero pacifista per trasmetterlo ai giovani del suo tempo.

Il contenuto di quel libro – che fu poi pubblicato anonimo nel 1955 – è ripreso oggi da don Bruno Bignami in un articolo apparso sull’edizione del 9 marzo dell’Osservatore Romano, che ne evidenzia la “luminosa, persino profetica” attualità alla luce dei drammatici fatti di questi giorni.

Nel suo editoriale intitolato “La pace come ostinazione” il sacerdote cremonese, direttore dell’Ufficio nazionale della Cei per i problemi sociali e il lavoro, già presidente della Fondazione Mazzolari e curatore di numerose pubblicazioni degli scritti parroco di Bozzolo, riprende in particolare tre temi del pensiero pacifista di don Primo: l’assurdità della corsa agli armamenti, la certezza che “ogni guerra è fratricidio” e il ribadire che la guerra va sempre a scapito dei poveri.

«E nel frattempo, — scriveva Mazzolari in un passaggio ripreso da don Bignami — sempre nuovi ordigni e sempre più micidiali vengono inventati, esperimentati e conservati per la giusta guerra di domani». «Chi pretende di difendere, con la guerra, la libertà – si legge ancora in “Tu non uccidere” si troverà in un mondo senza nessuna libertà. Chi pensa di difendere, con la guerra, la giustizia, si troverà con un mondo che avrà perduto perfino l’idea e la passione della giustizia». L’unica arma di difesa, per Mazzolari, «è la giustizia sociale più che l’atomica»

Profonda poi la sottolineatura sulla “negazione della fraternità” rappresentata dalla guerra: “Se la guerra è negazione della fraternità – riflette don Bignami riprendendo passaggi dal testo di don Primo che toccano da vicino i comportamenti sociali, la scelta di stili morali di ciascuno oggi come 70 anni fa -, essa comincia con stili accondiscendenti verso la violenza, verso gli investimenti in armi, verso le forme di ingiustizia e di povertà: «il tacere, il non muoversi, o il muoversi lentamente, è nostro; ed è uno dei segni della nostra decadenza, che poi ci fa chiusi, lamentosi e sterili oppositori delle iniziative altrui». La guerra non è solo quella degli esplosivi, ma nasce col trattare «il fratello come utensile, materialisticamente».

«E quelli che ci lasciano la vita – scriveva don Primo – coloro che cadono, a migliaia, sono sempre gli umili, gli anonimi, il popolo che non ha mai voluto le guerre, che non le ha mai capite; mentre desiderava unicamente vivere libero e in pace». “La gente comune – commenta Bignami – è costretta a fuggire, le città diventano inferno, i civili subiscono massacri. E quando i poveri vengono lasciati nella tentazione di spargere sangue in difesa del pane e della dignità, la pace non godrà mai di buona salute”.

Da questi passaggi che così tremendamente riportano indietro le lancette della storia, la conclusione che non c’è niente di tanto disumano quanto la guerra: “La guerra – conclude l’articolo dell’Osservatore Romano – è ritorno allo stadio animale. Invocarla a soluzione dei conflitti appare inutile, aggiunge sofferenze a sofferenze e non risponde più alle esigenze del bene comune. Crimine contro l’umanità. Don Primo ricorda che «l’animalità fa il male per star bene», ma finisce per svuotare la fiducia in Dio e nell’uomo. La pace, invece, è l’unica ostinazione da perseguire. Tuttavia, diventare costruttori di pace significa non essere mai in pace. Parole che non passano”

La Parrocchia di Caravaggio ha accolto i suoi tre nuovi sacerdoti
Nella celebrazione di domenica 26 settembre presieduta dal Vescovo, insieme al parroco mons. Giansante Fusar Imperatore si sono insediati il vicario don Andrea Piana e il collaboratore don Bruno Grassi

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È con l’invito a essere profeti, capaci di mettersi in ascolto della Parola come Maria, che il vescovo Antonio Napolioni ha augurato buon cammino alla comunità di Caravaggio, che nella mattinata di domenica 26 settembre ha accolto i suoi nuovi sacerdoti. La parrocchia più grande della diocesi, chiamata da mons. Napolioni a farsi piccola e vicina ai più poveri.

Ben tre i nuovi sacerdoti che hanno fatto il loro ingresso ufficiale: il parroco mons. Giansante Fusar Imperatore (che prende il testimone da don Angelo Lanzeni), il vicario don Andrea Piana (che sostituisce don Matteo Pini, diventato parroco di Arzago e Casirate) e il nuovo collaboratore parrocchiale don Bruno Grassi (al posto di don Giovanni Fiocchi, nuovo parroco dell’unità pastorale Cafarnao). I tre sacerdoti potranno continuare a contare anche sull’ausilio di don Gianni Maccalli, collaboratore a Caravaggio dal 2017, festeggiato in questa giornata per il suo compleanno.

Una tregua del maltempo, che ha costretto a cambiare un po’ i piani organizzativi, ha consentito alla banda di allietare l’arrivo dei sacerdoti e dei numerosi fedeli, giunti anche dalle parrocchie lasciate dai tre sacerdoti, in particolare da Soresina, ben distinguibili dalle loro magliette gialle, e con anche il sindaco Diego Vairani. Presenti con i propri labari anche le associazioni del territorio e in uniforme gli scout del Caravaggio1.

Il benvenuto ufficiale, però, è stato nell’intervento del primo cittadino di Caravaggio, Claudio Bolandrini, che con lo sguardo rivolto ai tanti presenti ha sottolineato l’importanza di questo momento. Quindi uno sguardo alla «complessa, disponibile e generosa» realtà caravaggina, con la richiesta al nuovo parroco di aiutare l’intera comunità a sentirsi tale. Ai tre nuovi sacerdoti ha voluto quindi affidare le giovani generazioni, insieme a tutti i bisogni e le fragilità della cittadina.

Dopo il saluto del sindaco, ai piedi dell’altare, è iniziata la Messa, animata dalla corale parrocchiale per l’occasione insieme al coro dell’oratorio e subito caratterizzata dalla lettura del decreto di nomina del nuovo parroco, da parte di don Maccalli. Quindi due gesti di particolare significato compiuti da don Giansante Fusar Imperatore – l’aspersione dei fedeli e l’incensazione della mensa – prima di ricevere il saluto da parte del rappresentante parrocchiale, che non ha nascosto lo sconcerto alla notizia del cambio di ben tre sacerdoti, ma anche la voglia di una piena collaborazione a partire dalla ricca tradizione di questa comunità. Il pensiero è andato anche alle iniziative che i nuovi sacerdoti saranno chiamati a portare avanti: dalla realizzazione del nuovo oratorio all’impegno in ambito educativo con la scuola Conventino-La Sorgente. Ovviamente affidando il tutto ai santi patroni e a Santa Maria del Fonte.

Come segno di benvenuto a don Piana e don Grassi è stato fatto dono di una stola mariana, mentre al parroco è stata regalata una casula che ha voluto indossare già durante la sua prima Messa. Doni a cui si è unita anche la generosità della comunità per i bisogni della parrocchia.

Iniziando la sua omelia il vescovo Napolioni ha voluto ringraziare anzitutto i sacerdoti per la disponibilità dimostrata e sottolineando come i rapporti di amicizia potranno favorire una maggiore collaborazione fraterna. In questa che – ha ricordato il Vescovo – è la più grande parrocchia della diocesi, monsignor Napolioni ha voluto proporre «il programma del Padre per il suo popolo» attraverso tre “p”: piccoli, poveri e profeti.

Profezia che significa capacità «di vivere l’esistenza come dono che porta frutti di carità e trasforma la realtà che la circonda con la propria opera e il proprio servizio». Profezia che non significa, dunque, essere veggenti, ma mettersi in ascolto della Parola, sull’esempio di Maria.

Mettendoci insieme, in fraternità – ha concluso il vescovo – la comunità diventerà profetica e non avrà paura del futuro. Perché lo costruirà secondo lo spirito di Dio, che è spirito di libertà e creatività infinita. Questo non è solo il programma del Padre, è anche il contenuto della mia preghiera per voi: è l’augurio e il patto su cui continueremo a camminare insieme. Grazie ai sacerdoti che ieri, oggi e domani serviranno questa comunità».

Come consuetudine al termine dell’Eucaristia ha preso la parola il nuovo parroco per un indirizzo di saluto e i ringraziamenti, a cominciare dal Signore, per i doni che non fa mai mancare nella vita di ciascuno e per quanti si fanno suoi strumenti, nella certezza che «il Signore non mancherà di sostenere il mio lavoro». «Non dobbiamo partire da zero», ha detto mons. Giansante ringraziando chi l’ha preceduto. E ancora: «Faccio conto sulla vostra carità», ha detto rivolto ai propri parrocchiani, perché «ogni parrocchia ha i sacerdoti che si merita», ha scherzato chiedendo affetto, consigli e pure qualche critica, ma sincera e costruttiva e non in piazza. Poi l’invito alla preghiera e il pensiero ai tanti collegati alle celebrazioni in chiesa parrocchiale attraverso la radio.

 

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Biografia del nuovo parroco

Mons. Giansante Fusar Imperatore, nato a Romanengo nel 1956, è stato ordinato il 21 giugno 1980. Ha iniziato il proprio ministero come vicario parrocchiale a Viadana. Dal 1984 al 1990 è stato vicerettore del Seminario vescovile; dal 1990 al 2002 segretario vescovile. Nel 2002 è stato nominato parroco di Bozzolo e dal 2008 era parroco della parrocchia “Santa Maria Immacolata e San Zeno” in Cassano d’Adda. Ora monsignor Napolioni l’ha scelto come nuovo parroco della parrocchia “Santi Fermo e Rustico martiri” in Caravaggio. 

 

Saluto di mons. Fusar Imperatore

Cari parrocchiani

entro per la prima volta, in punta di piedi, nelle vostre case tramite “Nostra Famiglia” per inviarvi il mio saluto. Inizierò ufficialmente il mio servizio di parroco dal 26 settembre prossimo ma, da quando il vescovo mi ha proposto questo nuovo servizio, siete già tra le persone che affido al Signore nelle mie preghiere.

Vengo con un po’ di trepidazione, entrando in una realtà nuova e per me del tutto sconosciuta: oltretutto con il fatto che anche i più stretti collaboratori, don Andrea e don Bruno, sono nuovi di questa esperienza. Raccolgo il lavoro pastorale dove don Angelo, don Matteo e don Giovanni lo lasciano, avendo speso in mezzo a voi le loro energie sacerdotali: mi ci vorrà un po’ di tempo per conoscere la realtà della parrocchia di Caravaggio, i suoi punti di forza e le persone che collaborano all’azione pastorale. Qualche volta sono stato nella vostra (e tra poco nostra) chiesa parrocchiale accompagnando il vescovo per le cresime ma, come dice la bibbia, questi incontri “si dileguano come il ricordo dell’ospite di un solo giorno” (Sap. 5, 14). Se tutto è ancora da “scoprire” per me, sono però certo che il Signore ha in serbo sorprese per farmi incontrare testimonianze di fede e di vita cristiana che mi stupiranno: come tante volte ha fatto in altri contesti.

Vengo portando il peso degli anni (uno in più rispetto a don Angelo); vengo a spendere tra voi gli ultimi anni del mio servizio sacerdotale. Certamente non ho più l’entusiasmo della gioventù ma porto con me un po’ di esperienza. Però non confido su quanto ho imparato nel servizio da parroco prima a Bozzolo per sei anni e poi a Cassano per tredici, ma sull’esperienza di quanto il Signore sa fare più e meglio di noi. Insieme dovremo curare l’aspetto organizzativo della parrocchia senza dimenticare che se a noi compete seminare è solo Lui che fa crescere.

Vengo tra voi con la consapevolezza che non è il parroco che fa la parrocchia, ma i parrocchiani che “plasmano” il prete con la loro vicinanza, le loro preghiere e le loro richieste. In questo senso vi chiedo di aiutarmi ad essere un buon parroco con voi e per voi.

Non ci mancherà l’aiuto e l’intercessione di Nostra Signora del Fonte che, da prima di entrare in Seminario, visitavo con il pellegrinaggio a piedi dalla mia parrocchia di Romanengo. Adesso che la distanza geografica si è fatta molto più corta dovrà crescere ulteriormente il mio affidarmi a Lei.

Sinodalità: per non perdere la faticosa bellezza della Chiesa
Appunti teologici in margine al percorso delle Chiese italiana e universale

“Sembra che il treno sia già passato. E lo abbiamo perso”. Si può riassumere così il commento di un laico impegnato al servizio della propria comunità, durante un dialogo sul cammino sinodale che da poco anche la Chiesa italiana ha intrapreso. Senza dubbio un’affermazione perentoria. La sua età non tradiva certo le polarizzazioni giovanili. Semmai rimandava a stagioni già vissute, a “treni già passati”, o meglio visti partire e che a qualcuno sono sembrati non andare molto lontano.
Ed è vero, la stagione sinodale appena aperta rischia di collocarsi in un momento di grande stanchezza: innanzitutto sociale e mentale, aggravata dalle incertezze pandemiche, ma anche ecclesiale, dato che le comunità cristiane vivono nel tessuto proprio della realtà umana ed hanno imparato, anche a proprie spese, a non ritenersi immuni dall’evolvere storico. D’altra parte, è proprio nei momenti di crisi che la convergenza delle energie ed il coraggio assumono una qualità più chiara: se anche i treni sono passati e pare che l’estenuazione sia la regola,

l’appello del Papa e dei vescovi può scaldare ancora il cuore.

Rispetto ai sinodi celebrati sin qui, il cammino che stiamo percorrendo presenta una grande anomalia che a ben vedere è una vera e propria svolta: il Sinodo (universale e italiano, i tempi e i modi si intrecciano ed è spesso difficile distinguere) ha come oggetto, come tema se stesso, o meglio la dimensione sinodale della chiesa. Non si tratta allora di discernere qualche argomento specifico (gli ultimi sinodi hanno approfondito alcuni snodi ad es. su famiglia e giovani), ma abitare la struttura stessa della Chiesa, il suo DNA che, sin dai primi secoli, era evocato con il termine sinodo (syn e odos, strada fatta insieme). Recuperare oggi questa attenzione e metterla a tema è possibile almeno per due ragioni remote ed una prossima.

Innanzitutto, le remote.
Nel 1964 il Concilio pubblicava la costituzione dogmatica Lumen gentium che aveva, per la prima volta, il compito di delineare una architettura complessiva della Chiesa, dal suo mistero alla gerarchia, dai laici ai religiosi, dal suo essere popolo di Dio al rapporto con le altre confessioni cristiane, con il regno dei cieli e con le religioni non cristiane, sino a vedere in Maria la ricapitolazione personale del destino ecclesiale: ascoltare Cristo e servirlo. Si andava definendo una ecclesiologia rinnovata che rimetteva in luce quanto nel corso dei secoli aveva subito letture unilaterali e pagato il prezzo dell’incompiutezza, se non addirittura della parzialità incattivita. Qualche anno dopo, nel 1985, S. Giovanni Paolo II chiedeva al Sinodo dei vescovi, organismo permanente di consultazione voluto da Paolo VI, di rileggere il Concilio e fornire una valutazione di quell’evento ecclesiale. E proprio il Sinodo consegnò al Papa l’idea che l’ecclesiologia del Vaticano II, la visione di Chiesa che autorevolmente aveva consegnato, ruotava attorno al concetto di comunione.

La Chiesa è sì una organizzazione missionaria, educativa, celebrativa, ma è innanzitutto una comunità di battezzati che sperimentano la fraternità in Cristo, è la famiglia di Dio, è il tempio dello Spirito.

Comunione, avrebbe ricordato in quegli anni anche il futuro Benedetto XVI, è così la cifra sintetica dei rapporti ecclesiali, modellati sul mistero di Dio che è, lui per primo, comunione, verificati dal comandamento dell’amore, purificati dall’esercizio violento della prepotenza. Per interpretarla non basta considerare la Chiesa come una struttura di poteri più o meno vicini a Dio, né come una organizzazione che eroga servizi religiosi all’umanità. Semmai la Chiesa è la comunità dei figli di Dio che costituiscono il corpo di Cristo, perché ne sono i discepoli, compaginati in vocazioni diverse. “Qualcosa” di preziosamente teologico e per certi versi di eccedente rispetto alla giurisdizione dei poteri o delle competenze sacrali.

La causa prossima

Ora veniamo alla causa prossima: il rilancio di papa Francesco proprio sulla Chiesa come comunità che si nutre della gioia del Vangelo. Attraverso categorie inusuali e solo apparentemente banali,

Bergoglio sollecita a porsi “in uscita” e ribaltare una visione della Chiesa tradizionalmente piramidale, clericale, destinata a contrapporre chi avrebbe molta competenza e chi invece sarebbe solo incompetente, recettivo.

Questione cruciale se trasferita nella realtà concreta di comunità, come le nostre, che spesso faticano a recuperare i catechisti o i lettori, vedono assottigliarsi le fila degli operatori pastorali e… a volte si schiacciano sull’immagine di un santuario in cui recuperare “solo” la celebrazione dei sacramenti.
È su questo scenario che si installa il richiamo alla sinodalità. La si potrebbe intendere come lo strumento, il metodo attuativo della visione ecclesiale della comunione. Quest’ultima può essere considerata come la ragione teologica più alta e più bella, mentre la sinodalità come l’insieme delle attenzioni, delle considerazioni e delle prassi che rendono possibile, concreta, visibile quella comunione e ne disinnescano una visione solamente spiritualistica. Collaborazioni, corresponsabilità, processi di consultazione, condivisione delle competenze… sono così il volto concreto della dignità di tutti i membri della Chiesa. A patto che lo si voglia e si sia messi in condizioni di esercitare un reciproco riconoscimento.

È quello che da sempre il Nuovo Testamento dice alle Chiese: portate i pesi gli uni degli altri. Cosa impossibile se le vocazioni, gli stili di vita e le esperienze semplicemente non si parlano o, peggio, si giudicano.
Così sinodalità richiama innanzitutto ad uno stile di Chiesa, dove nessuno è costretto a chiedere “permesso?” e, al contrario, nessuno è obbligato a supplire ogni servizio comunitario. In secondo luogo sinodalità indica tutte le occasioni e le strutture che nella Chiesa consentono la deliberazione di una decisione, la focalizzazione di un discernimento, la risposta ad un problema. Isolare qualcuno o attendere passivamente che dall’alto piova la norma da applicare impoverisce la circolazione dello Spirito: che non sovverte le responsabilità, ma le spinge a cooperare per il bene di tutti. È la stessa logica dell’utilità comune dei carismi che Paolo ha presentato nella Prima Lettera ai Corinzi.

La partita è davvero rilevante, perché ad essere in gioco è la natura evangelica della Chiesa.

La sinodalità, come spesso accade a tante realtà teologiche, è come sospesa tra il dono e il compito: è un dono che Dio fa al suo popolo perché lo vuole così e così lo ha pensato in Cristo; e i cristiani sono chiamati a svilupparlo, esplicitarlo, tradurlo in prassi concrete, non scandalose e non contraddittorie. È possibile un rapporto uno/alcuni/tutti non solo di potere e di separazione? Ecco la sfida e la vocazione! È possibile uscire dallo schema top-down e dal centro verso la periferia? Ecco la vera provocazione del “periferico” costantemente evocato da Francesco! È possibile restituire potere-di-parola a tutti, alla luce della medesima Parola? È possibile sdoganare il diritto/dovere di parola, l’acquisizione di una identità laicale vera, una psicologia ecclesiale meno passiva? È l’obiettivo di un tirocinio che le chiese sono chiamate ad intraprendere, anche in Italia, anche a casa nostra. È possibile ridiscutere radicalmente la logica del potere e riscriverlo in chiave evangelica, perché custodisca, contemporaneamente, le responsabilità senza isolarle, le dignità senza calpestarle, la vita vera delle persone senza giudicarla?
Dentro queste domande si nascondono alcune delle riflessioni teologiche più recenti,

ma si rivela in tutta la sua bellezza il cammino di una comunità ecclesiale forse più piccola e meno rilevante, forse anche più chiaramente religiosa, ma pur sempre chiamata ad essere se stessa e non una controfigura deformata del potere umano.

don Paolo Arienti
Docente di Ecclesiologia


Per approfondire il tema

NOCETI S., “Sinodalità: una parola necessaria”, in CODA P. – REPOLE R., La sinodalità nella vita e nella missione della chiesa, Bologna 2019.

NOCETI S., “La sinodalità: una riflessione ecclesiologica”, in SALATO N. (ED.), La sinodalità al tempo di papa Francesco. 1. Una chiave di lettura storico-dogmatica, Bologna 2020.

HAN BYUNG-CHUL, Che cos’è il potere?, Milano 2019.

FRANCESCO, Discorso in occasione dei 50 anni dell’Istituzione del Sinodo dei Vescovi, Roma 2015

“Insieme si arriva lontano”, Giornata diocesana del Seminario. Il messaggio del Vescovo: «È la strada il luogo della missione»

La terza domenica di Avvento per la Chiesa cremonese segna tradizionalmente la Giornata del Seminario. La figura di Giovanni Battista che indica Gesù, e che il Vangelo di questa domenica mette al centro, viene presa quale esempio per i seminaristi che diventeranno preti e ai quali spetterà il compito di indicare alle comunità cristiane la presenza del Signore.
«Insieme si arriva lontano. Li inviò a due a due davanti a sé» sottolinea il titolo della Giornata diocesana di quest’anno. Un tema ripreso anche dal vescovo Antonio Napolioni nel messaggio dedicato proprio a questa occasione che riprendiamo dall’ultima edizione del periodico del Seminario “Chiesa in Cammino”.

 

Sono felice che la comunità dei nostri giovani seminaristi abbia proposto questo tema per la giornata del Seminario di quest’anno. Sì, perché la strada è il vero scenario della nostra vita, più della casa e persino della Chiesa.
La strada è quella tracciata nel tempo, di generazione in generazione, come teatro della rivelazione di Dio, che si è messo per primo in viaggio verso l’oggetto del suo amore: il creato, l’umanità.
La strada è la parabola della vita, lungo la quale c’è da imparare a camminare, ad incontrare, a fermarsi per riprendere forze, a scorgere l’orizzonte per non smarrire la meta, ad arrivare e gioire, insieme agli altri.
La strada è il luogo della missione, come Gesù stesso ci insegna, lui che incontrando chiamava, fermandosi insegnava… e guariva chi gli trafiggeva il cuore di compassione. Perché sulla strada, anche nostra, non mancano feriti ed emarginati.
Sulla strada il Signore ha messo la Chiesa, inviando i discepoli non a titolo privato, come se dovessero diventare eroi, ma “a due a due” perché il primo segno di credibilità del loro annuncio fosse lo stile fraterno e di condivisione con cui vivevano, anche le piccole cose.
Su questa strada si misura anche l’oggi e il domani delle comunità cristiane cui è affidato il vangelo del Regno. Perciò facciamo un cammino “sinodale”, per ascoltarci e capirci intorno alla comune ricerca della volontà di Dio, che rende il futuro affascinante e non minaccioso. E per questo rinnoviamo i diversi percorsi formativi, dai quali ci aspettiamo animatori e ministri di comunione nella Chiesa e di solidarietà nella società. La vita quotidiana del Seminario di Cremona ne è un bel cantiere, e benedico il Signore che ispira ai preti e ai giovani in cammino il coraggio della schiettezza, la pedagogia della libertà, il desiderio della fraternità.
Ringrazio anche tutti coloro che, in vari modi, amano e sostengono questo cuore pulsante della nostra Chiesa locale, che oggi è pieno anche di ragazzi che vanno a scuola, di sacerdoti che pregano e servono, di scommesse educative e storie di semplice umanità. Preghiamo il Signore che la sua chiamata continui a colmare di fiducia e generosità l’animo di tanti giovani, perché “mandandoli a due a due davanti a sé”, indichino a tutti noi le orme del Risorto.

+ Antonio, vescovo

 


La quotidianità in via Milano, tra studio, preghiera e incontri nelle parrocchie

La vita ordinaria di Seminario è organizzata nei quattro ambiti della formazione: scuola, formazione umana, preghiera, pastorale. Dal lunedì al giovedì, nella mattinata, la comunità si sposta a Lodi per frequentare le lezioni dei corsi scolastici insieme ai seminaristi di Crema, Lodi, Pavia e Vigevano. I principali corsi si occupano di approfondire la teologia, la sacra scrittura, la filosofia, il diritto canonico, la liturgia e la storia. I pomeriggi e le serate sono a disposizione per approfondire la propria formazione umana e le relazioni all’interno della vita comunitaria.
La giornata è scandita dai momenti di preghiera che vengono vissuti al mattino e alla sera pregando insieme la liturgia delle ore e celebrando l’Eucarestia, settimanalmente l’adorazione eucaristica e mensilmente il ritiro spirituale. Annualmente, insieme ai seminari di Crema, Lodi, Pavia e Vigevano sono organizzati gli esercizi spirituali. Ognuno durante la giornata ha anche tempo per dei momenti di preghiera personale e il confronto con il padre spirituale. Settimanalmente, poi, si vive un momento di condivisione della Parola della domenica che una volta al
mese è condiviso, a coppie, con alcuni presbiteri della diocesi.
Il fine settimana i seminaristi raggiungono le varie parrocchie della diocesi dove sono impegnati nella formazione pastorale, dove sono inseriti nelle proposte parrocchiali.

GUARDA I VIDEO CHE RACCONTANO LA VITA DEL SEMINARIO

 

Chiesa di casa incontra la comunità del Seminario

Giovedì 10 marzo il vescovo emerito Dante Lafranconi compie 82 anni. La comunità diocesana con il vescovo Napolioni rivolgono al vescovo emerito il loro augurio di buon compleanno, accompagnato dalla preghiera e dall’affetto filiale e fraterno, con riconoscenza per la sua presenza e il suo ministero che quotidianamente accompagna e sostiene la vita della Chiesa di Cremona, con la vicinanza umana e spirituale alla comunità tutta.

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Don Pozza a Romanengo: «La fede è la nostra storia d’amore con Dio»

Nella serata di giovedì 2 dicembre si è svolto presso la chiesa parrocchiale dei santi Giovanni Battista e Biagio vescovo di Romanengo  l’ultimo appuntamento del ciclo di incontri “Con il suo sguardo”, organizzato dai giovani della parrocchia.

Ospite della serata Don Marco Pozza, dottore in Teologia, sacerdote di strada, cappellano del carcere Due Palazzi di Padova, scrittore, conduttore tv noto per le sue interviste a Papa Francesco.

Tema dell’incontro: «Credo. Non credo. Perché dovrei credere?»

Ha introdotto la serata un momento di preghiera guidato dai ragazzi della parrocchia di Romanengo che ha introdotto l’intervento di don Marco aperto con una riflessione sul Vangelo della  genealogia di Gesù: «Bisogna riconoscere che la Genealogia di Gesù è spaventosa» ha detto.

Il sacerdote ha voluto iniziare commentando questi versetti per far capire che Dio ha fatto nascere Gesù in una famiglia umile e imperfetta nella quale tutti possono rispecchiarsi. «La maggior parte delle sere, per arrivare a Cristo sbaglio spesso strada come uomo e come prete… Leggo il Vangelo di Matteo e guardo in faccia questa gente e scopro che mi riguardano, vi confesso che mi sento a casa» riflette Don Pozza, perché, come dice il profeta Davide, «Dio solleva l’indigente dall’immondizia, rialza il povero per farlo sedere tra i principi».

Quindi perché credere in Dio?

«Se la fede è la nostra personale storia di amore con Dio – ha riflettuto – allora questa storia d’amore funziona come funzionano tutte», ovvero con momenti di difficoltà e «c’è un unico tarlo che può distruggere questa storia d’amore ed è l’abitudine». E ha aggiunto: «A volte è necessario perdersi per riuscire a trovarsi veramente». Perché, ha proseguito, «se la misericordia di Dio è così grande nei miei confronti, che mi vede tornare dal medesimo tradimento e mi aspetta a braccia aperte, io lo guardo in faccia e dico: un Dio che si comporta così con me come faccio a non crederci!?».

Concludendo, è dunque tornato sulla domanda iniziale: perché credere? «Dio – ha assicurato il sacerdote veneto – non si vergogna di dirmi che nel mondo c’è la miseria e quindi mi fido. Non mi fido di chi cerca di nascondere la fatica dentro la storia» e «non ho ancora trovato nessuno che si fidi di me come Dio, nemmeno me stesso».

La serata si è conclusa con un momento di preghiera e i ringraziamenti e saluti del parroco di Romanengo don Emilio Merisi.

 

 

Lo stile di famiglia nel “motore” della comunità cristiana: si è svolto a Soresina l’incontro sinodale per gli operatori della Zona 2

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Con gli incontri svolti nella serata di venerdì 21 gennaio nelle parrocchie della Zona pastorale 2 e i laboratori che si sono tenuti a Soresina nella mattinata di sabato 22 si è avviata la seconda fase del cammino sinodale della Chiesa cremonese, che aveva visto il suo inizio nell’ottobre dello scorso anno.

Gli incontri di formazione zonale che si svolgeranno nei mesi di gennaio e febbraio anche nelle altre zone pastorali sono articolati in due momenti, per cercare di coinvolgere nel percorso di riflessione sul Sinodo un numero sempre più ampio di persone, soprattutto quelle che vivono la parrocchia nelle sue varie articolazioni. Lo scopo è quello di verificare e di arricchire l’idea di Chiesa come comunità cristiana confrontandosi con la realtà concreta e quotidiana della famiglia.

Nella serata di venerdì, dopo un momento di preghiera, è stata proposta la proiezione di un intervento registrato del vescovo di Modena – Nonantola, mons. Erio Castellucci, di una coppia di coniugi e di una coppia di fidanzati: tre contributi che hanno cercato di individuare le caratteristiche di quale Chiesa si vorrebbe essere. È seguito un rapido e concentrato scambio di opinioni sulle provocazioni fornite dal filmato, ma il lavoro di approfondimento e di proposta è stato rimandato ai laboratori di sabato mattina.

Gli incontri laboratoriali si sono tenuti a Soresina, divisi in due gruppi: uno all’oratorio Sirino, guidato da don Federico Celini, con gli operatori delle aree pastorali giovani e comunicazione e cultura, e l’altro presso la Scuola Immacolata, dove gli operatori delle aree pastorali famiglia e giovani hanno avuto la conduzione di don Francesco Fontana.

I due laboratori, dopo un momento di preghiera con letture che hanno focalizzato la riflessione sul senso della vita familiare nelle sue difficoltà, ma soprattutto sulle sue ricchezze, hanno lavorato divisi in gruppi di una dozzina di persone, unite da affinità ministeriali. I gruppi hanno dedicato un primo spazio a verificare su come lo stile di famiglia abbia ricadute positive sulla vita pastorale parrocchiale; a questo momento è seguito uno spazio di proposte concrete capaci di innervare la realtà ecclesiale.

I gruppi che si sono confrontati presso la Scuola Immacolata hanno individuato come obiettivo primario, sia pure con sfumature diverse, l’ascolto e l’accoglienza attenta di ogni persona, rivolgendo una particolare cura alla relazione anche attraverso percorsi di formazione specifici. Così, i partecipanti all’incontro all’oratorio Sirino hanno incentrato l’attenzione su diversi e approfonditi aspetti, sempre nell’intento di individuare in che cosa e come la famiglia – nella concretezza del suo vissuto, delle sue dinamiche, delle sue prospettive, delle sue potenzialità – possa rappresentare una realtà certa e dinamica a cui la Chiesa in cammino possa ispirarsi, anche e soprattutto alla luce della “Amoris Laetitia”.

Il frutto delle riflessioni sarà consegnato sia al vicario zonale sia al Vescovo: un ulteriore e prezioso contributo, anche questo, per il cammino sinodale che attende la Chiesa diocesana.

Don Roberto Pasetti parroco di Belforte, Gazzuolo e Commessaggio
L'annuncio nelle celebrazioni di domenica 23 gennaio: il sacerdote, già parroco di Commessaggio, prende il testimone per le altre due comunità da don Marco Tizzi, che rimane come collaboratore parrocchiale

Come annunciato alle comunità interessate durante le celebrazioni di domenica 23 gennaio, Don Roberto Pasetti, già parroco di Commessaggio, diventa parroco anche delle parrocchie di Belforte e Gazzuolo, sostituendo don Marco Tizzi, del quale il vescovo ha accettato la rinuncia per motivi di salute. Don Marco Tizzi tuttavia resterà a servizio delle comunità, assumendo l’incarico di collaboratore parrocchiale di tutte e tre le parrocchie, ruolo che dal 2017 ricopre anche don Virginio Morselli.

Per le tre parrocchie della zona pastorale 5, in territorio mantovano, un’ulteriore tappa nel cammino già avviato verso la piena realizzazione dell’unità pastorale, per la quale a don Pasetti è affidato il ruolo di moderatore.

 

Profilo dei sacerdoti delle tre parrocchie

Don Roberto Pasetti, classe 1963, originario di S. Martino dall’Argine, è stato ordinato sacerdote il 18 giugno 1994. Ha iniziato il proprio ministero come vicario a Caravaggio; nel 2000 il trasferimento a Viadana, presso la parrocchia di Santa Maria Assunta e San Cristoforo. Nominato parroco di Scandolara Ripa d’Oglio nel 2002, nel 2012 ha assunto la guida anche delle parrocchie di Grontardo e Levata. Dal settembre 2018 il Vescovo gli ha affidato la cura pastorale della comunità di Commessaggio, prendendo il testimone da don Marco Tizzi, a cui oggi subentra anche nell’incarico di parroco di Belforte e Gazzuolo. Le tre comunità sono in cammino verso l’Unità pastorale di cui don Pasetti ricopre il ruolo di moderatore.

 

Don Marco Tizzi, nato a Sabbioneta nel 1948, è stato ordinato sacerdote il 18 luglio 1971. Ha svolto il suo ministero come vicario a Viadana (S. Maria Assunta e S. Cristoforo) dal 1971 al 1979 e a Casalmaggiore (S. Stefano) dal 1979 al 1994, quando ha assunto l’incarico di parroco di Belforte al quale si è aggiunto dal 2012 quello di parroco di Gazzuolo. Dal 2015 al 2018 ha guidato anche la parrocchia di Commessaggio. Ora assume l’incarico di collaboratore parrocchiale delle tre parrocchie.

 

Don Virginio Morselli è nato a Cividale Mantovano nel 1939 ed è stato ordinato sacerdote il 27 giugno 1964. Dal 1964 al 1978 è stato vicario di Gazzuolo, quindi dal 1978 al 1988 è stato parroco di Salina. Dal 1988 al 1987 ha guidato la comunità di Rivarolo del Re e dal 1997 al 2014 quella di Viadana “San Pietro Apostolo”. Dal 2014 al 2017 è stato collaboratore delle parrocchie di Vicomoscano, Casalbellotto, Quattrocase e Fossacaprara; quindi il trasferimento con l’incarico di collaboratore parrocchiale di Belforte, Commessaggio e Gazzuolo.