Verso la Visita ad limina, il punto su Beni culturali e Diaconato Pemanente

Intervista al delegato della Conferenza episcopale lombarda, il vescovo di Pavia mons. Corrado Sanguineti
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Il vescovo di Pavia, mons. Corrado Sanguineti, ricopre due importanti incarichi all’interno della Conferenza episcopale lombarda (CEL): è delegato e presidente della Consulta regionale per i Beni culturali e l’edilizia di culto e delegato per il Diaconato permanente. Lo abbiamo intervistato per saperne di più.

Eccellenza, quali sono prima di tutto i compiti previsti dal suo ruolo?

«Le deleghe detenute da ogni vescovo lombardo sono relative a vari ambiti pastorali della vita della CEL; il compito delle due consulte di cui mi interesso io è assicurare un rapporto tra questi organismi e la CEL stessa. Le consulte lavorano per il cammino delle chiese in Lombardia: all’interno della Consulta regionale per i Beni culturali esistono due incaricati regionali (uno per i beni culturali e l’altro per l’edilizia di culto) che sono due architetti, Carlo Capponi di Milano e Alessandro Campéra della diocesi di Mantova. Dal punto di vista organizzativo, chi detiene la gestione del lavoro della Consulta sono i due incaricati che, sentendomi e consultandomi, stabiliscono ordine del giorno e temi da affrontare. Il mio compito è riportare in CEL determinati temi per ottenerne orientamenti. Per esempio, un mese e mezzo fa è stato redatto un accordo quadro tra la Regione ecclesiastica Lombarda e la Regione Lombardia che riguarda i beni culturali ecclesiastici, frutto di uno scambio e di un confronto importanti. Il mio è, quindi, un compito di raccordo, partecipo a ogni riunione e tengo le fila dei rapporti con gli architetti».

Com’è la situazione dei beni culturali della Chiesa Cattolica in Lombardia? Quali criticità e quali punti di forza?

«Le chiese lombarde hanno un patrimonio di beni culturali immenso che non riguarda solo le chiese stesse e gli oggetti che vi si trovano, ma anche archivi e biblioteche. In Lombardia, poi, c’è una forte tradizione e una popolazione molto elevata distribuita per ben dieci diocesi. In ogni diocesi gli uffici locali portano avanti un lavoro di catalogazione e di accompagnamento delle singole parrocchie su questioni legate a restauri e lavori. Una delle criticità su cui stiamo lavorando oggi è potenziare la manutenzione ordinaria in modo tale che i beni vengano conservati in buono stato senza interventi emergenziali e conseguente dispendio notevole di risorse. Per questo, abbiamo voluto creare momenti di incontro tra rappresentanti delle diocesi e professionisti esperti dal mondo laico ed accademico che aiutino i nostri operatori a conoscere meglio gli aspetti legislativi ma anche cosa significa conservare un bene culturale con un’opera preventiva. Grazie agli architetti Capponi e Campéra, abbiamo organizzato diversi incontri anche con crediti formativi. Per quanto riguarda l’Edilizia di culto, ci sono nuove normative e il lavoro deve essere interconnesso con le Sovrintendenze, è importante che ci siano competenze e maturità sul valore sacro e liturgico di ogni chiesa. Una delle criticità che riscontriamo è legata alle risorse umane ed economiche che andrebbero aumentate. Altro punto fragile è che su alcune pratiche ci sono tempi lunghi per ottenere i permessi di Ministero e Sovritendenza. Non per cattiva volontà degli enti preposti, ma perché anche qui le risorse umane sono limitate: un esempio classico sono le famose VIC, le Verifiche di interesse culturale, perizie numerose che spesso si accumulano e rischiano di non trovare risposte in tempi ragionevoli».

Quali sono i progetti su cui il settore sta lavorando per il mantenimento dei tesori artistici e culturali della Lombardia?

«Vogliamo continuare a portare avanti gli incontri regionali con gli esperti; con l’Assessorato regionale rivedremo l’accordo quadro che risale ad un paio di anni fa non tanto nel suo impianto di fondo (secondo il quale la Regione riconosce che i beni culturali ed ecclesiastici sono una risorsa per tutta la comunità) ma nell’idea di creare nuove pratiche per partecipare a bandi e finanziamenti. Infine, c’è un progetto pilota attivato dalla Regione ecclesiastica del Piemonte che permette l’accesso a chiese poco utilizzate ma di grande valore tramite una applicazione e speciali dispositivi per aprire la chiesa e accedere ad una visita. Alcune chiese, infatti, si trovano su percorsi escursionistici o religiosi e sono luoghi non sempre aperti. Grazie all’app, turisti e pellegrini potrebbero accedervi, ovviamente in sicurezza e sotto sorveglianza, anche se sono poco frequentate dal punto di vista celebrativo; partner disponibile a sostenere l’iniziativa è la Fondazione Cariplo. Attualmente il progetto è in via di gestazione e in attesa di fare una esperienza pilota in qualche diocesi lombarda. In Piemonte ha avuto un riscontro positivo sia per i visitatori che per le comunità locali: a disposizione c’è anche una guida digitale che permette la lettura delle opere d’arte sia dal punto di vista culturale che religioso. La Chiesa Cattolica, infatti, si interessa di beni culturali non solo per questioni di conservazione (che sono comunque molto importanti) ma anche perché essi hanno una grande forza evangelizzante per coloro che li ammirano».

Rispetto, invece, alla seconda delega, quella relativa al Diaconato Permanente, e all’importanza della figura del diacono oggi per la Chiesa Cattolica: quanti sono i diaconi permanenti in Lombardia ad oggi? e qual è il percorso spirituale che possono intraprendere?

«Nella nostra regione, come in tutto il resto d’Italia, c’è una attenzione al diaconato permanente che si traduce anche con l’attività della Consulta regionale che prevede la presenza di responsabili, delegati per la formazione, un incaricato regionale (don Filippo Dotti) e poi un vescovo delegato che sono io. È difficile quantificare la presenza dei diaconi in Lombardia, per via del fatto che il diaconato permanente è una istituzione rilanciata dal Concilio Vaticano II non come mero passo per il presbiterato, ma come ministero in forma di dedicazione alla Chiesa che può essere concesso a uomini già sposati o celibi (questi ultimi devono però assumersi l’impegno del celibato). In tutte le regioni ecclesiastiche, quindi, l’attivazione è stata temporalmente diversa: ci sono diocesi che lo esercitano da 30 anni ed altre da appena una decina e il numero diventa fluttuante; di massima si può dire che sono circa quattrocento. Il diacono deve compiere un cammino di formazione che parte dal discernimento e che prosegue con l’accoglienza come candidato agli ordini e con una formazione anche teologica (a Pavia, per esempio, è necessario conseguire la laurea breve di tre anni in Scienze Religiose). Durante il percorso si ricevono Lettorato e Accolitato e poi il Diaconato. Della Consulta Regionale fanno parte i delegati, sia presbiteri che diaconi, che accompagnano il cammino formativo sia di coloro che si stanno preparando che i chi è già diacono e per cui vale la formazione permanente. A livello regionale c’è un documento consegnato ai vescovi lombardi per sollecitare maggiore attenzione nelle singole chiese, perché il ministero è ancora poco conosciuto e valorizzato: per questo, durante l’anno vengono organizzati momenti di ritiro aperti ai diaconi ed a coloro che sono in formazione. Ogni due anni si svolge un convegno regionale su un tema scelto dalla consulta e concordato con diversi diaconi di ogni diocesi. Alcuni vengono con le loro famiglie: in questi ultimi anni, infatti, si tende a coinvolgere anche le mogli dei diaconi perché, ricordiamolo, è necessario il permesso esplicito della consorte per diventare diacono; inoltre, riteniamo giusto ascoltare la loro voce perché il matrimonio può diventare un ambito di testimonianza».

La figura del diacono permanente è di supporto all’operato dei sacerdoti. Quali sono gli incarichi che ricoprono e le attività previste dal loro ruolo? E ancora: si è parlato spesso di prevedere un quid economico per il loro operato, cosa ne pensa? È un passo opportuno oppure no?

«Dal punto di vista sacramentale il diacono ha ricevuto il sacramento dell’Ordine e fa parte di un Ordo, ma ha una vita da laico. Se è sposato ha una famiglia, diversamente ha sicuramente un lavoro perché il diacono deve essere autonomo e indipendente dal punto di vista economico. È capitato che a qualche diacono sia stato chiesto un servizio a tempo pieno in una diocesi e in quel caso la persona riceve uno stipendio, ma normalmente non è così. Ricordiamo che il diacono può dare una testimonianza anche attraverso il proprio lavoro. Ritengo il diacono una figura molto importante che va capita e proposta bene: non è un “mezzo prete” e nemmeno un suo sostituto o una “creatura ibrida”, ma è un battezzato che ha ricevuto un sacramento specifico e che è chiamato a svolgere un ministero in due campi, quello della carità (persona che anima e sostiene la testimonianza della carità ovunque sia chiamato a servizio) e quello di essere uomo del Vangelo. Può, infatti, predicare anche durante le celebrazioni come servizio alla Parola. Apparterrebbe al diacono anche la cura dei beni della Chiesa e spesso è una figura che si affianca agli economi diocesani. Una volta ricevuta l’ordinazione, il diacono riceve anche un incarico dal vescovo a servizio di una unità pastorale oppure di enti diocesani come le Caritas o in servizi nelle carceri. Il servizio è ampio, d’intesa con il presbitero di riferimento: è capitato che ci fossero anche diaconi responsabili di unità pastorali, ma questo non è l’ideale perché così il diaconato rischia di prendere una forma di sostituzione che non è inerente alla figura; è chiaro però che con la riduzione dei presbiteri quest’ultima possa essere una eventualità. Preferisco però pensare al diacono come a una figura di riferimento per alcune parrocchie o per un ambito specifico di una unità pastorale. Certo, è importante capire che il diacono è una figura di valore, caratterizzata da una sua vocazione specifica e con la sua centralità: comprendere questo richiede un lavoro comunitario ma anche una assunzione di coscienza da parte dei diaconi stessi che devono vivere il loro ruolo portando la testimonianza anche con la loro professione, come accade qui a Pavia, dove si favorisce una modalità evangelica del lavoro. I nostri presbiteri, dal canto loro, devono imparare a valorizzare il diacono: ho esempi positivi nei quali la specificità del diacono viene percepita e diffusa. Credo, in ultima analisi, che la figura del diacono sia una risorsa preziosa da valorizzare al più presto».

Simona Rapparelli (Il Ticino)